Primarie del PD

Bersani e la sfida di un nuovo centrosinistra

Bersani accantona – almeno nelle parole della sua mozione – il bipartitismo e l’autosufficienza del suo nel panorama politico italiano e apre ad uno schema di dialogo che non va visto come lancio di una stagione di nuovi compromessi, ma come il recupero di un’esperienza gestita male, finita peggio: il centrosinistra

Ci sono almeno tre dati rilevanti nelle primarie del Partito Democratico per l’elezione del suo segretario e della sua assemblea nazionale.
Per prima cosa l’affluenza alle urne.
Per seconda la vittoria di Bersani.
Per terza la percentuale di Marino.

Un po’ tutti stanno dicendo che, in effetti, tre milioni di persone che si recano ad un seggio non istituzionale, marcatamente di partito e con un valore quindi relativamente incluso al soggetto proponente la consultazione, sono un evento e che, ogni volta, rappresentano sempre una soglia maggiore rispetto a quella precedente.
Se è ancora vero che le elezioni primarie non facevano parte della tradizione politica italiana, ma semmai di quella americana, è pur vero oggi che vengono riconosciute come un momento decisionale, come un luogo dove esprimere una delega simile a quella parlamentare o, se la similitudine calza meglio per via del personalismo espresso, con l’elezione del sindaco del proprio paese, della propria città.
Questo non significa che Rifondazione Comunista debba assumere le primarie come metodo di elezione dei propri organismi interni. Anzi. Da tutto questo gran partecipare viene fuori sempre e solo l’esempio dell’antitesi del partito che vogliamo noi: non un partito “leggero”, un partito etereo nella sua struttura molecolare di base (che sopravvive grazie ad una larga fetta di vecchia militanza piciista) e indefinito nella sua linea politica che, di tanto in tanto, si fa viva allo schioccar di dita di qualche personaggio confindustriale, soggetti di cui il PD non è, per il vero, carente.
In conseguenza a tutto ciò, viene immediata una domanda, un dubbio, un pensiero ombroso: ma l’elettorato delle primarie in che posizione si trova rispetto alla linea del partito di cui elegge il segretario?
Accorciando le virgole e i punti: è un elettorato più “a sinistra” del gruppo dirigente centrista del PD o è un elettorato che, pur votando Bersani (e quindi il candidato che ha una somiglianza con taluni tratti socialdemocratici di vecchia memoria pdiessina), guarda alla Binetti (che pure ha votato per il Pierluigi nazionale) e a concetti da pragmatizzare come la sicurezza, l’occidente, la libera circolazione delle merci, la concorrenza e la flessibilità?
L’idea che mi sono fatto, ascoltando alcuni amici (mi perdoneranno se non li chiamo “compagni”, ma è un termine così prezioso ormai che va non “usato”, ma “dosato” per chi veramente merita questo epiteto), è che chi guarda al PD non lo fa solo per un marcato senso antiberlusconiano, che pure è vivo e vegeto e che è notevolmente sottovalutato da noi comunisti, ma lo fa perché è in sintonia col securitarismo di Cofferati, con il liberalismo veltroniano e con l’idea di alternanza al governo del Paese.
E’ questa la direttrice più pericolosa che si possa individuare nel Partito Democratico. Pur sempre in uno schema di alternanza, Bersani accantona – almeno nelle parole della sua mozione – il bipartitismo e l’autosufficienza del suo nel panorama politico italiano e apre ad uno schema di dialogo che non va visto come lancio di una stagione di nuovi compromessi, ma come il recupero di un’esperienza gestita male, finita peggio: il centrosinistra.
Ed eccomi al secondo punto, la vittoria di Bersani. Dobbiamo dircelo in tutta franchezza: la sua vittoria può rompere degli schemi politici ma difficilmente romperà degli schemi sociali. E senza una rottura di questi ultimi, senza una aderenza nel sociale, nella tribolazione quotidiana di chi deve sbarcare il lunario sempre più magro, toccherà ancora a ciò che si dice resti della sinistra per spingere questo carrozzone mezzo imprenditoriale e mezzo operaio, né carne né pesce (e neppure vegetariano, neppure con una terza via…), a scegliere di stare qualche volta in più dalla parte dei deboli e dei nuovi miserabili invece che appoggiare sempre e comunque Colaninno, Calearo e compagnia cantando.
Siccome non è compito del PD provare a far uscire “in basso a sinistra” questo Paese dalla crisi, è evidente che il ruolo di Rifondazione Comunista assume un carattere ancora più decisivo se si è estremamente pragmatici e, con tanta semplicità, si nota che solo attorno al PRC esiste ancora un progetto di sinistra, mentre Sinistra e Libertà si sta squagliando al sole come neve in un mattino di calda primavera.
Io capisco la diffidenza, la rabbia e, a volte, l’insorgenza di molte compagne e di molti compagni che vorrebbero sbattere una porta al PD in faccia e ricercare la via solitaria della lotta. Io non capisco, invece, quei compagni e quelle compagne che, cascasse il mondo, farebbero accordi elettorali e politici col Partito Democratico ad ogni spron battuto.
Comprendo i primi se al ragionamento di pancia viene in soccorso quello del cervello e, quindi, una analisi della fase attuale che ci consegna un mandato chiaro e netto: esistere per resistere e viceversa e, per questa via, sconfiggere il disegno veltroniano di cancellazione della sinistra, di annichilimento di Rifondazione Comunista.
Se la vittoria di Bersani vorrà dire questo lo verificheremo anche troppo presto.
Un ultima considerazione su Marino. Raddoppia la sua percentuale e, ai dati che per ora emergono, ottiene quasi il 14% dei voti. Non avrà la segreteria del PD, ma di certo si apre anche in questo caso un capitolo interessante nella storia di questo soggetto politico: la tradizione dualistica di recente eredità tra diessini e margheritini è alla fine? C’è posto per un definito ambito laico tra i democratici? Forse c’è posto anche per qualche illusione di sinistra in un partito di centro liberale quale è oggi il PD. Ma se questa pure esiste, conterà sempre molto, ma molto meno di quello che oggi conta l’apparente sinistra di Marino che, con un paragone un po’ forzato, potremmo definire “radicale”. Nel senso pannelliano del termine… Buon viaggio!

Marco Sferini
Savona, 26 ottobre 2009
da “www.lanternerosse.it