Caro direttore,
sulla vicenda del Corriere della Sera
abbiamo discusso apertamente a Liberazione e la discussione ha contribuito
a rendere possibile un giudizio più equilibrato da parte di tutti.
Io
ho sempre evitato nelle mie argomentazioni di usare su Folli espressioni
che potessero suonare «sprezzanti», considerandolo come tutti un buon
notista politico che ha fatto dell’equilibrio la cifra connotativa delle
sue apprezzate analisi. E lo stesso segretario Bertinotti ha detto che
l’accantonamento di De Bortoli non era un normale avvicendamento, ma il
risultato di un attacco di Berlusconi al fine di conquistare quel
giornale. Possiamo, poi, entrambi convenire che quell’attacco è riuscito
solo a metà.
Sono però emerse, al di là di questo, due questioni
politiche serie.
La prima riguarda il merito di ciò che è avvenuto e
di ciò che potrebbe ancora avvenire. Il giudizio su De Bortoli e su Folli
passa in secondo piano se lo si inserisce in un contesto, che è quello di
un’operazione su larga scala per il controllo diretto o indiretto
dell’intero sistema informativo da parte di un governo che trovandosi in
difficoltà accentua il proprio profilo autoritario. Un’operazione che,
partendo dal pieno controllo di Mediaset, sta devastando e subordinando il
servizio pubblico televisivo, investe anche il poco che era rimasto fuori
dal duopolio aziendale ridotto a monopolio politico (vedi La7 e la Sky di
Murdoch) e si è sviluppata anche nella stampa quotidiana, ma per
Berlusconi in misura ancora insufficiente: c’è l’opposizione di
Repubblica, concentrata vivacemente su certi temi, e quella de l’Unità, a
parte ovviamente la critica «militante» di Liberazione e del Manifesto. E
si sono manifestate «falle» anche nel Corsera, i cui relativi margini di
indipendenza sono sempre stati malsopportati dai diversi governi; ma che
di recente ha avuto imperdonabili audacie su due temi decisivi: quello
della guerra e quello del processo Previti. Berlusconi aveva già in
passato tentato di prevenirle con modifiche dell’assetto proprietario
(attraverso l’entrata di Ligresti), scontrandosi con un fronte di
azionisti che le avevano respinte. Successivamente però, di fronte ai
nuovi sgarbi e dopo il ricambio alla Fiat, e a seguito del complessivo
indebolimento delle componenti proprietarie del più importante quotidiano
italiano, Berlusconi è tornato all’attacco. Risultato: non una conquista
immediata e clamorosa, ma un compromesso con l’attuale proprietà, anche
attraverso la mediazione non troppo occulta del Quirinale. In sé, la
sostituzione di De Bortoli con Folli non liquida linea e autonomia
(relativa) del giornale, ma sancisce che, oltre determinati limiti, non si
può andare. E questo non è tutto, forse non è neppure la cosa essenziale.
Aperta la via alla logica del compromesso, non solo è già in vista la
riproposizione dell’ingresso di Ligresti o di chi per lui (anche questo
potrebbe apparire un piccolo passo), ma è ormai in dirittura di arrivo la
legge-Gasparri che liquida il solo elemento effettivo di antitrust rimasto
nel campo dell’informazione: la distinzione netta fra la proprietà diretta
delle televisioni e quella dei grandi giornali.
A quel punto anche una
presenza non appariscente nel Corsera avrà dietro di sé un’armata
potentissima, cioè l’uso (e l’abuso) della raccolta pubblicitaria da parte
di chi vi esercita un soverchiante controllo. Perciò non mi convince una
risposta agli interrogativi sugli aspetti proprietari di via Solferino
all’insegna del «Vedremo». Qui, oltre che vedere, occorre prevedere.
Sapete che a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si indovina.
Una pressione su questo fronte dello spostamento di pubblicità, da cui i
giornali sempre più dipendono, è già in atto in modo corposo e non c’è
rispettabilità professionale individuale che potrebbe resistervi. Ecco la
ragione di fondo del mio allarme per una questione che è, ripeto, di
libertà.
La seconda questione è più generale e direttamente politica.
Sia Rina Gagliardi che Ritanna Armeni hanno rimproverato al giornale,
ossia al suo direttore, una deviazione settaria che impedisce di vedere
come anche tra chi non la pensa come noi ci sono da fare delle
distinzioni; un settarismo che equipara tutti a Berlusconi e nasce da una
ossessione antiberlusconiana. Tale rimprovero mi ha ferito, anzitutto
perché altera e rovescia la verità dei fatti. In redazione o fra il
giornale e il vertice del partito ci sono stati nell’ultimo anno momenti
di dissenso, ma in questi dissensi io mi sono sempre trovato, a torto o a
ragione, tra quelli che sempre cercavano di sottolineare la differenza fra
avversari, fra gli alleati, fra le forze incerte. Questo è avvenuto nel
giudizio sul congresso della Cgil, in quello sui Girotondi nascenti, in
quello su Cofferati e sulla sinistra Ds, prima del recente arretramento.
Tra queste distinzioni, per venire al merito, a me è sembrato di
fondamentale importanza quella fra il centro-sinistra (che pure converge
spesso con Berlusconi su questioni di fondo o gli ha aperto prima la
strada) e il centro-destra italiano che, come dice Bertinotti, non è
un’anomalia, ma ha comunque una pericolosità specifica - sul terreno della
legalità democratica - se non rispetto a Bush, certo rispetto ad altre
forze conservatrici europee. Credo che abbiamo nel complesso sottolineato
troppo poco tale elemento che invece fra la gente, anche quella che era in
piazza con noi con parole d'ordine avanzate, è molto avvertibile. La
stessa analisi radicale dei conflitti in atto, la stessa analisi di classe
del neo-liberismo non esclude ma al contrario esige che si proceda con
coerenza, nella concretezza della vita sociale e politica, alla denuncia
sistematica e puntuale - come giornale politico ma anche come partito -
delle azioni messe in campo e degli agenti del neo-liberismo E cioè, qui
ed ora, del berlusconismo. Del resto il vigore della lotta democratica non
oscura, ma anzi aiuta altri e più radicali movimenti di lotta, i quali, e
lo vediamo, hanno oggi estremo bisogno di un sostegno più ampio e
variegato. Ecco perché nella vicenda del Corriere, come in quella della
giustizia, mi pareva giusto sollevare ripetutamente l’allarme.
Concludendo, una questione di fondo. Negli ultimi mesi, e in
particolare dopo le recenti elezioni amministrative, il segretario
Bertinotti ha assunto posizioni nuove e coraggiose sul tema fondamentale
della prospettiva politica. Sintetizzabili nella formula «oltre la
desistenza, un serio accordo di governo senza rotture preventive».
Avrei preferito che il giornale fosse messo a parte di tale novità e
avesse potuto prepararla e accompagnarla. Ma l'obiettivo mi pare
senz’altro giusto. Anche se quanto mai difficile, perché:
Perciò ritengo più importante che mai l’esito del referendum. Al di là
di esso è comunque necessario dare a questa nostra proposta credibilità
politica e precisione programmatica perché non venga recepita come una
manovra di convenienza e perda così gran parte della sua efficacia.
Occorre dunque non sprecare ancora tempo ed energie - dopo esserci
chiariti sulla faccenda del Corsera - e avviare una discussione ben più
impegnativa e tutt’altro che semplice. Ad esempio sul perché, dopo aver
previsto e aiutato movimenti tanto ampi e radicali, non li abbiamo
intercettati nel voto (e questa volta senza una crescita
dell’astensionismo e senza il ricatto del voto utile).
E ancora di più
su quali siano le discriminanti minime, ma essenziali, per un «accordo di
governo», e quali processi politici possono renderlo possibile.
Se
tutto ciò è essenziale per il partito, lo è altrettanto e ancora di più
per un giornale che ogni giorno deve misurare una politica con i fatti e
renderla credibile e comprensibile alla gente semplice, anche a coloro
che, su un versante o sull'altro, non sono disposti a darci deleghe in
bianco, né possono considerare sufficiente la pur giusta esigenza di
conservare e incrementare la nostra forza o la nostra presenza
istituzionale.