La Costituzione e le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994

2.2. L’idea e i contenuti di ispirazione democratica

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L’idea base della Costituzione italiana è rappresentata dal valore che viene attribuito alla democrazia. L’art. 1 dichiara che "L’Italia è una Repubblica democratica..." in cui "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".

Lo Statuto Albertino, al contrario, si apriva con l’enunciazione che il Re "...per grazia di Dio..." elargiva con "...affetto di padre...", la "...Legge Fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia...".

La fonte primaria di legittimazione del potere politico, nell’idea dello Statuto, era rappresentata dal Re e dalla sua dinastia che governavano per volere divino. Al contrario, la Costituzione repubblicana, facendo proprio il principio della dottrina democratica che si era affermato già con le Rivoluzioni borghesi del settecento, indica nel popolo la fonte primaria di legittimazione della sovranità, ribaltando l’antica concezione dello Stato.

Quest’ultimo non rappresenta più un’entità che domina dall’alto gli uomini, ma una forma di organizzazione che i cittadini creano con il loro consenso e nel loro interesse, in modo che l’obbedienza a questa volontà generale che nasce dal basso, come affermava il pensatore politico ginevrino Jean-Jacques Rousseau, sia in fondo obbedienza a se stessi.

Dall’altra parte, era ancora molto vivo il ricordo della dittatura e della lotta antifascista nella memoria di molti Costituenti. Il regime di Mussolini era fondato su un sistema di governo che escludeva la volontà del popolo e affidava, in modo arbitrario e incontrollato, al gruppo ristretto dei capi del Partito Nazionale Fascista e al Duce tutti gli strumenti del potere politico. Edificata la dittatura, essi gettarono l’Italia nel baratro della guerra e della sconfitta.

All’affermazione iniziale del primo articolo riguardo al carattere democratico del nuovo Stato, la Costituzione fa seguire gli strumenti concreti per renderlo effettivo con la previsione di quei diritti politici negati per gran parte del ventennio fascista.

Innanzi tutto c’è l’indicazione degli strumenti tipici della democrazia rappresentativa e, in primo luogo, il diritto di voto a suffragio universale sancito dall’art. 48 della Costituzione. Ogni cittadino che abbia raggiunto la maggiore età è chiamato periodicamente ad eleggere i suoi rappresentanti nelle assemblee elettive: i Deputati e Senatori alla Camera e al Senato, ma pure i Consiglieri regionali, provinciali e comunali e, da qualche anno, anche i Deputati al Parlamento europeo.

Il successivo articolo 49 indica lo strumento essenziale della democrazia rappresentativa come la concepirono i Costituenti che avevano subito le persecuzioni politiche della dittatura: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

L’unica limitazione prevista a questa libertà democratica è contenuta nella XII Disposizione transitoria e finale: "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista".

Non si tratta di una disposizione in contrasto con il precedente art. 48, ma di una sua applicazione concreta: la libertà di costituire partiti esclude la possibilità di determinare la vita politica ricorrendo a metodi che non siano democratici; tutti gli italiani antifascisti ben conoscevano i metodi non democratici del ventennio per averli subiti sulla loro pelle, a volte anche a prezzo della loro stessa vita.

Ma cosa significa, in senso positivo, "con metodo democratico"? La democrazia è l’esercizio del potere politico con il consenso di chi quel potere deve subire, ma spesso le opinioni sono divergenti e si presenta un problema di scelta tra diverse alternative. Il "metodo democratico" impone che, in primo luogo, in tutte le assemblee elettive, debba prevalere la posizione che ha ottenuto il maggior numero di consensi, cioè quella che lascia insoddisfatto il minor numero di persone e a cui tutti, opposizione compresa, dovranno conformarsi.

In secondo luogo, però, "metodo democratico" significa anche che sia possibile a chiunque continuare a manifestare liberamente il proprio dissenso e che a ogni opinione diversa da quella prevalente sia data la possibilità di farsi conoscere e farsi valere.

"Metodo democratico" è quindi il rispetto da parte della minoranza delle decisioni della maggioranza, ma anche tutela da parte della maggioranza del diritto della minoranza di competere e operare con ogni mezzo legittimo per raccogliere su di sé un numero di consensi che domani le consenta di divenire essa stessa maggioranza, in una logica di alternanza alla guida del potere politico.

Ma i veri protagonisti chiamati a partecipare a questo gioco democratico sono i partiti politici di massa che, facendo da tramite tra società civile e Stato, sono chiamati a condurre il Paese.

I singoli individui, lasciati a loro stessi, avrebbero ben scarse capacità di conoscere e realizzare esigenze di carattere generale; ben maggiore diviene il loro peso quando essi si organizzano e fanno confluire il loro consenso nei partiti.

Questi ultimi, incanalando i diversi interessi emergenti in base ai loro programmi politici, rappresentano il principale strumento per fare valere le idee degli stessi singoli individui.

In Italia quasi tutti i partiti di massa nacquero e si affermarono tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento, per subire una forte battuta d’arresto sotto il regime fascista che, una volta consolidatosi, perseguì tutti i suoi oppositori, secondo la logica del partito unico alla guida dello Stato.

Ma, prima nella clandestinità e poi nel Comitato di Liberazione Nazionale e nella Resistenza, i partiti di massa riemersero con forza e condussero l’Italia fuori dall’esperienza fascista. Ad essi, per alcuni decenni e nonostante le degenerazioni determinatesi, il popolo italiano ha dato il suo consenso per il governo democratico del Paese.

Al ruolo che la storia italiana e la Costituzione attribuiscono ai partiti politici è in qualche modo legata la scelta dei Costituenti relativa alla forma di governo.

A una forma di governo presidenziale con un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo e a capo dello stesso Governo, i Costituenti preferirono un Governo di tipo parlamentare in cui il potere è in concreto nelle mani del partito o dei partiti che dispongono della maggioranza in Parlamento e che esprimono un Governo che ne deve sempre godere la fiducia (art. 94 Cost.).

Dall’altra parte, il Presidente della Repubblica, eletto ogni sette anni dal Parlamento, è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità della Nazione (art. 87 Cost.), ma con limitate funzioni attive nella gestione del potere politico, pur svolgendo un fondamentale compito di garante della Costituzione.

Sembrò opportuno ai Costituenti evitare, anche se non mancarono autorevoli pareri discordi, all’indomani della caduta del fascismo, l’istituzione di un potere eccessivamente personalizzato nella figura di un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo di cui si temevano le possibili degenerazioni autoritarie.

Si scelse, invece, di spostare l’asse centrale del potere politico, in linea con l’esperienza costituzionale italiana prefascista, sul Parlamento, organo collegiale e rappresentativo, attraverso i partiti di massa in esso presenti.

Accanto agli strumenti propri della democrazia rappresentativa o indiretta, l’Assemblea Costituente pensò bene di prevedere anche alcuni strumenti di democrazia diretta attraverso i quali il popolo avrebbe potuto esprimersi senza la mediazione dei partiti politici, se non altro per temperare e bilanciare il peso che ad essi veniva riservato.

L’art. 75 della Costituzione prevede che possa essere indetto un referendum abrogativo totale o parziale di una legge quando lo richiedano cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, escludendo però da tale possibilità le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

Si tratta, per la verità, di un potere, per così dire, negativo che spetta al popolo e con il quale esso si esprime con un si o con un no su norme comunque già in vigore. All’opposto, l’art. 71 della Costituzione prevede un potere positivo riconosciuto al popolo: cinquantamila elettori possono presentare al Parlamento un progetto di legge redatto in articoli.

Ma mentre la vittoria dei si ad un referendum abrogativo comporta l’automatica eliminazione dall’ordinamento giuridico delle norme che ne formano l’oggetto, non è affatto detto che il Parlamento approvi un’iniziativa legislativa popolare o l’approvi nei termini in cui è stata proposta.

Completano, infine, il quadro degli strumenti di democrazia diretta previsti dalla Costituzione: il diritto di iniziativa e referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione (art. 123 Cost.); il diritto di ogni cittadino di rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità (art. 50 Cost.); la possibilità riconosciuta di ricorrere a referendum costituzionale quando ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali per eventuali modifiche della Costituzione, che, pur essendo state approvate nella seconda votazione a maggioranza assoluta, non abbiano però ottenuto la maggioranza dei due terzi dei componenti le Camere (art. 138 Cost.); la possibilità di ricorrere a referendum per la fusione o la creazione di nuove Regioni, per lo spostamento di Comuni e Province da una Regione all’altra e per il mutamento delle circoscrizioni dei Comuni e delle Province (artt. 132 e 133 Cost.); il diritto di partecipare direttamente da parte dei cittadini all’amministrazione della giustizia (art. 102 Cost.) nel ruolo di giudici popolari, sorteggiati tra chi sia in possesso di determinati requisiti, nelle Corti d’Assise.

Graziano Galassi
Vignola, 1 maggio 1996
www.grazianogalassi.it