La Costituzione e le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994

3.3. 1960-1976: il centrosinistra

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All’inizio degli anni sessanta cominciò una fase di distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica e di grandi speranze ideali per tutto il mondo, caratterizzata dall’attenuazione del clima di contrapposizione frontale tra i due blocchi.

Nel 1961 Krusciov e Kennedy si incontrarono negli Stati Uniti e avviarono i primi accordi relativi alla sospensione degli esperimenti atomici, nella prospettiva di una pacifica coesistenza che riconoscesse la diversità dei rispettivi sistemi politico-economici.

In quegli anni mutò anche l’atteggiamento della Chiesa cattolica che, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, assecondando il processo di distensione e di apertura, abbandonò le sue posizioni più smaccatamente filo-occidentali.

Ancora una volta, questa situazione politica internazionale ebbe effetti anche rispetto alla politica interna italiana, favorendo un atteggiamento più aperto verso l’innovazione e le riforme.

La Democrazia Cristiana venne così indotta ad abbandonare l’alleanza con la destra, che dal 1957 appoggiava i suoi Governi dall’esterno, e a iniziare un processo di riforme, sentito ormai da molti come indilazionabile, attraverso un’operazione di apertura a sinistra nei confronti del Partito Socialista.

Quest’ultimo dapprima appoggiò il Governo dall’esterno, poi vi partecipò direttamente e, accanto al Partito Socialdemocratico e al Partito Repubblicano, vi rimase quasi ininterrottamente fino al 1976, dando luogo al cosiddetto centrosinistra.

Questa operazione politica significò da una parte, per i socialisti, la possibilità di uscire da una condizione di sudditanza e dipendenza nei confronti del Partito Comunista e da un’opposizione che non pareva dare nessun risultato concreto; dall’altra, per i democristiani, rappresentò la possibilità concreta di dividere la sinistra e isolare all’opposizione il Partito Comunista.

Si cominciò a consolidare quell’atteggiamento della DC, e delle forze politiche che le gravitarono attorno per alcuni decenni anche se non ne condividevano appieno la politica, volto ad evitare a tutti i costi che il PCI, numericamente secondo partito del Paese, potesse conquistare o anche solo compartecipare formalmente al Governo.

L’Italia fu caratterizzata, rispetto a tutti gli altri Paesi europei e democratici, da una conventio ad excludendum che di fatto impedì per oltre quarant’anni una netta e reale alternanza alla guida del Governo.

Per molto tempo i partiti dell’area governativa teorizzarono che, anche in caso di vittoria elettorale dei comunisti, per ragioni internazionali che legavano l’Italia al blocco occidentale, non si sarebbe mai potuto accettare un loro ingresso al Governo.

È un fatto che, prima di ogni competizione elettorale, c’era l’ansia e il dubbio su quello che sarebbe potuto accadere se il PCI avesse ottenuto la maggioranza dei voti, sebbene a partire dagli anni sessanta fu sempre più forte l’autonomia e il distacco dal blocco orientale di questo partito.

Quando dei partiti, stando al Governo, pretestuosamente, non ammettono neanche in linea di principio di andare all’opposizione, teorizzando una sorta di "democrazia bloccata", rompono di fatto il patto costituzionale e le regole del gioco fondamentali della democrazia stessa.

Dal 1947 al 1993 la DC rappresentò l’asse portante di tutti i Governi e di tutte le maggioranze parlamentari e il PCI, se si esclude la parentesi dell’unità nazionale dal 1976 al 1979 in cui comunque solo dall’esterno appoggiò il Governo, fu sempre collocato all’opposizione.

Furono almeno due gli effetti deteriori di questa situazione. Da un lato, nella certezza che nessuno avrebbe potuto sostituirle, le forze di Governo non di rado utilizzarono il potere a proprio esclusivo vantaggio, favorendo fenomeni di corruzione e lottizzazione politica. Dall’altro si alimentò una forma di compensazione di questa esclusione del PCI dal Governo basata sul coinvolgimento di questo partito nei processi decisionali in cambio di alcune concessioni, il tutto anche in modo poco trasparente per l’opinione pubblica. Si definì in tal modo un sistema di potere poi denominato di "democrazia consociativa". Non era un caso che la stragrande maggioranza delle leggi in Parlamento venisse approvata con la quasi unanimità dei voti.

All’inizio degli anni sessanta, gli anni del "miracolo economico", si aprì comunque una stagione nuova, ricca di importanti innovazioni e attuazioni costituzionali.

Nel 1962, in attuazione dell’art. 43 della Costituzione, venne nazionalizzata la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica con la creazione dell’ENEL che doveva mettere a disposizione del Paese energia elettrica in quantità adeguata e a un costo minimo.

Nello stesso anno venne approvata la legge di riforma della scuola media che, sulla base del dettato dell’art. 34 della Costituzione, elevava l’obbligo scolastico all’età di 14 anni.

In quel periodo venne insediata anche la Commissione nazionale per la programmazione economica, nella convinzione che, per compiere un’incisiva azione riformatrice, l’intervento dello Stato nell’economia e nella società non avrebbe dovuto compiersi in modo episodico, ma in un quadro programmatico ponderato e preciso, come indicato anche nell’art. 41 della Costituzione.

Nel 1963, stroncato da una breve malattia, morì il "Papa buono", Giovanni XXIII. Nello stesso anno a Dallas, nel Texas, uccisero sparando da una finestra il Presidente degli Stati Uniti J. F. Kennedy; quell’omicidio, e le oscure forze che lo diressero, rimangono uno dei misteri di questo secolo.

In Italia continuò l’esperienza del centrosinistra, ma la spinta riformatrice iniziale fu ben presto destinata a raffreddarsi.

Nel luglio del 1964 accadde un episodio sconcertante per un Paese che la Costituzione definisce democratico. Tale episodio rimase ufficialmente segreto per molti anni.

Il Presidente della Repubblica Antonio Segni, nell’ambito delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo, ricevette al Quirinale alcuni rappresentanti delle Forze Armate, tra i quali il generale Giovanni De Lorenzo, capo dei servizi segreti (SIFAR) e in seguito eletto deputato nelle liste dell’MSI, ideatore del "Piano Solo".

Si trattava di un progetto di colpo di Stato che avrebbe dovuto essere attuato dall’Arma dei Carabinieri e da gruppi di civili, ex parà, repubblichini fascisti e estremisti di destra, addestrati in Sardegna nella base di Gladio di Capo Marrargiu. Il Piano sarebbe scattato se i socialisti, per entrare a far parte del nuovo Governo, avessero spostato troppo a sinistra la politica italiana.

Il Piano stesso prevedeva l’assunzione del potere da parte dei militari con l’occupazione delle sedi dei partiti e dei giornali della sinistra, della RAI e delle prefetture e l’arresto di uomini politici comunisti e socialisti e alcuni sindacalisti, indicati in una lista di molte centinaia di persone che non fu mai più ritrovata; essi avrebbero dovuto essere deportati nella stessa base di Gladio in Sardegna.

Il golpe non venne mai attuato, ma la sua minaccia fu efficace non solo nei confronti di quei socialisti che in un primo tempo volevano condizionare la loro partecipazione al Governo all’accettazione di incisive riforme, ma anche nei confronti di quelli che, senza le riforme, con l’On. Pietro Nenni in testa, volevano continuare la collaborazione con la DC nel futuro Governo, che sarebbe poi stato guidato dall’On. democristiano Aldo Moro; essi infatti paventavano i rischi che correva la democrazia italiana.

Negli anni successivi il Presidente della Repubblica Segni fu costretto a lasciare la sua carica a causa di un ictus cerebrale che lo aveva inabilitato, sembra, dopo un acceso incontro con Moro e il socialdemocratico futuro Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat; nel corso di tale incontro quest’ultimo aveva minacciato di deferirlo al giudizio della Corte Costituzionale per alto tradimento e attentato alla Costituzione per il "Piano Solo".

In quegli anni, in effetti, i Governi che si succedettero non realizzarono importanti riforme e fallì in pieno la politica di programmazione economica che aveva suscitato tante attese e speranze.

Nel 1965 accadde un altro inquietante episodio della storia occulta italiana. Presso l’Hotel romano Parco dei Principi si tenne un convegno, finanziato dal SIFAR, nel corso del quale venne teorizzata la "strategia della tensione" come elemento fondamentale della "guerra non ortodossa" da condurre contro l’avanzata delle sinistre. Vi parteciparono uomini dei servizi segreti, ufficiali e personaggi politici e giornalisti di destra e estrema destra, ma non solo.

Si avvicinavano intanto gli anni della rivolta studentesca e il 1968. Fu da un’università degli Stati Uniti, a Berkeley in California, che iniziò la contestazione giovanile, destinata presto a diffondersi in tutto il mondo.

La protesta investì i valori di una società individualista e conformista, negando la presunta neutralità della scienza e delle istituzioni sociali; si rifiutò la repressione e l’autoritarismo delle vecchie generazioni in nome di un mondo più libero.

In diversi fenomeni si manifestò la dimensione più politica della rivolta. In particolare: nell’impegno contro la guerra e l’imperialismo americano nel Vietnam e nel formarsi di un movimento pacifista internazionale; nel sorgere del movimento femminista che mise in discussione valori millenari; nella contestazione al totalitarismo sovietico con l’esperienza della primavera di Praga di Alexander Dubcek e la definizione di un "socialismo dal volto umano" appoggiato ed esaltato anche dai comunisti italiani che solidarizzarono con la ribellione del popolo cecoslovacco soffocata dai carri armati russi; infine, nel maggio francese e nel sogno di un’unione ideale con il movimento operaio di quel mezzo milione di studenti che sfilarono per le strade di Parigi.

In Italia, gli ideali di quella primavera del 1968, anche per l’incapacità del centrosinistra di svolgere un’opera effettivamente riformatrice, diedero luogo a una serie di lotte sociali che videro insieme studenti e mondo del lavoro e che sfociarono nel cosiddetto "autunno caldo" del 1969.

Furono anni di grandi conquiste sindacali e politiche.

Nel 1970 venne approvata la legge che conteneva lo Statuto dei lavoratori, con il quale tanti diritti costituzionali prima negati fecero ingresso finalmente nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro.

Nello stesso anno venne reso operativo un importante strumento di democrazia diretta con la legge di disciplina del referendum abrogativo previsto dall’art. 75 della Costituzione.

Sempre nel 1970, colmando un’inadempienza costituzionale che durava da vent’anni, vennero finalmente approvate le norme di legge necessarie per l’istituzione dell’ordinamento regionale e il corpo elettorale italiano fu chiamato ad eleggere, per ogni Regione, il rispettivo Consiglio regionale.

Per le forze politiche più reazionarie e più retrive, che rifiutavano il cambiamento e un ulteriore allargamento a sinistra della maggioranza verso i comunisti, furono gli anni della "grande paura". Gli anni in cui cominciava drammaticamente a dispiegarsi la "strategia della tensione", come risposta alle conquiste sociali e ai mutamenti in corso.

L’esplosione di una bomba ad alto potenziale nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano nel dicembre del 1969, con i suoi 16 morti e 88 feriti, fu il primo atto di una serie di stragi che insanguinarono l’Italia per anni.

Non è possibile non ricordare, tra le altre, le più gravi di queste stragi. A Peteano, in provincia di Gorizia, nel 1972 un’auto imbottita di tritolo uccise tre Carabinieri. A piazza della loggia a Brescia nel 1974, nel corso di una manifestazione antifascista, esplose una bomba provocando 8 morti e 94 feriti. Sul treno Italicus, all’interno di una galleria tra Bologna e Firenze, nel 1974 una bomba ad alto potenziale esplose provocando 12 morti e 105 feriti. Alla stazione ferroviaria di Bologna nell’agosto del 1980 l’esplosione di un ordigno potentissimo collocato nella sala di attesa di seconda classe provocò la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200. Sul rapido 904, nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, alla vigilia del Natale del 1984, esplose una bomba provocando 15 morti e 139 feriti.

Le indagini della magistratura per trovare i colpevoli furono caratterizzate da due elementi ricorrenti: i frequenti, incredibili e pesanti depistaggi operati dai servizi segreti sulle indagini stesse e il coinvolgimento, nei rari casi di individuazione dei responsabili materiali, di gruppi dell’estrema destra nel compimento degli attentati. Ma a che fine?

Un certo Vincenzo Vinciguerra, processato e condannato per la strage di Peteano, ammettendo la sua responsabilità, chiamò direttamente in causa appartenenti ai massimi livelli dello Stato parlando di "una struttura clandestina il cui scopo è quello di destabilizzare l’ordine pubblico per normalizzare il Paese sempre più in procinto di spostarsi a sinistra... una struttura clandestina costituita fin dai primi anni del dopoguerra". E fu proprio da quelle indagini che si iniziò a scoprire l’esistenza di Gladio.

Altre indagini giudiziarie e parlamentari evidenziarono a sufficienza il coinvolgimento di Gladio e del SID (i nuovi servizi segreti italiani che dal 1965 avevano sostituito il SIFAR) nella strategia della tensione e misero in luce come il SID stesso venisse strumentalizzato per condizionare quelle istituzioni democratiche previste dalla Costituzione che avrebbe dovuto difendere, prima utilizzando e poi coprendo manovalanza fascista.

I primi anni settanta furono anni di forte crescita elettorale del PCI (nelle elezioni per la Camera dei deputati del 1976 raggiunse il 34,4% dei voti) e dell’importante vittoria delle sinistre e del mondo laico nel referendum col quale si sarebbe voluto abrogare il divorzio; occorreva dunque fermare questa avanzata e questa spinta innovativa.

Le bombe, con la "strategia della tensione", avevano lo scopo di ricollocare l’elettorato, che timidamente si stava portando verso sinistra e verso il cambiamento, nella direzione dei partiti più moderati e di centro che parevano dare maggiori garanzie e più affidabilità. Insomma, come fu autorevolmente affermato anche nell’inchiesta parlamentare sulle stragi, destabilizzare per stabilizzare; la tensione sociale doveva essere lo strumento per un rafforzamento autoritario del governo del Paese.

A questo punto è opportuno accennare brevemente ad altri due eventi che, in questo quadro, assumono più chiarezza.

Il primo è il "Piano Tora Tora", un altro tentativo rimasto segreto di colpo di Stato ad opera di battaglioni militari guidati dal fascista Junio Valerio Borghese che, nel dicembre del 1970, occuparono per diverse ore il Ministero degli interni fino a un misterioso contrordine che fece rientrare tutti nelle caserme.

Il tutto, secondo alcuni giudici, sotto gli occhi del SID e dell’Ambasciata americana. Un episodio incredibile!

Uno dei golpisti interrogati, certo Gaetano Lunetta, dichiarò: "Il golpe Borghese c’è stato davvero: con i camerati di La Spezia e della Liguria siamo stati padroni assoluti del Viminale... Ed è anche sbagliato definirlo golpe “tentato” e poi rientrato. Il risultato politico che voleva ottenere chi aveva organizzato l’assalto è stato raggiunto: congelamento della politica di Aldo Moro, allontanamento del PCI dall’area di governo, garanzie di una totale fedeltà filoatlantica e filoamericana: la verità è che il golpe c’è stato ed è riuscito". Si tratta di una strategia del tutto analoga a quella utilizzata con il "Piano Solo".

Il secondo evento è rappresentato dall’ascesa di Licio Gelli. Con un passato di fascista e repubblichino, già a partire dagli anni sessanta fondò una loggia massonica segreta finanziata dalla CIA, denominata P2, che ben presto divenne un centro di potere occulto che si intrecciò con la storia politico-istituzionale dell’Italia e dei suoi servizi segreti, da cui Gelli stesso, fin dall’inizio, reclutò centinaia di adepti.

Ma per ora basti ricordare che dalle indagini giudiziarie la P2 risultò coinvolta, con una parte di rilievo, nella promozione e nell’arresto del golpe "Borghese" e che fu chiamata spesso in causa anche nelle indagini relative alle stragi di quegli anni.

Inoltre, nel 1975 Licio Gelli elaborò un "Piano di Rinascita Democratica" nel quale era contenuto l’obiettivo di una svolta autoritaria, ma non traumatica né violenta, con una forte diminuzione del ruolo e delle posizioni del PCI. Gli strumenti più importanti individuati per realizzarlo erano: il controllo dei mass media, la normalizzazione dei sindacati confederali, la dipendenza del pubblico ministero dal potere esecutivo e la riduzione del ruolo svolto dalla Magistratura, il rafforzamento del potere esecutivo con l’elezione diretta del Capo dello Stato.

Sul piano legislativo occorre ancora ricordare che in questo periodo si giunse all’approvazione di due rilevantissimi provvedimenti grazie al contributo delle sinistre: la riforma fiscale del 1973 che, dando attuazione all’art. 53 della Costituzione, definiva un nuovo sistema impositivo di carattere effettivamente progressivo, e la riforma del diritto di famiglia del 1975 che concretizzava in precise norme giuridiche il principio di uguaglianza tra uomo e donna nella famiglia, secondo la previsione dell’art. 29 della Costituzione, abrogando le relative anacronistiche norme del codice civile del 1942.

Graziano Galassi
Vignola, 1 maggio 1996
www.grazianogalassi.it