La novità della manovra di Monti

ICI-IMU: Le batoste di Monti e le lacrime di coccodrillo della Lega

L'IMU di Monti non è diversa dall'IMU di Berlusconi - Bossi e si configura, oltre che come una “mini - patrimoniale” come un grave attacco all'autonomia dei Comuni.

L’IMU è la reintroduzione dell’ICI?

Per i Comuni, la recente manovra economica ha introdotto due novità fiscali. Della prima si parla tanto e riguarda la reintroduzione dell’ICI o l’introduzione dell’IMU, mentre la seconda è legata alla raccolta dei rifiuti solidi urbani e le modalità di ricalcolo della vecchia tassa, se non addirittura della “tariffa Ronchi”, che non tutti i Comuni hanno introdotto.

Cerchiamo di sciogliere un primo quesito: l’IMU è la reintroduzione dell’ICI? O è una patrimoniale di fatto, sia pure mascherata? O è il tributo previsto dal cosiddetto federalismo fiscale di marca leghista? Oppure, è un’altra cosa?

Credo che nessuno possa paragonare questa IMU con quella del federalismo fiscale leghista, ma solo perché non esiste un testo di proposta di legge da esaminare, salvo alcune dichiarazioni dell’allora ministro Calderoli, che non sciolgono l’enigma.

Infatti, la dichiarazione di maggior spessore ha affermato che l’IMU avrebbe assorbito le dodici o tredici tasse sulla casa semplificando la vita del contribuente. In altra occasione ho cercato di individuare quelle tasse, ma non sono arrivato alle dodici o tredici di Calderoli.

Cerchiamo anche in questa occasione. L’ICI ha gravato sulla prima casa fino al 2008, quando il governo Berlusconi, nel famoso Consiglio dei ministri di Napoli, approvò il decreto di cancellazione del tributo.

Poi, esiste la Tarsu (in alternativa, la “tariffa Ronchi”) sui rifiuti. L’ormai antico Testo unico ha commisurato la tassa alla metratura della casa indipendentemente dalla produzione di rifiuti, mentre la tariffa Ronchi (sto parlando dell’ex-ministro verde, non di quello di destra e della privatizzazione dell’acqua) ha cercato di porre rimedio a quella situazione.

Quindi, l’unico legame della Tarsu con la casa è solo quello dell’ampiezza. In regime di tariffa, cade anche questo legame, proprio perché cambia la modalità ed il riferimento per il calcolo.

Poi, c’è tutto il malloppo fiscale in materia di compravendita, ma nella vita di una famiglia è un avvenimento solitamente non ripetitivo.

C’è anche, infine, la successione. Al di là della vicenda legislativa di questo tributo (la riduco, la cancello, la reintroduco) che i vari governi ci hanno fatto vedere, anche la successione non è un fatto ripetitivo, ma legato ad una situazione specifica. In assenza di un testo noto, questa IMU deve intendersi come quella che la Lega aveva previsto per l’attuazione del federalismo fiscale, altro che opposizione alle tasse di Monti.

Le altre questioni sono tutte connesse fra di loro. Nel momento in cui si decide un tributo sulla casa, si prende una parte o tutto il patrimonio (se il patrimonio è costituito dalla sola casa) e lo si assoggetta al fisco. Sicuramente, quindi, l’ICI prima, l’IMU adesso, sono una piccola patrimoniale. Ripeto: una piccola patrimoniale, perché un’imposta patrimoniale seria deve riguardare l’intero patrimonio, non solo una componente.

Ma ICI ed IMU non sono la stessa cosa, perlomeno per come è previsto nella legge.

Un grave attacco all'autonomia dei Comuni

Questo decreto “Savitalia” ha cancellato un potere comunale che compromette tutta la riforma degli enti locali, e cioè il potere di disciplinare sul proprio territorio l’applicazione di una legge dello Stato. Il potere di regolamento è parte fondante dell’autonomia di un ente locale, nello specifico di questo tributo dei Comuni. Sto parlando delle prime riforme pre-Bassanini, ma anche di quelle targate Bassanini.

Insomma, il post-Bassanini non è e non sarà la cancellazione di alcune storture, che la pratica quotidiana ha messo in luce (per esempio, il rapporto Sindaco, giunta e consiglio comunale), ma l’attacco all’autonomia degli enti.

L’ICI aveva una tariffa minima ed una massima. I Comuni con deliberazione di consiglio potevano utilizzare la forbice per meglio diversificare i soggetti. Ad esempio, una tariffa diversa fra grande e piccola distribuzione poteva favorire il piccolo commercio. Ma vale per gli artigiani e l’industria media o grande, e così via.

L’IMU prevede una sola tariffa dello 0,76%, ridotta allo 0,4% per la prima abitazione, che beneficia anche di alcune detrazioni. I comuni possono aumentare 0,20% queste aliquote ed è l’unica modificazione ammessa.

Ho avuto una breve esperienza di assessore al bilancio di un comune medio della provincia di Milano. Utilizzando il potere di regolamento avevamo deliberato un atto che permetteva di parificare alla prima casa le abitazioni cedute in comodato d’uso ai parenti entro il terzo grado di parentela come previsto dal Codice Civile, e che raddoppiava le detrazioni per i nuclei con invalidi civili e del lavoro o con ultra 65enni. Infine, utilizzando la legge “Tognoli” sui boxes, questi ultimi divennero pertinenze della prima casa e soggetti agli stessi meccanismi di calcolo, e non più considerati altro possesso, e quindi parificati alle seconde case.

Con questi accorgimenti il 26% pagava un’ICI ridotta ed un 37% non pagava nulla.

Personalmente, poi, io sono stato contrario al dispositivo del governo Prodi, che ha esentato dal pagamento ICI i nuclei familiari con un certo reddito.

Questo per due motivi.

Infine, se la casa fa parte del patrimonio, il tributo deve essere commisurato all’uso che si fa di quel patrimonio.

Il “minimo vitale abitativo”

Personalmente, sono perché si decida un cosiddetto minimo vitale abitativo, che non è soggetto a fisco, e ci sono già gli strumenti per determinarlo. La parte eccedente quel minimo può essere soggetto a fiscalizzazione. Se mi sarà data l’occasione specificherò meglio questa mia idea, che permette anche di poter riaffermare che la casa è un diritto.

A maggior ragione sono stato contrario alla cancellazione ICI del governo Berlusconi, perché abbiamo in Italia ancora un catasto arretrato. All’indomani della cancellazione, la Repubblica pubblicò foto di abitazioni di extra-lusso della città di Milano, che erano classificate A/2 e, quindi, esenti dall’ICI.

Il “riparto dell'IMU”

Un’altra perla è costituita dal riparto dell’IMU. I Comuni hanno raggiunto nel tempo l’obiettivo che gli introiti dell’ICI fossero soldi propri, da utilizzare nei propri bilanci. Questa vittoria ha costituito anche elemento di presunta sperequazione.

Faccio un esempio.

Il Comune di Cologno Monzese, provincia di Milano, abitanti 50mila, incassava mediamente 13 miliardi di vecchie lire di ICI; nello stesso tempo, il Comune di Comacchio, provincia di Ferrara, abitanti 23mila, aveva un gettito anch’esso di 13 miliardi di vecchie lire. La differenza è costituita dal fatto che Comacchio è città turistica con seconde case a iosa. E con l’abolizione berlusconiana, la sperequazione si è fatta straordinaria: infatti Cologno ha perso quasi il 70% dell’introito, mentre Comacchio meno del 15%.

L’attuale decreto “Salvitalia” prevede che di riforma del catasto non si parla, e l’aumento dei valori catastali avviene con una moltiplicazione uguale per tutti secondo la classificazione vecchia; e che le somme incassate siano suddivise fra Stato e Comuni.

Non solo, ma se un Comune dovesse decidere di abbassare l’aliquota di quel famoso 0,20% di cui abbiamo accennato, deve garantire comunque allo Stato la sua parte sull’aliquota intera e non su quella ridotta.

Io credo che la politica nei confronti degli enti locali non possa essere fatta a colpi di decremento dei consiglieri comunali, come previsto dalla cosiddetta riforma Calderoli, né di patti di stabilità che strangolano i servizi locali che sono l’elemento per permettere la redistribuzione, parziale peraltro, del reddito.

Deve essere ridata ai Comuni la potestà impositiva tributaria, ma non nelle forme pre-riforma Visentini, ma neanche nella falsa situazione attuale, per cui dal centro sono determinate le tariffe (non solo IMU, ma anche per la pubblicità, l’occupazione del suolo pubblico, ecc…) e tu comune fai esclusivamente l’esattore.

Quand’anche se tu fossi comune virtuoso (ma che vuol dire?), il patto di stabilità ti impone sempre dal centro di non spendere i soldi.

Secondo la Lega il “Comune deve fara l'anagrafe e basta ”

La verità, alla fine, la disse tempo fa il sen. Castelli, leghista della prima ora: nella loro visione i comuni dovevano fare l’anagrafe e basta. Altro che decentramento e maggiori poteri fino al federalismo. Il governo Bossi-Tremonti-Berlusconi è stato quello che ha accentrato maggiormente i poteri statali contro gli enti locali.

Non solo, ma Castelli, Salvini, e compagnia brutta, parlano male dei Comuni del Sud, e citano sempre Palermo e Taranto, che hanno ricevuto finanziamenti straordinari.

Ora, un briciolo di verità va detta. Catania fu aiutata in modo straordinario, perché l’allora sindaco Scapagnini, medico di fiducia di Berlusconi, si occupava solo dell’illustre paziente piuttosto che dei quartieri popolari della città, accumulando debiti infiniti.

Taranto, invece, è stato dichiarato comune dissestato perché un Sindaco con altre cento persone utilizzava il Comune come cosa propria. La magistratura ha già emesso le prime condanne.

Anche in questo caso, mi si permetta: in 150 anni di storia italiana, due comuni sono stati dichiarati dissestati e, quindi, falliti: Taranto e Campione d’Italia. Inutile ricordare che i sindaci di Catania, Taranto e Campione d’Italia erano espressione del PdL. Intelligenti pauca.

Ma la casa è davvero sempre una “parte del patrimonio”?

Infine, ho fatto una disquisizione sulla casa come parte del patrimonio, tanto da sembrare un vecchio arnese della destra più becera. In realtà la sinistra ha rimosso una sua brutta sconfitta, che è stata la reazione delle associazioni della proprietà edilizia subito dopo l’approvazione della prima legge sull’equo canone.

Se ci ricordiamo bene, le case in affitto (che erano la forma di tutela della “casa è un diritto”) sparirono dal mercato. Se oggi oltre l’80% delle famiglie possiede la prima casa in proprietà, fu la risposta obbligata ad una politica dell’abitare iniqua e sciagurata.

Ma siamo sicuri, poi, che l’80% possiede la casa?

Finché i mutui non sono pagati fino all’ultima lira, i veri proprietari non sono i cittadini, ma le banche e le case seguono il destino delle banche solo in caso di crisi finale della banca stessa.

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Luigi Greco
Milano, 18 gennaio 2012
da “Lavoro & Politica” anno 2 n.3 18 gennaio 2012