Il punto di fondo che distingue (e divide) l'opposizione del centro sinistra da quella di Rifondazione comunista è il fatto che, dal punto di vista sociale e delle politiche economiche, l'Ulivo non ha una proposta alternativa alle destre. Questo è il nodo e ciò rende del tutto illusoria la strada di una critica alla dirigenza del centro sinistra che rimane dentro il suo orizzonte politico e culturale. Privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, destrutturazione dello stato sociale sono stati gli obiettivi perseguiti dai governi di centro sinistra e questa politica non è stata messa in discussione oggi.
Il problema non è (almeno, non è
principalmente) cambiare i leader dell'Ulivo,
né la nostra proposta di rompere
la gabbia del centro sinistra è un'operazione
politicista (i Ds rompano con
la Margherita): il punto è la politica che
si propone al Paese.
Per questi motivi la
nostra rottura con il governo Prodi è stata
strategica: non abbiamo rotto su una
posizione massimalista (noi volevamo
100 e loro si fermavano a 10): abbiamo
rotto sulla direzione di marcia.
Noi volevamo
andare sulla linea di una alternativa
alle politiche neoliberiste, loro nella
direzione di un governo di quelle politiche.
Questo è il nodo ancora aperto.
Per questi motivi, occorre aprire una
fase nuova e proporre al Paese una piattaforma
sociale per l'alternativa.
Ne
abbiamo delineato i primi elementi.
E' vero o non è vero che nel decennio
che abbiamo alle spalle la produttività
è cresciuta oltre il 2% l'anno, l'inflazione
di una media superiore al 3,5%,
mentre le retribuzioni reali sono diminuite
(dati della Banca d'Italia) del 5%?
Non è quindi vero che l'aver legato i salari
all'imbroglio dell'inflazione programmata
(circa l'1% ogni anno inferiore a
I quella reale) ha determinato una perdita
del potere di acquisto in termini reali
delle retribuzioni e, contemporaneamente,
il profitto delle imprese si è
appropriato di tutto il fortissimo aumento
della produttività che si è realizzato
nei medesimi anni? E' vero o non è vero
che il livello delle retribuzioni in Italia
sono inferiori di molto alla media europea
(almeno del 30% in termini di potere
di acquisto di quelle della Germania)?
Riporre la questione di un meccanismo
automatico di salvaguardia dei
salari e delle pensioni dall'inflazione
reale e proporre una linea di rivendicazioni
salariali che tendono ad allineare
le retribuzioni del nostro Paese a quelle
dei principali Paesi europei non rappresenta
una strada giusta, comprensibile
dai lavoratori, praticabile concretamente?
Certo chiede di fare la scelta di uscire
da sinistra dalla gabbia della concertazione.
Ma è proprio questo il salto che
occorre fare.
Se vogliamo una connessione
con grandi parti di sofferenza,
specialmente tra i giovani e nelle aree
del nostro meridione, è vero o non è
vero che vanno messi a critica radicale
i sistemi usati oggi di cosiddetta incentivazione
all'occupazione? E' vero o no
è vero che l'Italia è al primo posto nell'Ue
per la disoccupazione giovanile e
che la composizione della disoccupazione
dimostra che nel nostro Paese la
gran parte è composta da quella definita
di lunga durata (oltre i 12 mesi)? E'
vero o non è vero che la spesa in Italia,
in termini di sussidi e benefits, per i
disoccupati è agli ultimissimi posti in
Europa? E' vero o non è vero che i modesti
aumenti in termini occupazionali
sono ascrivibili esclusivamente al
cosiddetto lavoro atipico (ovvero alle
varie forme di precarietà)?
In questo quadro, proporre l'introduzione
di una salario sociale per i giovani
in cerca di prima occupazione e i
disoccupati di lunga durata, è una proposta
che può coinvolgere e dare speranze
e prospettive a larghi settori di
esclusione e disperazione sociale oggi
esistenti.
Collegare, inoltre, questa
rivendicazione con una ripresa della lotta
per la riduzione dell'orario di lavoro a
parità di salario e per un nuovo intervento
pubblico per creare occasioni di
lavoro di pubblica utilità ci parla della
possibilità di una nuova stagione di lotta
per la piena occupazione.
Certo questo
imporrebbe di rivoluzionare i meccanismi
fino ad oggi perseguiti di aiuti a
pioggia alle imprese, un fiume di
migliaia di miliardi (oggi si deve dire di
milioni di euro) che i vari governi (compresi
quelli di centro sinistra) hanno perseguito
con una coerenza e continuità
degni di migliore causa.
E' vero o non è vero che i meccanismi
perversi innescati dalle selvagge
regole (il sistema del massimo ribasso)
nei settori degli appalti e dei servizi
hanno dimostrato tutta la loro devastante
conseguenza sui livelli occupazionali,
i diritti, i salari dei lavoratori? Le
vertenze drammatiche dei lavoratori
degli appalti nei settori dei trasporti di
questi ultimi mesi (le tante lotte disperate
di tanti lavoratori sottoposti ai
meccanismi senza scampo della cosiddetta
concorrenza) non dimostra con
chiarezza che, alla fine, chi paga sono
solo i lavoratori e che le conseguenze
(anche in termini di sicurezza) ricadono
sulla collettività?
Proporre l'introduzione di una clausola
sociale nei contratti, che tuteli i
diritti dei lavoratori (in termini salariali,
occupazionali, nei diritti e nella sicurezza)
è, quindi, un'operazione non solo
giusta ma in grado di dare una risposta
concreta e capace di coinvolgere i lavoratori
per una battaglia di civiltà.
Allo
stesso modo, introdurre una imposta
sulle transazioni finanziarie (la famosa
Tobin tax) non ci parla della possibilità
di introdurre un elemento di controtendenza
su un punto che svela l'ingiustizia
strutturale del sistema neoliberista?
Tu pensionato o lavoratore dipendente
paghi alla fonte le imposte senza possibilità
di scampo, chi sposta continuamente
enormi fortune, per esempio
speculando sui cambi valutari, non
paga nulla.
E, infine, all'attacco del
governo che vuole eliminare l'illegittimità
del licenziamento senza giusta
causa, non si può rispondere andando
oltre la semplice difesa dell'esistente e
proponendo, come intendiamo fare
anche attraverso un referendum, l'estensione
del reintegro anche per chi
oggi ne è escluso, ovvero le aziende sotto
i 15 dipendenti? I critici dell'Ulivo,
cosa hanno da dire su tutto questo?
Invece di improbabili formule politiciste
o di organigrammi fondati sul ceto politico,
non possiamo confrontarci su questi
temi? Verifichiamo qui, sui nodi veri
delle scelte politiche, se la gabbia del
centro sinistra regge o si rompe.
Vogliamo, quindi, lanciare una piattaforma
per l'opposizione sociale al
governo delle destre.
Dobbiamo capire se questa nostra
proposta è oggi credibile, ovvero non
solo se è giusta ma se è, anche, praticabile.
Pensiamo di sì per due ragioni:
oggi il neoliberismo è in crisi, ovvero le
magnifiche sorti promesse dalla rivoluzione
neoliberale sono fallite: la crisi
economica, anzi la recessione bussa
alle porte delle principali potenze capitalistiche
e, come il caso Argentina
dimostra chiaramente, è una ricetta fallimentare
anche per gli altri Paesi.
Oggi,
inoltre, c'è un movimento contro questa
globalizzazione capitalistica, che ne
contesta alla radice i meccanismi e ne
denuncia le conseguenze devastanti
per le persone.
Possiamo quindi lanciare con forza
questa nostra offensiva.
C'è una ripresa
del conflitto sociale, c'è indetto lo
sciopero generale della Cgil.
Si tratta
del secondo sciopero, dopo quello
indetto dai sindacali di base lo scorso
15 febbraio.
Sarà una mobilitazione
gigantesca che sta dentro la ripresa del
conflitto che è cresciuto, a partire dalle
manifestazioni del movimento no global
e dagli scioperi della Fiom.
Come non
capire che da lì possiamo, dobbiamo,
partire per un'offensiva capillare in tutto
il Paese, in ogni piccola e grande
città, davanti a ogni piccolo e grande
posto di lavoro per tessere una rete di
rapporti e di alleanze per costruire la
piattaforma dell'opposizione sociale al
governo delle destre, dentro al movimento
di lotta che si sta sviluppando e
ancora crescerà?
La manifestazione nazionale che
vogliamo fare il 4 maggio per il salario
europeo e la piattaforma sociale deve
essere, quindi, il punto culminante di
una campagna generale e non un fatto
isolato, un appuntamento da celebrare
e basta.
Rimettiamo la politica con i piedi
per terra.
«Resistere, resistere, resistere
» gridavano le persone dei girotondi
e quelli del Palavobis di Milano.
«Resistere
», «resistere», “resistere” è il
nostro pane.
Lo abbiamo fatto, unici,
quando tutti andavano dietro alle sirene
del pensiero unico della globalizzazione
e ci dicevano che quella era l'unica politica
possibile e che, al massimo, si
poteva governare quella che chiamavano
«la modernizzazione», umanizzandola.
Il centro sinistra in nome del «noi un
po' meno» ci ha portato al peggio.
Proprio in nome di quella resistenza, oggi noi possiamo proporci un obiettivo più ambizioso e possiamo
riempire le strade e le piazze gridando «alternativa», «alternativa», «alternativa».