Un bilancio del 2001 e un augurio per il 2002

L'ottimismo della speranza

Care compagne e cari compagni di Rifondazione comunista, penso sia opportuno e utile accompagnare i miei auguri per un felice anno nuovo, con qualche utile riflessione su quanto è accaduto nell’anno che volge al termine. Alcuni lo hanno definito un anno terribile. E’ una definizione unilaterale che non condivido, anche se si è trattato di un anno lungo, denso di avvenimenti drammatici. Si potrebbe parlare quindi, di un anno vissuto pericolosamente, al termine del quale l’intero quadro mondiale si presenta profondamente mutato, ma non solo in senso negativo.
In particolare nell’ultima parte dell’anno, è la guerra a dominare la scena. Avevamo scritto e detto che guerra chiama guerra, che l’avvitarsi della spirale guerra-terrorismo metteva a repentaglio l’intera civiltà umana, e in effetti, in questi ultimi giorni, si delinea la possibilità di un nuovo terribile conflitto, quello tra Pakistan e India, tra due paesi caratterizzati da enormi problemi sociali e dotati entrambi di armamenti nucleari. Se dagli ammassamenti di truppe ai rispettivi confini, se dal posizionamento di missili l’uno contro l’altro puntati, se dalle prime sparatorie, si dovesse passare ad un vero conflitto, le conseguenze, non solo per quella parte del mondo ma per il pianeta e l’intera umanità, sarebbero devastanti.

Nel frattempo non finisce la guerra in Afghanistan. I bombardieri americani mietono vittime civili persino tra chi si reca ad acclamare il nuovo governo, il quale si trova costretto a chiedere lo stop dei raids aerei, mentre reparti speciali americani si spostano in Pakistan alla ricerca di bin Laden. Come ben si vede la proclamata guerra al terrorismo, ancor più di quanto non fu quella per i “diritti umani”, si è immediatamente rivelata guerra totale, guerra infinita, cioè guerra dell’era della globalizzazione.
Basta guardare alla drammatica vicenda palestinese. L’illusione che la reazione alla distruzione delle Twin Towers spingesse l’amministrazione americana ad attivarsi per risolvere equamente e pacificamente la questione palestinese, non è durata che poche ore. Il piano di Sharon, che gli Usa sostengono e l’Europa per ignavia e subalternità permette, consiste nel cercare di ridurre la questione palestinese a “terrorismo”, cancellandola quindi come problema politico e istituzionale. La delegittimazione del gruppo dirigente dell’Autorità palestinese - perseguito con cinica ostinazione, anche a costo di suscitare imbarazzo e persino ripulsa a livello internazionale, come è accaduto con il doppio divieto ad Arafat a essere presente a Betlemme per il Natale cristiano e ortodosso - svela la tentazione di Sharon di procedere ad una sorta di “soluzione finale” del problema palestinese, quella della negazione e quindi dell’annientamento politico e fisico. Dunque la guerra è diventata lo stato permanente dell’attuale governo della globalizzazione.
Né possiamo dimenticare in questo capodanno il nuovo dramma argentino, con il suo spaventoso carico di vittime nella storica Plaza de Mayo e l’incognita che esso apre per tutto il continente latino-americano.

Ma tutto questo drammatico complesso di eventi non dimostra solo il pericolo di imbarbarimento per l’umanità - di cui già si vedono segnali nella scomparsa di ogni "pietas" verso i vinti, dal momento che i prigionieri vengono massacrati o, se sospetti di terrorismo, torturati, e ciò viene considerato normale - ma anche l’aprirsi di una crisi del processo di globalizzazione. Una crisi economica che ha condotto l’economia mondiale ad una recessione che lascerà senza lavoro più di 24 milioni di persone già nell’anno che viene e che scuote l’autorevolezza delle ricette neoliberiste; una crisi di credibilità sulle prospettive che revoca in dubbio tranquillità, speranze e certezze, promesse a piene mani; una crisi di egemonia che incrina in modo irreversibile quell’apparato ideologico che giustamente è stato chiamato “pensiero unico”.
In questa crisi si inserisce attivamente la crescita del movimento antiglobalizzazione e pacifista, il nuovo grande protagonista della scena mondiale. L’anno 2001 ha fornito un banco di prova decisivo per questo movimento. La repressione poliziesca e la violenza generale di cui è stato oggetto a Napoli, a Goteborg, a Genova da un lato e la morsa tra guerra e terrorismo, dall’altro, si ponevano l’obiettivo di criminalizzarlo e di dividerlo, di soffocarlo e di distruggerlo.
Possiamo dire con soddisfazione, anche per avere contribuito attivamente e direttamente a questo esito, che il movimento ha superato pienamente la prova, ha saputo non solo resistere, ma porre basi più solide per il suo allargamento - nel senso della difesa del suo pluralismo di presenze sociali e culturali, di pratiche e di linguaggi - e per il suo approfondimento - nel senso della capacità di misurarsi sul terreno di un’alternativa alla globalizzazione capitalistica ed alla guerra. Molto c’è ancora da fare, e molto infatti si cercherà di fare nel prossimo imminente secondo appuntamento di Porto Alegre.
L’alternativa alla globalizzazione capitalista, cioè a questo nuovo capitalismo, che ieri era solo necessaria oggi comincia ad essere possibile, sia perché si apre una crisi, sia perché comincia a delinearsi un nuovo soggetto che ha dimensioni internazionali e di massa.

Sul piano interno il 2001 ha visto la vittoria elettorale delle destre. Una vittoria solida, che viene purtroppo da lontano, che si è alimentata e alimenta un processo di ricomposizione del fronte borghese. Il governo Berlusconi, nei suoi primi mesi di vita, ha prodotto una serie impressionante di provvedimenti a favore dell’immunità della proprietà, dell’impunità della nuova classe dirigente, dell’intolleranza del potere politico (così andrebbero, alla prova dei fatti, declinate le famose tre “I” della propaganda elettorale del Polo). I progetti di controriforma, dalla scuola alle immigrazioni, al mercato del lavoro, alle pensioni, che ci troveremo a combattere nei prossimi mesi, sono ancora più gravi, perché mirano ad una definitiva destrutturazione dello stato sociale e a una desertificazione della società civile.

Ma anche il quadro interno non può essere dipinto solo in negativo. Innanzitutto quest’anno il nostro partito ha superato una prova per tanti aspetti decisiva, quella dell’appuntamento elettorale. Non era uno dei tanti. In questo caso attraverso il meccanismo politico del bipolarismo e quello elettorale del sistema maggioritario, combinato con la truffa delle liste civetta, si voleva cancellare la dimensione istituzionale della presenza dei comunisti nel nostro Paese. Il tentativo è fallito. Abbiamo superato largamente il quorum e migliorato le nostre posizioni rispetto alle precedenti elezioni europee, abbiamo definitivamente dimostrato non solo la necessità ma la concreta possibilità dell’esistenza di un moderno partito comunista. Lo abbiamo fatto, e questo è ancora più importante, non rinchiudendoci nelle sedi della politica, ma aprendoci alla società e al movimento, e quindi impedendo la rottura tra i movimenti e la rappresentanza politica.
Contemporaneamente si è aperta una crisi irreversibile nel centrosinistra. Una crisi d’identità, di idee, di linea e di collocazione politica e sociale. L’assise di Pesaro ha confermato una decisa svolta neoliberale dei Ds, nel tentativo di continuare la già perdente rincorsa alle destre sul loro stesso terreno e contrastare il peso accresciuto della “Margherita” nell’Ulivo.
Ancora una volta l’elemento più significativo è la crescita del movimento che nel quadro italiano si sviluppa grazie all’allargamento dello schieramento no-global e pacifista e l’entrata in scena di una nuova generazione operaia che dà corpo ad un nuovo protagonismo nel movimento operaio, particolarmente tra i metalmeccanici, capace di collegarsi, non solo idealmente ma praticamente, con i movimenti di lotta della scuola, dagli studenti agli insegnanti. Proprio qui, nelle ultime settimane, il governo ha subito una sconfitta, anche sul terreno che gli è congeniale come quello dell’immagine, con il *flop* degli “stati generali della scuola”, contestati da giornate di manifestazioni inconsuete per dimensioni e qualità.

Se guardiamo a queste straordinarie esperienze di lotta, se le consideriamo assieme alle prime, ma estremamente significative, battaglie di lavoratori precari e di immigrati, vediamo prendere forme e linguaggio un nuovo proletariato cui affidare speranze e progetti per la costruzione di una concreta alternativa alla società capitalistica.
E’ dunque l’insieme di questi eventi che ci dispone a preparare un congresso nel segno della innovazione nella cultura, nella politica, nella pratica del nostro partito. Quest’appuntamento sarà decisivo per la rifondazione comunista. Vinta la battaglia del dovere e potere essere comunisti nel nuovo secolo, bisogna ora dimostrare che è possibile la trasformazione della società capitalista e quindi bisogna innovare, cioè rifondare, senza rinnegare né dimenticare, ma riattraversando criticamente l’intera storia del movimento operaio. Proprio per questo cominciammo il 2001 con quella impegnata e significativa celebrazione dell’80° della fondazione del Pci a Livorno.

La nostra resistenza contro chi voleva cancellare la parola stessa comunismo dal mondo moderno è vinta. Il 2001 ce lo ha ribadito. Ora abbiamo bisogno di una forte coerenza e di un ulteriore balzo in avanti. Come diceva un grande filosofo del ’900 deve essere un balzo di tigre che raccoglie il meglio del passato ma è decisamente proiettato in avanti. Ciò che abbiamo alle spalle ci conferma che è possibile e che questo nostro partito è nella condizione di essere protagonista in questo processo, al quale dobbiamo e vogliamo associare tanti altri, movimenti, associazioni, diverse forme di espressione politica e culturale. E’ maturato il tempo della costruzione di una sinistra di alternativa.
Per tutti questi motivi, care compagne e cari compagni di Rifondazione comunista, che siete protagonisti di quanto abbiamo alle spalle e di ciò che verrà, grazie per quello che siete, che fate e che farete. E buon anno.

Fausto Bertinotti
Roma, 29 dicembre 2001
da "Liberazione"