La Costituzione e le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994

2.5. L’idea e i contenuti ispirati dal cattolicesimo sociale

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La Democrazia Cristiana, con il 35,2% dei voti, espresse il gruppo politico più numeroso presente all’interno dell’Assemblea Costituente. Esso, pur non rappresentando tutto il mondo cristiano italiano, si ispirava ai principi propri della dottrina sociale della Chiesa cattolica che profondamente connaturano varie parti della Costituzione.

Tale concezione, che trova il suo fondamento soprattutto in alcune Encicliche papali, ricerca una sorta di conciliazione e mediazione tra gli ideali liberali e gli ideali socialisti.

Del liberalismo accetta l’idea del valore della persona e dei suoi diritti civili fondamentali, in particolare della proprietà privata e degli altri diritti di carattere economico, come diritti naturali indispensabili allo sviluppo della personalità umana.

Aspira quindi alla più ampia diffusione di questi ultimi tra un numero sempre più elevato di individui, per esempio, attraverso la frantumazione dei grandi latifondi o attraverso forme di azionariato popolare.

Ma l’uso di questi diritti economici, per questa concezione, non può essere lasciato solamente all’arbitrio del mercato, alla lotta di tutti contro tutti, in nome dell’individualismo egoistico e del guadagno; ben presto i più forti prevarrebbero sui più deboli.

Il precetto evangelico della carità e della sensibilità verso chi soffre impone invece forme di intervento e di aiuto verso i più indifesi, affinché il sistema economico possa svilupparsi per il bene comune.

Il rifiuto dell’individualismo liberale e della cieca fiducia nelle leggi del mercato e nella sua capacità di autoregolarsi, porta a posizioni non molto dissimili da quelle proprie della visione socialista non ortodossa, con la quale il cattolicesimo sociale condivide, appunto, la necessità di proteggere e assistere le classi più deboli contro i soprusi dei potenti, rigettando tuttavia l’idea di uno Stato eccessivamente interventista e dirigista, benché fautore e promotore dei diritti sociali di tutela del cittadino.

La promozione e la valorizzazione nella società di comunità intermedie poste tra l’individuo e lo Stato, come la famiglia, la Chiesa stessa e le sue organizzazioni, le associazioni politiche, sindacali, assistenziali, di volontariato, la scuola e le altre istituzioni pubbliche locali, rappresentano, secondo questa visione, il tentativo di superare da un lato l’individualismo liberale e dall’altro lo statalismo socialista. Quelle comunità intermedie diventano le sedi privilegiate in cui si realizza la socializzazione dell’individuo e il valore supremo della solidarietà sociale.

Il primo richiamo della Costituzione italiana ai valori peculiari del cattolicesimo sociale, a parte quelli condivisi dalle concezioni democratica, liberale e socialista, di cui già si è trattato, e che è quasi totalmente assente nella visione liberale dello Statuto Albertino, è contenuto nell’art. 2. In questo articolo, dopo avere ribadito che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, si sottolinea che tali diritti si riferiscono tanto al singolo, quanto alle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità: i diritti inviolabili del cittadino non riguardano solamente i rapporti tra individuo e Stato, ma anche quelle forme di aggregazione sociale che si collocano tra il singolo e il potere politico centrale e che in tal modo si intendono promuovere.

Nella seconda parte dello stesso art. 2 si afferma e anticipa un principio innovativo e di fondamentale importanza della Costituzione: "La Repubblica... richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Il principio di solidarietà viene concepito non come scelta libera e volontaria, ma come vero e proprio dovere giuridico.

Si ritrova un corollario del principio della solidarietà sociale anche al secondo comma dell’art. 4, che recita: "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale della società". Ognuno deve collaborare allo sviluppo e al benessere della società in cui vive per poterne godere anche i vantaggi.

Sia il tema delle formazioni sociali, sia quello della solidarietà, vengono sviluppati in parecchie disposizioni costituzionali successive.

In primo luogo, l’art. 5 della Costituzione, che si riferisce alla struttura organizzativa dello Stato: "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento".

Pur ribadendo il carattere unitario dello Stato italiano, viene valorizzata l’idea di corpi intermedi tra la comunità locale e lo Stato centrale, sia nelle forme del decentramento dei servizi statali che nelle forme dell’autonomismo locale. Ad esso è dedicato l’intero tit. V della seconda parte della Costituzione, intitolato "Le Regioni, le Province, i Comuni", che definisce lo Stato italiano come uno Stato di tipo regionale.

Il Regno d’Italia, fin dalla nascita, si caratterizzò per un forte accentramento del potere; pur presentandosi nel territorio italiano anche una notevole varietà di condizioni sociali ed economiche, la classe liberale moderata dell’epoca preferì imporre la cosiddetta "piemontesizzazione" a tutta l’Italia, nel timore che il riconoscimento di forme di autonomo governo locale potesse sia favorire forze ad essa ostili, sia disgregare quell’unità così faticosamente raggiunta.

D’altra parte il centralismo venne ulteriormente rafforzato durante il regime fascista che eliminò qualsiasi pur modesta forma di partecipazione locale, imponendo, per esempio, la scelta del podestà, oggi sostituito dal Sindaco, direttamente ad opera del Governo.

Con la sconfitta del fascismo e la conquista della democrazia, il salto di qualità fu notevole. Attraverso le Regioni, le Province e i Comuni, viene riconosciuto il diritto delle comunità locali di eleggere propri rappresentanti in questi enti territoriali competenti ad amministrare gli interessi locali in modo diversificato e più vicino alle reali esigenze dei cittadini, meglio di quanto possa fare un’autorità centralizzata.

Non per questo, comunque, in particolare le Regioni, alle quali viene anche riconosciuta un’autonoma potestà legislativa per talune materie, possono considerarsi dei piccoli Stati sovrani come negli ordinamenti federali: la Repubblica italiana rimane "...una e indivisibile...", prima fonte della sovranità.

Il successivo art. 7 della Costituzione si occupa della formazione sociale più rilevante per il mondo cattolico: la Chiesa cattolica e i suoi rapporti con lo Stato. Si tratta di una questione antica e delicata a cui l’Assemblea Costituente dedicò un lungo e approfondito dibattito riconoscendo, infine, che lo Stato e la Chiesa cattolica fossero, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani e che i loro rapporti venissero regolati dai Patti Lateranensi.

I Patti Lateranensi furono sottoscritti originariamente da Mussolini, salutato dal mondo cattolico come l’uomo della provvidenza, e dal card. Pacelli l’11 febbraio 1929, e posero fine a un lungo dissidio fra Stato e Chiesa cattolica in Italia sulla scelta confessionale o laica del modello che doveva regolare i loro rapporti.

Tuttavia, già lo Statuto Albertino prevedeva un modello di Stato di tipo sostanzialmente confessionale; al primo articolo la religione cattolica veniva considerata la sola religione dello Stato, che esso si impegnava a proteggere e tutelare in particolare, mentre gli altri culti erano semplicemente tollerati.

Lo Stato laico, all’opposto, avrebbe dovuto realizzare una completa separazione tra lo Stato stesso e tutte le chiese e religioni, senza trattare nessuna di esse in modo privilegiato.

Come è noto, invece, i Patti Lateranensi, pur rivisti e rimodernati nel 1984, prevedono ancora oggi residui di confessionalismo non irrilevanti, tra i quali: l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche da parte di insegnanti scelti dalla Curia, ma pagati dallo Stato; il riconoscimento ai fini civili da parte dello Stato del matrimonio celebrato con rito cattolico; una serie di trattamenti fiscali privilegiati e forme specifiche di finanziamento statale.

Tuttavia, nella logica dello Stato laico, è pur vero che l’art. 8 della Costituzione repubblicana ribadisce che "Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge", ma quasi nessun vantaggio particolare è previsto nei loro confronti.

Un’altra formazione sociale estremamente importante per la concezione del cattolicesimo sociale è rappresentata dalla famiglia a cui la Costituzione dedica ben tre articoli del tit. II della prima parte intitolato ai rapporti etico-sociali.

L’art. 29 riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, precisando, conformemente al principio di uguaglianza tra i sessi enunciato all’art. 3, che esso sia ordinato all’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.

L’art. 30, tra l’altro, impone ai genitori il dovere-diritto di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati al di fuori del matrimonio.

L’art. 31, al primo comma, allo scopo di agevolare e favorire la formazione della famiglia e l’adempimento dei suoi compiti, con particolare riguardo alle famiglie numerose, attribuisce alla Repubblica il compito di intervenire con misure economiche ed altre provvidenze; al secondo comma afferma, infine, che la Repubblica dovrà proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Oltre agli organi decentrati dello Stato, agli enti pubblici territoriali, alla Chiesa cattolica e alla famiglia, la Costituzione prevede altre formazioni sociali in cui, secondo la visione cattolica, si possa realizzare la socializzazione dell’individuo e il valore della solidarietà, come le associazioni private, i partiti, i sindacati, la scuola (pubblica e privata), gli enti di assistenza e previdenza, a cui si è già accennato.

La solidarietà è anche un valore tutelato in sé nella Costituzione e solennemente enunciato negli artt. 2 e 4 secondo comma. Essa trova specifica applicazione in vari campi e in primo luogo in quello economico.

Come già ricordato per la loro rilevanza nel quadro dell’idea e dei contenuti di ispirazione socialista, da una parte l’art. 41 della Costituzione proclama che l’iniziativa economica, pure essendo libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali; dall’altra parte, l’art. 42, pur riconoscendo e garantendo la proprietà privata, dichiara che la legge ne determina i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e, soprattutto, nell’ambito di questa visione di pensiero, allo scopo di renderla accessibile a tutti.

A tale ultima disposizione si ricollega anche quella successiva dell’art. 44 che, al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, con particolare riferimento alla proprietà terriera, affida alla legge il compito di imporre limiti alla sua estensione, promuovere ed imporre la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive, disporre provvedimenti a favore delle zone montane.

Anche l’art. 47, secondo comma, pare direttamente ispirato da questa concezione, enunciando che la Repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Ne emerge, complessivamente, la concezione di uno Stato solidale che interviene nell’economia affinché il mercato sia finalizzato al benessere comune, pur senza negare il riconoscimento del diritto di proprietà e degli altri diritti economici che, in certa misura, vengono valorizzati.

Infine, particolare importanza ed evidenza è riconosciuta, in un’ottica solidaristica, al dovere tributario.

L’art. 53, contenuto nel tit. IV della prima parte della Costituzione dedicato ai rapporti politici, fissa le basi della collaborazione sociale, del patto tra i cittadini e lo Stato che, attraverso la spesa pubblica finanziata da tutti, potrà garantire la sua presenza nella società civile e nell’economia, fornendo quegli interventi e quei servizi indispensabili in primo luogo per garantire un’esistenza dignitosa a tutti i cittadini.

Tale articolo recita: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".

Ogni cittadino non partecipa alla spesa pubblica in relazione al beneficio che ne trae, ammesso che fosse possibile quantificarlo esattamente, ma in relazione alla sua capacità di pagare, sulla base di criteri di progressività.

Si realizza così una gigantesca forma di solidarietà sociale e di aiuto reciproco, mediato dallo Stato: per il migliore benessere di tutti, chi possiede poco darà poco, chi possiede molto darà molto, in misura più che proporzionale e in modo che il sacrificio degli uni e degli altri sia uguale.

Graziano Galassi
Vignola, 1 maggio 1996
www.grazianogalassi.it