L'assassinio di Marco Biagi

«A chi sparano»

M'accorgo d'aver commesso un grave errore. Qualche giorno fa, parlando di questo nostro Paese l'ho definito "buffo". E invece l'opera buffa ha un'antica e rispettabilissima tradizione, basti pensare al "mistero buffo" di Fo che gli è valso il Nobel. Avrei dovuto parlare di farsa, un genere minore non privo di volgarità e destinato solo e soltanto a far ridere. Il fatto è che, nelle mani di autori mediocri o meglio infimi, la farsa fa ridere poco e lascia, in più, un sapore amaro, quando addirittura non si trasforma in tragedia. Succede in questi giorni sotto i nostri occhi. Centinaia di disperati si avvicinano fortunosamente alle nostre coste, e prima che ci lanciamo a soccorrerli, come è accaduto avant'ieri, tragedie prevedibili si sono già consumate, come nel caso della carretta affondata con il suo carico di umanità davanti a Lampedusa. E non era ancora partito l'urlo del ministro Bossi, che rivendica un'azione di contrasto più incisiva, magnificamente espressa da una sua fan con la frase gridata a "Radio Padania": «Una bella cannonata ci vuole! Pum e affondarli tutti!».


E mentre ancora perdurava l'orrore e la vergogna per quei morti e per quel grido, ecco che un pugno ci arriva diretto allo stomaco. Hanno ammazzato vigliaccamente, sulla porta di casa sua, un onesto professore bolognese, consigliere per i problemi del lavoro del ministro Maroni. L'hanno ammazzato ieri sera, ma chissà quante volte sarebbe già potuto succedere visto che Marco Biagi era stato privato dal settembre scorso della scorta, proprio nella sua città dove anche l'ultimo arrivato poteva imparare a conoscerne, nel giro di poche ore, abitudini, orari, indirizzo.

E ci vengono a raccontare, senza vergogna, in primis il famoso ministro Scajola dal quale dovrebbe dipendere la sicurezza dei cittadini, che sì, da tempo si sapeva che proprio in questi giorni avrebbe potuto verificarsi un atto di terrorismo, indirizzato proprio verso uno di quei tecnici che collaborano con il governo. Mancava solo nome e cognome al rapporto consegnato a Scajola, che intanto aveva pensato bene d'andare per un breve viaggio in America. Cos'era, non credeva il ministro al rapporto dei Servizi (pubblicato addirittura da una delle riviste che hanno per referente politico l'on. Berlusconi)? O pensava che avrebbero aspettato il suo ritorno i sicari già pronti?

E, come nei vergognosi commenti seguiti alla tragedia e al temporaneo salvataggio degli immigrati, anche l'assassinio di Marco Biagi scatena commenti vergognosi. Lasciamo perdere le allucinazioni di qualche giornalista mestierante passato agli onori del Senato, o del maestro Cossiga, o dei propagandisti doc di questa maggioranza. No, si sono messi all'opera il presidente degli industriali, quel D'Amato a cui flessibilità e libertà di licenziamento non bastano mai. E in pieno afflato con lui il presidente del Consiglio afferma che si tratta di una morte nata dal clima d'odio di denigrazione e di menzogna. Sanno bene a chi riferirsi loro. Naturalmente, a quei sindacalisti e a quei politici che chiamano a raccolta i cittadini democratici per difendere lo Statuto dei lavoratori e per sconfessare l'assioma assurdo coniato dai padroni "più licenziamenti più posti di lavoro". Dicono (Cossiga): «le parole spesso diventano pallottole»; Fini: «il clima si è fatto esasperato»; Berlusconi: «fermare i linguaggi funesti da guerra civile».


Noi questi linguaggi non li abbiamo né letti né sentiti. Il clima, mai come in queste settimane, ci è parso arioso, improntato a un impegno democratico, a una partecipazione larga di cittadini di ogni ceto. La manifestazione di sabato prossimo è stata organizzata dalla Cgil come un giorno di festa, «festa dei diritti» come dice Cofferati.

Nessuna di quel milione di persone che si accingono a venire a Roma sabato 23 nutre odio o desiderio di vendetta, nessuno di loro custodisce un'arma per togliere non già la vita, ma neppure la parola, a chi è di diverso avviso. Per ognuna di quel milione di persone il vile assassinio di Marco Biagi rappresenta una vergogna e un'offesa personale. Nonché la consapevolezza che quei colpi di pistola sono diretti contro di loro, contro la democrazia, nell'intento preciso di sgomentarli e ricacciarli nel silenzio.

Alessandro Curzi
Roma, 20 marzo 2002
da "Liberazione"