Il vero obiettivo non è l'autonomia delle Regioni, ma la privatizzazione dei servizi essenziali

Federalismo alla Bossi, lucido disegno di frantumazione sociale

Le proposte del PRC

Il governo Berlusconi ha cambiato di nuovo la Costituzione in uno dei capitoli essenziali: il famoso "Titolo V" in vigore dal novembre 2001. Né discuterà il Parlamento sulla base delle modifiche già intervenute e della stessa devoluzione di Bossi, che verrà incorporata nel nuovo testo costituzionale quando questo sarà eventualmente approvato.

Noi, è noto, avversiamo il cosiddetto "processo federalista". Il centro sinistra ha lungamente caldeggiato la teoria che fosse meglio gestire "in proprio" iniziative politiche avanzate da destra, con l'idea che interventi temperati o riformisti di politiche liberiste, avrebbero prodotto guasti nella destra e allargato il consenso su fasce socialmente di riferimento moderato. Tali idee hanno prodotto una devastante affermazione culturale di destra.

Le iniziative di Bossi (e il nuovo testo del Consiglio dei Ministri) sono dunque parte di un lucido disegno di frantumazione sociale che, attraverso spinte di egoismo territoriale, sorreggono l'ideologia liberista e il suo modello culturale. La vera posta in gioco è lo stato sociale sottoposto ad un violento attacco insieme all'universalità dei diritti: l'obiettivo non è mai stato l'autonomia funzionale delle Regioni, ma la riduzione delle spese, in particolare quelle sociali, per spostare bisogni e diritti sul terreno del mercato e delle privatizzazioni.

Di per sé il federalismo non è negativo ma nel nostro contesto è sbagliato. Da noi esso ha subito la nefasta cultura leghista, un misto di avidità del profitto e fobia razziale. Non ha mai avuto caratteristiche solidali e di vera autonomia regionale in uno Stato unitario, al contrario si è basato su una ascesa culturale in cui a prevalere era l'aspetto egoistico, della competizione territoriale e della liberalizzazione dei mercati. Il risultato sociale è fortemente penalizzante per le aree territoriali più deboli e per i soggetti sociali più emarginati e meno agiati. Del resto - mentre storicamente il federalismo, ovunque si è affermato, nasce dall'unione spontanea e condivisa di unità territoriali o veri e propri Stati - nella nostra realtà il processo è stato inverso: il nostro è l'unico paese al mondo che da Stato unitario si trasforma in Stato federale.

Alla base di questo processo involutivo ci sono state le elezioni dirette di sindaci, presidenti di provincia e regione, con affermazione degli esecutivi e la marginalizzazione delle assemblee elettive, sempre più ridotte a camere di ratifica di decisioni assunte in contesti ristrettissimi, spesso interpreti dell'esclusiva volontà di poteri economici forti.

In questo quadro è nata la riforma del Titolo V. Scuola, sanità, politiche attive del lavoro, tanto per citarne alcune, sono lasciate alla logica della competizione territoriale, dove il problema non è garantire tali diritti ma attrarre risorse ed investimenti "fuori territorio". Da qui la costante riduzione di risorse disponibili, in funzione di accordi internazionali il cui unico obiettivo è la finanziarizzazione dell'economia. E il cerchio si chiude con la necessità di privatizzare i servizi essenziali.

Si rischia così una involuzione generale e a farne le spese sarà la prima parte della Carta Costituzionale. Sanità, scuola, servizi sociali, lavoro, sono già da tempo nel mirino, mentre avanza sempre più forte l'attacco al contratto nazionale di lavoro.

Le nostre proposte

Va intrapreso un processo legislativo regionale, che in una rete fitta di rapporti con la legislazione nazionale e il conflitto sociale divengano la nuova trincea di lotta alla destrutturazione dello stato sociale e alla privatizzazione dei diritti e dei bisogni.

Siamo per un modello di ordinamento dello Stato che, mutuando quello tedesco, sia al tempo stesso espressione di rappresentanza sociale (sistema elettorale proporzionale) e diritti certi inviolabili e garantiti. I Lander (le regioni tedesche) non hanno i poteri che oggi hanno le nostre regioni eppure quello è uno stato federale da decenni: in quel sistema le competenze dei Lander sono limitate e la legislazione speciale avviene solo su precisa delega del parlamento tedesco.

La riforma dell'Ulivo poneva la fine del controllo del governo sulle leggi regionali (con eccezione per il solo ricorso alla Consulta per presunto vizio di costituzionalità); l'inversione delle competenze definite verso lo Stato, con la residualità assegnata, quando non espressamente "concorrente", alle Regioni. Nel nuovo testo viene cancellata la legislatura "concorrente", quella che l'Ulivo definiva federalismo solidale, con attribuzioni esclusive allo Stato e alle Regioni. Ciò nonostante, va salvaguardato il potere sostitutivo dello Stato stabilito dall'art. 120, da applicarsi quando occorre preservare i diritti civili e sociali. L'iniziativa del governo spazza via quella cultura "riformista" che, per l'appunto, ha pensato ancora una volta di governare il sistema capitalistico senza metterlo in discussione.

Un altro enorme pericolo è la "costituzionalizzazione" del patto di stabilità. Legare il sistema di finanziamento delle funzioni delegate a vincoli economici di bilancio, tendenti esclusivamente ad agire sulla riduzione dei costi di gestione, in particolare sui servizi, è un vero e proprio crimine ai danni delle classi sociali più deboli. Ed è gravissimo che ciò possa realizzarsi addirittura attraverso leggi delega, insite nella normativa di attuazione della riforma dell'Ulivo. Il processo federalista, le forme di rappresentanza e il sistema elettorale, le prerogative parlamentari o il presidenzialismo non sono indipendenti dal sistema economico e sociale che si persegue.

Questi temi di carattere istituzionale noi proviamo a leggerli anche dal punto di vista del movimento no global e sociale esistente, che punta, attraverso l'estensione dei diritti, a rompere l'egemonia culturale liberista e ad avviare una alternativa politica economica e sociale. Lo stesso referendum sull'articolo 18 è dentro questo percorso.

Da oltre vent'anni, temi come l'assetto organizzativo dello Stato e il modello istituzionale perseguito sono oggetto di discussione e processi riformatori tra addetti ai lavori chiusi in ambiti di "palazzo" e avulsi dalle dinamiche sociali esterne. La nostra iniziativa deve passare attraverso una intelligente opera di "rottura" nell'ambito istituzionale, ma, soprattutto, attraverso una forte spinta partecipativa ai processi decisionali degli ordinamenti legislativi, da parte dei soggetti sociali e del movimento, senza la quale, considerate le forze in campo negli ambiti istituzionali, siamo condannati a sconfitta certa. Le stesse modalità del percorso istituzionale sui tre livelli Europa-Stato-Regioni non possono essere certamente quelle tradizionali del puro confronto e della mediazione interna al Palazzo.

In questo contesto, non vanno tralasciati, o peggio incoraggiati, i percorsi aperti a livello regionale con le modifiche statutarie che centrodestra e centrosinistra vogliono erigere a vere "costituzioni" regionali. Di fronte alla ennesima modifica di funzioni e competenze legislative, bloccare l'esito degli statuti per provare ad imporre la titolarità primaria dello Stato sui diritti civili e sociali oltre ad essere l'unica strada politicamente perseguibile, diventa un fattore persino morale.

Marco Nesci
Roma, 12 aprile 2003
da "Liberazione"