Dopo la sparatoria sul treno a Castiglione Fiorentino

Vecchie Br, nuovi movimenti e provocatori d'assalto

La notizia ci arriva a Livorno nel bel mezzo di una riuscita assemblea nazionale del movimento del social forum europeo. E sui volti si scorge, accanto alla costernazione per l'ennesimo omicidio, la preoccupazione di chi è abituato a sentirsi chiamato in causa ogni volta che torna a manifestarsi il terrorismo. Era accaduto nel caso dell'assassinio di Marco Biagi, giusto alla vigilia delle mobilitazioni sull'articolo 18, addirittura con lo stesso 11 settembre, indicato da molti editorialisti nostrani e non, come "naturale prosecuzione" della critica alla globalizzazione.

E invece stavolta, nonostante le immancabili strumentalizzazioni, i fatti non lasciano adito a dubbi. I terroristi catturati sul treno Roma-Firenze e che il ministro Pisanu indica come i «probabili responsabili dell'omicidio D'Antona», appartengono a una storia precisa, riscontrabile, quella delle «vecchie Br». Un filo sottile ha condotto dal loro disfacimento della fine degli anni 80 fino ai nostri giorni, un filo tenuto in vita da un manipolo di uomini e donne, i Ncc, i cui volti, storie e linguaggi appartengono alla preistoria e nulla hanno a che vedere con i nuovi movimenti.

I fatti che dimostrano questa distanza, questa separazione chirurgica sono molti e, soprattutto, sono evidenti. Le biografie parlano chiaro, si tratta di persone che hanno costruito il loro percorso politico negli anni 70 o che, come Gallesi, vengono agganciati alla storia della seconda fase di vita delle Br, quella che ruota attorno al ruolo degli irriducibili. Sono percorsi politici che viaggiano a latere di qualsiasi forma di movimento. Non c'è un "brodo di coltura" al quale le tesi brigatiste si possano abbeverare e non solo perché il movimento contro la globalizzazione non offre nessun appiglio, tanto è forte la sua ispirazione pacifica e la sua dimensione etica - e non intendiamo sprecare altre parole per ribadire questa palese verità - ma anche perché, nell'assolutizzazione dell'autonomia del politico, i "nuovi-vecchi" brigatisti seguono un percorso tutto loro, un filo d'azione che non rende conto a nessuno se non alla loro lucida follia terroristica.

La distanza dunque è enorme, il fossato incolmabile. Eppure ancora in tanti si sforzano di stabilire un collegamento. Sul Giornale, un reazionario doc come Mario Cervi, pur ammettendo che alle Brigate rosse «manca quel tessuto di connivenze che un tempo le rese tanto forti» se la prende con la lunghezza dei documenti e senza temere il ridicolo afferma: «I testi prolissi con cui i brigatisti motivano le loro gesta hanno più di un'affinità con alcune tesi dei no global assatanati». Oppure, un editorialista più sobrio come Sabbatucci sul Messaggero, nonostante riconosca che oggi manchi il «brodo di coltura» del terrorismo, continua a chiedere alla sinistra sindacale e alla contestazione anti-guerra «qualcosa di più: occorre tracciare una linea divisoria più netta fra la legittima contestazione e la minaccia più o meno velata». Ovvio, ma che c'entrano i movimenti anti-guerra o la sinistra sindacale?

Il vizio dunque è duro a morire e non ci vuole nemmeno molto a comprenderlo. Quella sinistra e quel movimento danno fastidio, sono un problema e per batterli si deve ricorrrere all'argomento più insidioso e più diffamante: collusione con l'assassinio. Mentre dovrebbe essere chiaro, e dovrebbe essere valorizzato per chi abbia a cuore davvero la democrazia, che proprio quei movimenti costituiscono un antidoto inaggirabile - in termini di partecipazione, di democrazia dal basso, di aspirazione al futuro - all'impazzimento terrorista. Lo si è visto il 15 febbraio, il 9 novembre a Firenze o, sia pure in misura ridotta, nella stessa assemblea nazionale del movimento di domenica a Livorno, contemporanea ai tragici fatti del treno.

Una folla scomposta di calunniatori di professione, di pasdaran della provocazione, di editorialisti faciloni, preferisce invece intingere la penna nell'inchiostro dell'odio e della malafede. A nessuno, invece, è ancora venuto in mente che per inseguire l'immaginifica pista delle "nuove Br" e dei nuovi gruppi nati in ambienti no global o a margine dei black bloc, inquirenti e polizia hanno perso anni di indagini e di ricerche, dando la caccia ai fantasmi dell'ideologia di Stato senza vedere quello che si agitava sotto il proprio naso. E per prodigarsi a infangare una delle pagine più belle della politica partecipata - chi si ricorda le tesi di Pisanu alla vigilia del Forum sociale europeo di Firenze? - hanno finito con il perdere di vista l'essenziale. Forse la morte di un povero agente di polizia intento a fare il proprio lavoro, va inserita in questa eccessiva attenzione alla provocazione e al linciaggio politico. E forse non era inevitabile.

Salvatore Cannavò
Roma, 4 marzo 2003
da "Liberazione"