Elezioni amministrative 26 maggio 2002

"La sinistra premiata dai movimenti"

Intervista a Fausto Bertinotti

Fausto Bertinotti è contento dei risultati elettorali ma non crede che segnino una svolta. Né nei rapporti di forza tra destra e sinistra, né sulla via di una ricomposizione della sinistra. Crede che il voto esprima una situazione di stallo, anche se molto aperta. La definisce «stallo di movimento»,che è un nuovo ossimoro politico (ossimoro vuol dire accostamento degli opposti). Dice che siamo entrati in una specie di «età di mezzo», nella quale si fronteggiano e si annullano spinte opposte: ma sono spinte forti e alla fine o le une o le altre prevarranno. C'è la spinta liberista, restauratrice - diciamo la spinta della globalizzazione - e c'è quella abbastanza composita dei movimenti (cioè dei no-global, dei girotondi, dei sindacati, eccetera). Il risultato è che da un gran crescere di energie si arriva ad una fase di immobilità, di straordinario equilibrio. Secondo Bertinotti è questo il messaggio che ci viene dal voto.

Il voto dice anche che è stata sperimentata con successo l'alleanza tra sinistra radicale e centro-sinistra. Ha dato buoni frutti. Possiamo dire che è nato un nuovo asse politico ?

Evitiamo di inciampare per eccesso di ottimismo. Il risultato elettorale è incoraggiante ma è sbagliato nascondere gli ostacoli. Vediamo: quali sono le domande che si pongono? Sono tre: come vinci? Come guadagni consensi? Come realizzi una politica di cambiamento. In realtà a guardar bene è un'unica domanda. Lasciarla senza risposta in nome dell'ottimismo sarebbe un suicidio. Cioè sarebbe un suicidio pensare che la destra è battuta, o che per batterla basta l'unità del centro-sinistra con la sinistra. Non è vero. Occorre un'operazione politica molto complicata che è quella di dare una risposta esauriente a tutte e tre quelle domande, non a una sola.

E qual è la risposta giusta?

La spinta dei movimenti di massa è stata decisiva in questa tornata elettorale. Ha premiato sinistra e centrosinistra. Però noi sappiamo benissimo che questi movimenti non hanno un progetto politico. Questo è il punto. Questa è la sfida per tutti: creare un progetto politico. Prima di parlare di nuovo asse politico dobbiamo verificare la possibilità di un progetto. Altrimenti buttiamo al vento un'occasione.

Bertinotti, non ti sembra che questo voto italiano sia in controtendenza rispetto alle recenti elezioni in diversi luoghi d'Europa?

Nel voto italiano c'è una particolarità: la forza dei vari movimenti che si sono affermati in questi mesi. E la forte presenza della lotta sindacale. Però sarebbe illusorio credere che qui da noi la crisi della politica è superata. La crisi della politica è un fenomeno che, in forme diverse, investe tutto l'occidente. È dentro questa crisi che avviene l'annullamento tra l'onda di destra e quella progressista. Noi dobbiamo trovare la via per fare prevalere l'onda progressista.

Mettiamo che ti trovi ad un tavolo coi Ds, con la Margherita, i verdi e gli altri alleati di queste elezioni. E decidete di cercare un programma comune. Quale può essere il punto di partenza?

Il punto di partenza è l'articolo 18. È la questione attorno alla quale si sta sviluppando la parte decisiva della battaglia tra destra e sinistra. Vediamo come stanno le cose. Da una parte c'è il centrodestra, unito - sia sul piano politico che su quello sociale - che vuole l'abolizione dell'articolo 18. Dall'altro c'è una parte della sinistra (non ha interesse qui fare nomi o porre confini) che propone al contrario di estendere l'articolo 18 (si vedrà poi con quali mezzi).
Perché la destra vuole abolirlo? Perché in questo modo vuole rovesciare a suo favore i rapporti di forza tra impresa e lavoro, tra sistema liberista e sindacati. Introducendo maggiore flessibilità. Giusto? E perché una parte della sinistra vuole estendere l'articolo 18? Perché ritiene che per fare avanzare la società italiana e per fargli superare l'imbrigliatura del neoliberismo occorre il contrario della flessibilità: occorre introdurre elementi di rigidità, vincoli. Il grande economista Claudio Napoleoni li chiamava “vincoli interni”. L'economia ha dei potentissimi vincoli esterni (il principale vincolo esterno è la globalizzazione) si tratta di contratsrali con dei vincoli interni che cotruiamo noi. Di fronte a questa contrapposizione, cosa fa il centrosinistra? Il grosso dice: non se ne parla nemmeno, perché farebbe saltare il nostro blocco sociale. Un altro pezzo di centro-sinistra dice: pensiamoci meglio. E poi c'è un pezzo che è disponibile a discutere. La verità è che su un problema così importante, decisivo, il centro-sinistra non ha una sua posizione. Voglio essere ancora più drastico: il centro-sinistra non ha un suo «ubi consistam», una sua collocazione naturale.

Un anno fa ce lo aveva. Era l'«ubi consistam» del riformismo europeo ed era la collocazione al governo. Il fatto che sia in corso un ripensamento su molti aspetti di quella collocazione non dovrebbe essere visto da voi come un fatto positivo?

È vero, ce l'aveva. È entrato in crisi prima con la sconfitta elettorale e poi con l'esplodere dei movimenti. Deve essere ricostruito. È qui, in questa ricostruzione che la sinistra si gioca tutto. Prevarrà chi crede che bisogna seguire Blair, e che bisogna aumentare il tasso di liberalismo nella sinistra? Se prevarrà questa linea è evidente che è del tutto inutile parlare di unità con noi. Se prevarrà una linea diversa il discorso è aperto. Quello che mi sembra infondato è dire: basta unirsi e si vince. Non è vero. È un'illusione pericolosissima.

Voi siete contenti del risultato elettorale del vostro partito?

Sì, molto contenti. Confrontando il risultato delle provinciali con quello delle politiche, cioè gli unici risultati confrontabili, perché omogenei, registriamo un netto aumento dei consensi.

Piero Sansonetti
Roma, 28 maggio 2002
da "L'Unità"