Elezioni amministrative 25 - 26 maggio 2003

Bertinotti: «E ora facciamo passare il sì al referendum»

Ed ora i Referendum

Fausto Bertinotti è soddisfatto dei risultati elettorali. Di quelli del suo partito e di quelli della sinistra. Ora però guarda oltre. Ragiona sulla domanda di unità a sinistra che viene dalle cose, e ragiona sul referendum. Per il referendum sull’estensione dell’articolo 18 si voterà fra tre settimane. Bertinotti dice che è una scadenza importantissima: «Più si avvicina e più penso a tutte le cose positive che succederebbero in caso di vittoria dei “Sì”».

Quali sono le cose positive ?

«Sul piano sociale si realizzerebbe un’inversione di tendenza. Oggi siamo in una fase dominata dalla comprensione dei diritti dei lavoratori,se vincesse il “si” entreremo in una fase opposta, e cioè di espansione dei diritti. Io per esempio credo che si renderebbero impossibili episodi drammatici come è stato il contratto separato dei metalmeccanici. Sul terreno politico sarebbe invece una sconfitta pesante per Berlusconi. Del resto è stato lui a dirlo chiaramente. Ha individuato nel referendum il “nemico” più pericoloso. Ed è sceso in campo per l’astensione».

Dopo questi risultati elettorali, e con l’unità realizzata dalla sinistra e dal centrosinistra in campagna elettorale, è possibile evitare una divisione troppo netta al referendum?

«Io mi rivolgo ai partiti del centro-sinistra sulla base di questo ragionamento semplicissimo: la vittoria del “si” non può arrecare nessun danno alla sinistra e ai lavoratori, e invece danneggia la destra e il padronato. Poi ci si può dividere su altre cose. Sull’opportunità del referendum, sul fatto che sia la via più giusta per ottenere nuovi diritti, sulla necessità di difendere le piccole imprese, e altre cose ancora. Benissimo, io dico questo: il 15 giugno si vota, sospendiamo il giudizio di merito, decidiamo insieme per il “si”, che alcuni daranno come sì convinto e di merito, altri come “si tecnico”; cerchiamo di portare a casa, insieme, una vittoria, e poi - ancora insieme - lavoriamo per trovare intese su un programma che riguardi tutti i grandi problemi della riforma del mercato del lavoro, del diritto del lavoro e del modello produttivo».

L’obiezione che viene mossa riguarda la piccola impresa. Si dice che una vittoria del “si” la danneggerebbe e la renderebbe meno competitiva rispetto alla grande impresa.

«Io sono favorevole a una politica che avvantaggi la piccola impresa. Ma non sul piano della riduzione dei diritti dei lavoratori. Su altri piani. Cioè con la realizzazione di politiche economiche, creditizie e legislative favorevoli alla piccola impresa. Non posso ritenere che sia giusto avvantaggiare la piccola impresa sfavorendo i lavoratori e comprimendo i loro diritti. Per questo dico: discutiamo il modello produttivo. Il modello vincente, oggi, è basato su alta flessibilità e bassi diritti. E la competizione avviene su questo. Chi riesce a ottenere la più forte flessibilità e a ridurre al minimo diritti e salari, vince. Io credo invece che vadano premiate quelle imprese - comprese le piccole imprese - che competono sul piano dell’innovazione e dell'inventiva. Non possiamo mettere sullo stesso piano questi due tipi di imprese. La destra sceglie le imprese del primo tipo, la sinistra deve fare il contrario».

Che messaggio manda a Fassino, a D’Alema e a Rutelli.

«Chiedo a loro e a tutti gli altri dirigenti dell’Ulivo di pronunciarsi per un “si tecnico”, anche in risposta all’ultima presa di posizione di Berlusconi».

Questo potrebbe sbloccare i rapporti a sinistra e favorire un cammino unitario tra Ulivo e Rifondazione?

«Certamente».

Diamo un giudizio sul risultato elettorale. Vi aspettavate più voti per il vostro partito?
«No. Siamo contenti di avere avuto molti voti. Di averne guadagnati rispetto al 2001. Poi è logico che con questo sistema politico, dentro una coalizione, il partito che viene più premiato è il partito-perno. Nel caso del centrosinistra, i Ds».

Quindi non è grave la flessione della Margherita?

«No, è nell’ordine della cose, ed è importante che molti candidati a sindaco (o a presidente) della Margherita abbiano avuto tanti voti, anche di fronte a una flessione nel voto di lista del loro partito».

Il politologo Giovanni Sartori ieri ha detto che “Rifondazione” è la palla al piede per il centrosinistra. Dice che l’Ulivo ha bisogno di Rifondazione per vincere, ma che le posizioni estremiste di Rifondazione gli impediscono di governare...

«È un’analisi molto datata. Che si basa sull'idea che ci sia un Ulivo immobile da una parte, un granito, e dall’altra un'immobile e granitica Rifondazione. Non è più così. In questi ultimi mesi c’è stato un disgelo, provocato in gran parte dalla pervasività dei movimenti, e soprattutto del movimento pacifista, che ha condizionato fortemente i partiti del centrosinistra, le sue politiche e il suo spirito. Il movimento pacifista ha modificato l’idea di politica, e perfino l’idea di rappresentanza, in vaste aeree cattoliche. Oggi il centrosinistra non è più una realtà omogenea che si confronta con Rifondazione. Il centrosinistra è diventata un’aera plurale, al cui interno convivono e si confrontano, su temi decisivi (come la pace, il lavoro, i diritti) posizioni anche lontane. Talvolta alcune di queste posizioni sono molto vicine, o coincidono, con quelle di Rifondazione».

Piero Sansonetti
Roma, 28 maggio 2003
da "L'Unità" (edizione online)