Argomento
qui, come credo corretto verso il partito, il significato del dissenso
espresso nell'ultima Direzione nazionale del Prc. Convinto che la comune
soddisfazione per l'ammissione del referendum e il comune impegno di lotta
che ci attende debba combinarsi più che mai con una riflessione generale
sull'esperienza di questi mesi e sulla nostra prospettiva.
- Il nostro partito ha sottovalutato a lungo, sul piano dell'analisi,
l'ascesa del cofferatismo. La tesi dell'inesistenza in Italia di "uno
spazio politico socialdemocratico" si è rivelata errata. Ha confuso la
crisi sociale del riformismo con l'assenza di uno spazio politico
riformista. Invece proprio l'evoluzione liberale della maggioranza
dirigente dei Ds, protesa a contendere al vecchio centro dell'Ulivo la
rappresentanza della grande impresa, ha liberato a sinistra uno spazio
enorme che Cofferati si candida a occupare. Cofferati non punta a un
partito socialdemocratico (con buona pace di Patta e Salvi) ma svolge una
funzione classicamente socialdemocratica. Da un lato, a partire dal
controllo della Cgil, ha moltiplicato enormemente le sue relazioni di
movimento. Dall'altro spende la dote raccolta in una prospettiva politica
di incontro col centro liberale ed in particolare con la nomenclatura
politica di Prodi, aggirando dall'esterno la maggioranza liberale del suo
partito. La contraddizione interna ai Ds ha dunque indirettamente una base
di classe e, quindi, una radice profonda.
- Questa prospettiva politica del cofferatismo -e non solo la
vocazione concertativa della Cgil- ha richiesto per sua natura un lavoro
organico di dispersione delle potenzialità dell'opposizione sociale.
Mentre nel Prc prevaleva un affidamento alla spontaneità dei movimenti, il
cofferatismo lavorava a contenerli dentro le compatibilità della sua
prospettiva. Il rifiuto di una piattaforma generale di lotta, la logica
perdente degli "scioperi generali" centellinati ogni sei mesi, il rifiuto
pregiudiziale di ogni prova di forza per la cacciata di Berlusconi, ne
sono l'espressione. Questa politica ha condotto l'opposizione sociale ad
un'impasse crescente. E le potenzialità non raccolte rischiano ora di
implodere. La seria minaccia di una sconfitta alla FIAT rischia di
ripercuotersi sui rapporti di forza nel Paese. La ripresa dell'offensiva
sociale, politica, istituzionale di un Berlusconi scampato alla stretta
pone nuove difficoltà. In particolare tende ad ampliarsi il divario tra
l'opposizione politica a Berlusconi del popolo della sinistra -sempre
vivace- e il livello più ampio dell'opposizione sociale, che rischia,
priva di sbocchi, il ristagno. E proprio il cofferatismo -principale
responsabile di questa situazione- ne è paradossalmente oggi il principale
beneficiario politico.
- La linea del nostro partito ha contrastato questa dinamica generale?
Credo purtroppo di no. E' anzi mia convinzione che la nostra politica sia
stata, suo malgrado, uno dei fattori che ha agevolato l'ascesa di
Cofferati. A partire da un aspetto decisivo dell'impostazione
congressuale: la rinuncia a una battaglia di egemonia nei movimenti di
massa. In realtà non abbiamo avuto un solo terreno visibile di proposta
alternativa al cofferatismo in nessuno dei movimenti di massa. Nel
movimento operaio ci siamo adattati, con qulche isolato distinguo, alla
gestione Cgil dello scontro sociale. Nel movimento contro la guerra
un'impostazione esclusivamente "pacifista" ci rende indistinguibili, nella
percezione di massa, dalla posizione attuale di Cofferati. Nel rapporto
col popolo girotondino e la sua domanda antiberlusconiana abbiamo scontato
gli effetti della mancata rivendicazione della cacciata di Berlusconi, a
tutto vantaggio di Cofferati. Nello stesso movimento noglobal, dove
importante è il nostro insediamento, abbiamo sostenuto con entusiasmo
acritico tutte quelle posizioni programmatiche neoriformiste che oggi
Cofferati (e la sua area nel movimento) cavalca e impugna per subordinare
il movimento al centrosinistra (v. "il bilancio partecipativo"). La
mancata battaglia per un'egemonia alternativa ha dunque danneggiato sia i
movimenti che il partito.
- Credo allora s'imponga una svolta di linea.
L'errore più grande che potremmo compiere è da un lato confermare la
linea seguita e dall'altro accusare Cofferati di voler "dividere il
movimento". L'impostazione va esattamente capovolta: non si tratta di
rimproverare a Cofferati la sua battaglia per l'egemonia socialdemocratica
ma di fare la nostra battaglia per l'egemonia anticapitalistica, dentro i
movimenti, in alternativa a Cofferati. Solo così la nostra demarcazione
dal cofferatismo cessa di apparire l'autodifesa tardiva di un proprio
spazio di partito (in questo senso "settaria") ma può dotarsi di una
ragione sociale e politica riconoscibile.
- Il referendum per l'estensione dell'art. 18, tanto più in questo
quadro, ha una grande importanza politica. Può essere infatti la preziosa
occasione d'avvio di una nostra svolta. Siamo tutti impegnati, come è
ovvio, alla vittoria del referendum. Ma è bene evitare di confinarlo in un
ambito tutto istituzionale. Tre sono, a me pare, le necessità che si
impongono.
- In primo luogo dobbiamo collegare la battaglia referendaria per
l'estensione dei diritti a una proposta generale di piattaforma di lotta
che investa il tema dell'abolizione delle leggi di flessibilità
("pacchetto Treu"), il tema centrale del salario, il tema della
nazionalizzazione, sotto controllo operaio, di tutte le industrie in
crisi, a partire dalla FIAT: fuori da una generalizzazione e
radicalizzazione della lotta non c'è prospettiva per il movimento di
massa.
- In secondo luogo dobbiamo ricondurre la campagna referendaria a un
confronto di linea con l'apparato Cgil e con Cofferati: dobbiamo sfidarli
all'unità sul SI', ma anche denunciare apertamente le loro ambiguità o i
loro rifiuti richiamando l'esigenza di un'altra linea generale. In
particolare l'attuale pronunciamento di Cofferati sul referendum deve
essere oggetto di una nostra denuncia pubblica e sistematica, superando
definitivamente la soggezione diplomatica di un anno.
- In terzo luogo dobbiamo andare alla radice, tutta politica,
dell'ambiguità di Cofferati sul referendum: la sua volontà di coalizione
con il centro borghese dell'Ulivo cioè con la rappresentanza del grande
capitale in Italia. La rivendicazione della rottura col centro liberale
deve entrare con forza nella campagna referendaria. Cofferati deve essere
incalzato, agli occhi della sua base di massa, nella sua contraddizione di
fondo: "o stai col centro liberale che oggi, tra gli applausi di
Berlusconi, si scaglia contro l'estensione dei diritti, o stai col Prc in
una più ampia unità di lotta delle forze del movimento operaio e dei
movimenti di massa, per estendere i diritti, cacciare Berlusconi,
costruire insieme un'alternativa anticapitalistica in Italia".
- Questa linea di massa e di rottura col centro come alternativa al
cofferatismo richiama a sua volta una chiarificazione di fondo sia sulla
nostra linea sia sulla nostra prospettiva politica. Sulla nostra linea:
non possiamo nelle prossime elezioni amministrative e sul terreno del
governo locale continuare a praticare alleanze con quelle forze borghesi
di centro (Margherita, Udeur, maggioranza Ds) oggi schierate coerentemente
con Confindustria (e con Berlusconi) contro i diritti dei lavoratori.
Sulla prospettiva: la proposta di una sinistra di alternativa che fa
blocco con la sinistra riformista (Cofferati) per poi negoziare insieme
col centro liberale mi pare profondamente negativa. Prospetta, infatti, al
posto dell'Ulivo, un centrosinistra rifondato. Esclude per l'oggi una
battaglia di massa per l'egemonia e ci espone per il domani a un nuovo
coinvolgimento subalterno. La rottura col centro deve invece valere
innanzitutto per noi. Per l'oggi e per il futuro. E non semplicemente nel
nostro interesse di partito. Ma nell'interesse di quella nuova stagione di
domande e di lotte che richiede un'alternativa vera. Un altro mondo è
possibile: ma certo non passerà attraverso un eventuale "ticket" rifondato
Prodi-Cofferati-Bertinotti.