No. Non se ne può più. Ho già, su queste stesse colonne, emesso il mio grido
di protesta; ma, davanti all'insistente fuoco di fila di organismi clericali, di opinionisti schierati
indefettibilmente a guardia dell'Oltretevere vaticano, di politici "laici" che ad ogni
stormir di fronda si sentono in dovere di inviare messaggi conciliantemente remissivi verso San Pietro,
ebbene non posso tacere. Non possiamo tacere. Credo, senza enfasi, che siamo in una vera e propria
emergenza della dimensione laica della politica, che rischia di essere sommersa, e forse cancellata
per sempre, da un'invadenza gravissima da parte della sfera religiosa. Posto che (anche questo ho
già scritto) l'assalto alla laicità della politica giunge non soltanto da parte del
cattolicesimo istituzionale, ma anche da altre confessioni religiose - islamismo ed ebraismo, in
particolare -, non v'è dubbio che hic et nunc, dobbiamo difenderci in primo luogo dall'insistente
assalto che i pasdaran del papa, una pattuglia diventata esercito, conducono quotidianamente.
Trovo bizzarro, oltre che preoccupante, che una scritta su di un muro di una parrocchia, all'insegna
di un anticlericalismo ingenuo, pure volgare, magari un po' stantio, contro Ratzinger o contro i
suoi mastini, da Bagnasco a Ruini, generi un immediato bisogno, da parte di governanti e amministratori,
di inviare telegrammi di "solidarietà", con parole alte e roboanti che interpretano
i "sentimenti più autentici del popolo italiano". E se gli italiani covassero dentro
un fastidio crescente per l'invadenza vaticana? E se gli italiani non ne potessero più di
sentirsi ogni giorno - ripeto: ogni giorno, quasi a mo' di santificazione del calendario gregoriano
- precettare, imbonire, redarguire, minacciare da qualche prelato, non importa quale sia lo scranno
da cui parla? Prelati, che, nell'era ratzingeriana, si sentono più che mai investiti di una
missione salvifica verso il genere umano; e poiché gli umani sotto tiro sono i nostri concittadini,
che hanno la ventura di vivere nel Paese sede della cattolicità, ne consegue che siamo noi,
tutti noi - anche i non cattolici, i non credenti, gli agnostici e gli atei dichiarati - i destinatari
delle reprimende e delle censure ecclesiastiche. E se ci si permette di sollevare dubbi, di invocare
la libertà delle coscienze, di sottolineare che lo Stato italiano, da Cavour a Einaudi, ossia
nella sua duplice fondazione, quella liberale-monarchica, e quella democratico-repubblicana, ha introiettato
i principi della separazione dei poteri e quelli della indispensabile laicità dell'azione
politica, ebbene, davvero, apriti cielo. Ecco scattare l'accusa di anticlericalismo, se non addirittura
di anticattolicesimo o anticristianesimo. (Riflesso condizionato che opera secondo un meccanismo
analogo per cui chi critica Israele viene ipso facto bollato come antisemita).
Anticlericali, dunque, coloro che criticano il papa? Anticlericalismo è sottolineare l'ossessiva
coazione a ripetere di cui la curia romana dà prova attaccando qualsiasi proposta, legge o
semplice discorso sui temi della bioetica, delle relazioni interpersonali, ma più in generale
sulle forme della convivenza civile? Se lo è, ebbene oggi dovremmo dire, anzi dobbiamo dire
e proclamare con voce forte e chiara, che non possiamo non essere anticlericali. Tanto più,
se riteniamo di appartenere alla schiera di coloro che per mestiere e vocazione intendono schierarsi
sotto le insegne di una sola bandiera, quella della Ragione critica. Se rinasce oggi l'anticlericalismo
- ammesso e non concesso - ciò si deve esclusivamente a questa pontificia ossessione (su cui
uno psicanalista avrebbe certo da lavorare...) interventista, su quelle sfere ma in realtà su
tutto. Dinanzi all'offensiva di un nuovo, violento estremismo clericale, difficile non aspettarsi
una risposta di segno uguale e contrario. Del resto, credo che l'anticlericalismo oggi non sia nemmeno
riproponibile, culturalmente, se lo pensiamo nei termini del "cloro al clero" e altre sciocche
beceraggini. La parte migliore del pensiero laico, razionale, democratico e dello stesso marxismo
critico contemporaneo - Gramsci in testa -ha gettato alle ortiche siffatto anticlericalismo. Ciò che
invece è necessario e anzi urgente è dare vita a una vera e propria barricata laica:
non possiamo lamentare e condannare, giustamente, la soggezione della politica alla religione in
certe realtà del mondo islamico - ma non soltanto -, e non vedere quel che succede da noi.
Non si tratta di puntare l'indice accusatore sul papa, davanti alle troppe nefandezze che in un modo
o nell'altro riconducono all'occhiuta, censoria politica della Chiesa; si tratta invece di difendere,
con il nostro lavoro - di insegnanti, di ricercatori, di scrittori, di organizzatori di cultura -
la laicità. E non si replichi che questa è cosa buona, mentre il laicismo sarebbe cosa
cattiva. Sono la stessa cosa, esprimono gli identici valori, danno voce alla medesima esigenza: tutelare
la libera scelta degli individui, assicurare a tutti, e in particolare alle "fasce deboli",
le garanzie del sostegno dello Stato; eliminare, nel segno dell'uguaglianza, le differenze tra persone
in base al genere, ai ruoli, alle opzioni religiose. In una sola parola, il laicismo, idea e pratica
della laicità, che in filosofia è la difesa del primato del principio della Ragione
libera contro il principio di autorità; in politica, è innanzi tutto la rivendicazione
della sovranità della politica fondata sulle scelte, contro la politica fondata sulle appartenenze
e le fedeltà. In tal senso, nella nazione sul cui territorio sorge quell'anacronistico residuo
di Stato Pontificio, il laicismo è una trincea in pericolo, quasi una linea Maginot apparentemente
imprendibile, ma di fatto aggirabile grazie alla complicità di pochi e all'inerzia di tanti.