Manovra finanziaria del governo Monti

La peggiore manovra classista dai tempi di Amato

La manovra è recessiva e ben oltre le indicazioni europee, che sostenevano la necessità di una manovra correttiva di 11 mld di euro, ma comprometterà la sostenibilità dei consumi delle famiglie.

La crisi economica e finanziaria internazionale manifestatasi nel 2007 sembra avvitarsi su se stessa, fino a compromettere e ridimensionare uno degli attori fondamentali della soluzione della stessa crisi: lo stato e la spesa pubblica.

Paradossalmente, è proprio l’Europa, intesa come area euro, l’istituzione che più di altre condiziona le politiche pubbliche introducendo vincoli di bilancio pubblico che mal si conciliano con la forte caduta della domanda. Per l’Europa la soluzione della crisi passa attraverso la messa in sicurezza dei conti pubblici, cioè un significativo contenimento della spesa pubblica e un ridimensionamento del debito pubblico. Sempre secondo l’Europa, la messa in sicurezza dei conti pubblici sovrani riduce il rischio di insolvenza degli stati, ripristinando un clima di fiducia negli operatori economici.

Il principale effetto del contenimento della spesa pubblica aggregata europea è un ridimensionamento delle aspettative di crescita per il 2012, prefigurando un “double dip”. Sono in molti a considerare plausibile un segno meno nella crescita del pil europeo per il 2012, mentre per l’Italia si avvertono segnali ancor più preoccupanti. Se con la manovra Tremonti la crescita economica per il 2012 era stata rivista al ribasso dello 0,5%, con la manovra di Mario Monti, ben più recessiva di quella di Tremonti, le previsioni di crescita viaggiano verso un meno 1,5-2%. La riduzione del rapporto debito-pil diventa una rincorsa senza fine. Con una minore crescita per il 2012, con la necessità di rifinanziare almeno 400 mld di debito pubblico, per non parlare di 150 mld di obbligazioni private, servirebbe un’ulteriore manovra da 20 mld di euro entro i primi 4 mesi del 2012. Una spirale che ricorda tanto la crisi del ’29.

Riprendendo Minsky: “Nel tormentato periodo che va dal 1929 al 1936 gli economisti accademici …. non avevano saputo offrire pressoché nessun suggerimento politicamente accettabile circa un piano d’azione governativo, in quanto essi erano fermamente convinti della capacità d’autoregolamentazione del meccanismo di mercato ….. l’economia prima o poi si sarebbe ripresa da sola, a patto che la situazione non venisse aggravata ulteriormente dall’adozione di un’errata politica economica, inclusa la manovra fiscale”.

La correzione dei conti pubblici effettuata dal Governo Monti è pari a 30 mld, 17 mld di maggiori entrate e 13 di minori spese. Inoltre, la manovra è aggiuntiva a quella di quasi 60 mld di euro di Tremonti. Sostanzialmente il paese ha sopportato un taglio della domanda aggregata pari a quasi 100 mld di euro, senza che vi sia stato un qualsiasi miglioramento né dei conti pubblici, né della crescita. Appena il mercato si renderà conto che la manovra indebolirà la crescita, ritorneranno le pressioni finanziarie internazionali, ricominciando il balletto dello spread sui titoli pubblici.

Non solo la manovra è recessiva e ben oltre le indicazioni europee, che sostenevano la necessità di una manovra correttiva di 11 mld di euro, ma comprometterà la sostenibilità dei consumi delle famiglie.

Molti sostengono che le famiglie italiane sono un popolo di risparmiatori, ma la realtà è molto diversa. Le diverse manovra correttive di questi ultimissimi anni hanno ridotto il tasso di risparmio delle famiglie italiane a livelli da paese anglosassone. Da paese risparmiatore, quasi il 12% del Pil, oggi il tasso di risparmio è prossimo al 5%.

Le famiglie italiane hanno dovuto attingere ai propri risparmi per mantenere livelli minimi di consumo, con il paradosso di un aumento della propensione ai consumi. Infatti, se si riduce il reddito disponibile, gran parte dello stesso, percentualmente, è destinato al consumo. Non solo. Le reiterate manovre di contenimento della spesa pubblica e la reiterata crescita della pressione fiscale sui redditi (certi), ha prodotto una polarizzazione dei redditi seconda solo a quella degli USA, ma con tassi di crescita del pil molto più bassi.

Gli unici soggetti a trarre beneficio dalla manovra correttiva sono le imprese, sia dal lato della riduzione del prelievo fiscale sulla propria base imponibile (Irap su Ires e irpef), sia dal lato della lotta all’evasione fiscale. La tracciabilità a partire da 1.000 euro è superiore a quella suggerita da molti soggetti direttamente interessati, i quali avevano proposto una tracciabilità da 300 a 500 euro.

Ma queste misure fiscali a tutto favore delle imprese, dipinte come misure per la competitività, eludono il problema storico del sistema delle imprese: le imprese italiane non sono competitive sul mercato internazionale perché producono beni e servizi che il mercato internazionale non chiede. Non sarà una ulteriore riduzione del costo del lavoro a migliorare la situazione. Se proprio si doveva fare una manovra di struttura per competere con i mercati internazionali, era possibile industrializzare la ricerca pubblica per attività che i privati sono del tutto impreparati a realizzare, e per questa via offrire una prospettiva di lavoro ai giovani.

Poi ci sono le misure vessatorie: tagli alla sanità, compensati da un aumento delle addizionali regionali a carico dei cittadini, cioè le imprese contribuiranno in misura sempre più contenuta alla spesa sanitaria; aumenti dell’età pensionabile per anzianità e vecchiaia, senza porsi il problema del coefficiente di trasformazione che sarà più basso in ragione dalla caduta verticale del pil, unita al disallineamento tra inflazione e assegni pensionistici. Sono in molti a sostenere che quest’ultima misura interessa un nucleo di soggetti che va ben oltre i pensionati. Qualcuno intravvede una linea governativa nella politica dei redditi da lavoro dipendente. Se c’è crisi, come possiamo sostenere gli aumenti salariali?

Le entrate legate allo scudo fiscale e ai beni di lusso come misure di bilanciamento? Se queste sono le misure d’equità….possiamo piangere per molto tempo.

Roberto Romano (Ricercatore della Cgil Lombardia. Si occupa di politica industriale, contrattazione, bilancio pubblico)
Milano, 5 dicembre 2011
Associazione Culturale Punto Rosso