Care compagne e cari compagni di Rifondazione comunista, penso sia opportuno
e utile accompagnare i miei auguri per un felice anno nuovo, con qualche utile riflessione
su quanto è accaduto nellanno che volge al termine. Alcuni lo hanno definito un anno
terribile. E una definizione unilaterale che non condivido, anche se si è trattato
di un anno lungo, denso di avvenimenti drammatici. Si potrebbe parlare quindi, di un anno
vissuto pericolosamente, al termine del quale lintero quadro mondiale si presenta
profondamente mutato, ma non solo in senso negativo.
In particolare nellultima parte dellanno, è la guerra a dominare la scena. Avevamo
scritto e detto che guerra chiama guerra, che lavvitarsi della spirale guerra-terrorismo
metteva a repentaglio lintera civiltà umana, e in effetti, in questi ultimi giorni,
si delinea la possibilità di un nuovo terribile conflitto, quello tra Pakistan e India,
tra due paesi caratterizzati da enormi problemi sociali e dotati entrambi di armamenti nucleari.
Se dagli ammassamenti di truppe ai rispettivi confini, se dal posizionamento di missili
luno contro laltro puntati, se dalle prime sparatorie, si dovesse passare ad
un vero conflitto, le conseguenze, non solo per quella parte del mondo ma per il pianeta
e lintera umanità, sarebbero devastanti.
Nel frattempo non finisce la guerra in Afghanistan. I bombardieri americani mietono vittime
civili persino tra chi si reca ad acclamare il nuovo governo, il quale si trova costretto
a chiedere lo stop dei raids aerei, mentre reparti speciali americani si spostano in Pakistan
alla ricerca di bin Laden. Come ben si vede la proclamata guerra al terrorismo, ancor più
di quanto non fu quella per i “diritti umani”, si è immediatamente rivelata guerra
totale, guerra infinita, cioè guerra dellera della globalizzazione.
Basta guardare alla drammatica vicenda palestinese. Lillusione che la reazione alla
distruzione delle Twin Towers spingesse lamministrazione americana ad attivarsi per
risolvere equamente e pacificamente la questione palestinese, non è durata che poche ore.
Il piano di Sharon, che gli Usa sostengono e lEuropa per ignavia e subalternità permette,
consiste nel cercare di ridurre la questione palestinese a “terrorismo”, cancellandola
quindi come problema politico e istituzionale. La delegittimazione del gruppo dirigente
dellAutorità palestinese - perseguito con cinica ostinazione, anche a costo di suscitare
imbarazzo e persino ripulsa a livello internazionale, come è accaduto con il doppio divieto
ad Arafat a essere presente a Betlemme per il Natale cristiano e ortodosso - svela la tentazione
di Sharon di procedere ad una sorta di “soluzione finale” del problema palestinese,
quella della negazione e quindi dellannientamento politico e fisico. Dunque la guerra
è diventata lo stato permanente dellattuale governo della globalizzazione.
Né possiamo dimenticare in questo capodanno il nuovo dramma argentino, con il suo spaventoso
carico di vittime nella storica Plaza de Mayo e lincognita che esso apre per tutto
il continente latino-americano.
Ma tutto questo drammatico complesso di eventi non dimostra solo il pericolo di imbarbarimento
per lumanità - di cui già si vedono segnali nella scomparsa di ogni "pietas" verso
i vinti, dal momento che i prigionieri vengono massacrati o, se sospetti di terrorismo,
torturati, e ciò viene considerato normale - ma anche laprirsi di una crisi del processo
di globalizzazione. Una crisi economica che ha condotto leconomia mondiale ad una
recessione che lascerà senza lavoro più di 24 milioni di persone già nellanno che
viene e che scuote lautorevolezza delle ricette neoliberiste; una crisi di credibilità
sulle prospettive che revoca in dubbio tranquillità, speranze e certezze, promesse a piene
mani; una crisi di egemonia che incrina in modo irreversibile quellapparato ideologico
che giustamente è stato chiamato “pensiero unico”.
In questa crisi si inserisce attivamente la crescita del movimento antiglobalizzazione e
pacifista, il nuovo grande protagonista della scena mondiale. Lanno 2001 ha fornito
un banco di prova decisivo per questo movimento. La repressione poliziesca e la violenza
generale di cui è stato oggetto a Napoli, a Goteborg, a Genova da un lato e la morsa tra
guerra e terrorismo, dallaltro, si ponevano lobiettivo di criminalizzarlo e
di dividerlo, di soffocarlo e di distruggerlo.
Possiamo dire con soddisfazione, anche per avere contribuito attivamente e direttamente
a questo esito, che il movimento ha superato pienamente la prova, ha saputo non solo resistere,
ma porre basi più solide per il suo allargamento - nel senso della difesa del suo pluralismo
di presenze sociali e culturali, di pratiche e di linguaggi - e per il suo approfondimento
- nel senso della capacità di misurarsi sul terreno di unalternativa alla globalizzazione
capitalistica ed alla guerra. Molto cè ancora da fare, e molto infatti si cercherà
di fare nel prossimo imminente secondo appuntamento di Porto Alegre.
Lalternativa alla globalizzazione capitalista, cioè a questo nuovo capitalismo, che
ieri era solo necessaria oggi comincia ad essere possibile, sia perché si apre una crisi,
sia perché comincia a delinearsi un nuovo soggetto che ha dimensioni internazionali e di
massa.
Sul piano interno il 2001 ha visto la vittoria elettorale delle destre. Una vittoria solida,
che viene purtroppo da lontano, che si è alimentata e alimenta un processo di ricomposizione
del fronte borghese. Il governo Berlusconi, nei suoi primi mesi di vita, ha prodotto una
serie impressionante di provvedimenti a favore dellimmunità della proprietà, dellimpunità
della nuova classe dirigente, dellintolleranza del potere politico (così andrebbero,
alla prova dei fatti, declinate le famose tre “I” della propaganda elettorale
del Polo). I progetti di controriforma, dalla scuola alle immigrazioni, al mercato del lavoro,
alle pensioni, che ci troveremo a combattere nei prossimi mesi, sono ancora più gravi, perché
mirano ad una definitiva destrutturazione dello stato sociale e a una desertificazione della
società civile.
Ma anche il quadro interno non può essere dipinto solo in negativo. Innanzitutto questanno
il nostro partito ha superato una prova per tanti aspetti decisiva, quella dellappuntamento
elettorale. Non era uno dei tanti. In questo caso attraverso il meccanismo politico del
bipolarismo e quello elettorale del sistema maggioritario, combinato con la truffa delle
liste civetta, si voleva cancellare la dimensione istituzionale della presenza dei comunisti
nel nostro Paese. Il tentativo è fallito. Abbiamo superato largamente il quorum e migliorato
le nostre posizioni rispetto alle precedenti elezioni europee, abbiamo definitivamente dimostrato
non solo la necessità ma la concreta possibilità dellesistenza di un moderno partito
comunista. Lo abbiamo fatto, e questo è ancora più importante, non rinchiudendoci nelle
sedi della politica, ma aprendoci alla società e al movimento, e quindi impedendo la rottura
tra i movimenti e la rappresentanza politica.
Contemporaneamente si è aperta una crisi irreversibile nel centrosinistra. Una crisi didentità,
di idee, di linea e di collocazione politica e sociale. Lassise di Pesaro ha confermato
una decisa svolta neoliberale dei Ds, nel tentativo di continuare la già perdente rincorsa
alle destre sul loro stesso terreno e contrastare il peso accresciuto della “Margherita”
nellUlivo.
Ancora una volta lelemento più significativo è la crescita del movimento che nel quadro
italiano si sviluppa grazie allallargamento dello schieramento no-global e pacifista
e lentrata in scena di una nuova generazione operaia che dà corpo ad un nuovo protagonismo
nel movimento operaio, particolarmente tra i metalmeccanici, capace di collegarsi, non solo
idealmente ma praticamente, con i movimenti di lotta della scuola, dagli studenti agli insegnanti.
Proprio qui, nelle ultime settimane, il governo ha subito una sconfitta, anche sul terreno
che gli è congeniale come quello dellimmagine, con il *flop* degli “stati generali
della scuola”, contestati da giornate di manifestazioni inconsuete per dimensioni e
qualità.
Se guardiamo a queste straordinarie esperienze di lotta, se le consideriamo assieme alle
prime, ma estremamente significative, battaglie di lavoratori precari e di immigrati, vediamo
prendere forme e linguaggio un nuovo proletariato cui affidare speranze e progetti per la
costruzione di una concreta alternativa alla società capitalistica.
E dunque linsieme di questi eventi che ci dispone a preparare un congresso nel
segno della innovazione nella cultura, nella politica, nella pratica del nostro partito.
Questappuntamento sarà decisivo per la rifondazione comunista. Vinta la battaglia
del dovere e potere essere comunisti nel nuovo secolo, bisogna ora dimostrare che è possibile
la trasformazione della società capitalista e quindi bisogna innovare, cioè rifondare, senza
rinnegare né dimenticare, ma riattraversando criticamente lintera storia del movimento
operaio. Proprio per questo cominciammo il 2001 con quella impegnata e significativa celebrazione
dell80° della fondazione del Pci a Livorno.
La nostra resistenza contro chi voleva cancellare la parola stessa comunismo dal mondo moderno
è vinta. Il 2001 ce lo ha ribadito. Ora abbiamo bisogno di una forte coerenza e di un ulteriore
balzo in avanti. Come diceva un grande filosofo del 900 deve essere un balzo di tigre
che raccoglie il meglio del passato ma è decisamente proiettato in avanti. Ciò che abbiamo
alle spalle ci conferma che è possibile e che questo nostro partito è nella condizione di
essere protagonista in questo processo, al quale dobbiamo e vogliamo associare tanti altri,
movimenti, associazioni, diverse forme di espressione politica e culturale. E maturato
il tempo della costruzione di una sinistra di alternativa.
Per tutti questi motivi, care compagne e cari compagni di Rifondazione comunista, che siete protagonisti
di quanto abbiamo alle spalle e di ciò che verrà, grazie per quello che siete, che fate e che farete.
E buon anno.