In vista delle elezioni politiche del 2006

Partiti e sistema elettorale

La scelta delle liste bloccate per le elezioni legislative indica che neppure l'occasione della campagna elettorale sarà sfruttata per ristabilire un minimo di circuito di relazione con la società civile, l'elettorato, il quadro dei simpatizzanti.

Nelle settimane appena trascorse sono state elaborate molte analisi sul nuovo sistema elettorale, esaminato da diversi punti di vista.

L'affermazione più importante che è stata svolta e che sento di ribadire è stata quella relativa al fatto che questo nuovo sistema si può definire in molti modi, tranne che come “ritorno al proporzionale”.

Dal punto di vita tecnico non ci troviamo di fronte neanche ad un misto tra maggioritario e proporzionale e neppure, sottilizzando ma nemmeno troppo, ad un proporzionale con premio di maggioranza: si tratta, invece, di un premio di “minoranza”, non essendo stata prevista per la coalizione o il partito vincente il raggiungimento di alcuna soglia.

Inoltre la differenziazione nei diversi livelli di sbarramento per il raggiungimento del diritto alla divisione dei seggi, allontana ancora di più l'idea che questo tipo di sistema elettorale sia stato pensato in funzione di un recupero di rappresentatività.

Fin qui, comunque, tutte affermazioni già svolte che, in ogni caso, vale la pena di ripetere, se non altro a futura memoria.

L'argomento dell'impatto che questo sistema avrà sulla struttura e l'identità dei partiti politici in Italia, invece, è stato fin qui dibattuto in una misura molto minore.

Provo, allora, a cimentarmi sull'argomento in maniera molto sintetica.

Partiamo, così, da alcune considerazioni più volte ripetute negli ultimi i tempi: i partiti , dopo aver dominato la scena del sistema politico italiano, sono entrati in crisi da almeno un quindicennio per varie ragioni ( mutamento dello scenario internazionale, cessione di sovranità da parte dello stato nazionale, crisi economica e morale interna,ecc), dismettendo quella funzione di “integrazione di massa” che,pur tra contraddizioni evidenti, avevano svolto almeno dalla fase di redazione della Carta Costituzionale.

I partiti hanno ceduto il passo alla società civile ( emblematico, sotto questo aspetto, il mutamento di relazione con il mondo dell'economia, così efficacemente rappresentato proprio dagli avvenimenti di questi ultimi giorni), trasformandosi in “partiti azienda” e/o in “comitati elettorali”.

Il mutamento del sistema di voto, avvenuto nel 1993, aveva corrisposto in una qualche misura a questo processo di trasformazione ed,anzi,gli elettori avevano dimostrato di essersi abituati alla concezione maggioritaria – bipolare, permettendo al sistema di funzionare (“non troppo”, “per caso”, “finalmente”, tanto per citare i titoli dei fondamentali testi di analisi elettorale, curati nel 1994, 1996, 2001 da Bartolini e D'Alimonte in occasione degli esiti delle elezioni politiche).

All'inizio dell'autunno, invece, la decisione del centrodestra al potere di mutare la legge elettorale e di varare l'indigesto impasto con il quale si andrà, presumibilmente (la legge votata dal Parlamento non è ancora stata ancora pubblicata, stranamente, in “Gazzetta”) a votare il prossimo 9 Aprile 2006.

Critici molto feroci attribuirono al Governo l'idea di cambiare la legge elettorale soltanto allo scopo di limitare, sul piano dei numeri parlamentari, una sconfitta che appariva certa (mal che vada, qualcuno ha pensato, alla Camera finisce 340 – 290): oggi la situazione appare leggermente cambiata, ma non pare proprio questa la sostanza del discorso.

Al dunque, se c'è chi ha pensato a questa trasformazione della legge elettorale come ad uno strumento che, in una qualche misura, potrebbe consentire ai partiti di uscire dalla crisi cui ho appena accettato, tentando di recuperare un minimo di rappresentatività sociale, dovrà ricredersi.

L'assenza del meccanismo delle preferenze per l'assegnazione dei seggi alla Camera (è stato adottato, infatti, il sistema della “lista bloccata”) e, il già citato, “premio di minoranza” (in luogo di un corretto premio di maggioranza, che dovrebbe scattare, qualora si decida di adottarlo, nel momento in cui la coalizione vincente, al primo o al secondo turno, superi il 50% più uno dei voti validamente espressi) faranno sì che gli effetti di questo presunto sistema proporzionale sul sistema dei partiti, sarà esattamente contrario a quello di una crescita del loro ruolo rispetto alla società.

Anzi: ci troveremo in una situazione di ulteriore distacco, perché al minimo di efficienza sociale che i partiti stanno dimostrando, corrisponderà il massimo del potere di nomina.

Tutto ciò sta a significare che difficilmente ci sarà un movimento dei cittadini verso i partiti al fine di risolvere problemi concreti ( ormai funzionano meglio le“lobbies”, comitati di protesta, associazioni di scopo che interloquiscono direttamente con le istituzioni): ai partiti finiranno con il rivolgersi soltanto coloro che intendono fare della presenza istituzionale (in varie forme) la loro attività professionale.

Non per caso sale il numero di chi cumula cariche (consigliere o assessore in Enti Diversi: ad esempio Provincia e Regione; oppure consigliere comunale e parlamentare, ecc) o di chi a tempo pieno si occupa di consulenza istituzionale, attraverso il rigonfiamento delle strutture di staff o di segreteria.

Insomma: ai partiti servono consulenti non certo militanti, tanto più se militanti fastidiosi capaci di discutere della linea politica e delle scelte amministrative.

La scelta delle liste bloccate per le elezioni legislative indica, inoltre, che neppure l'occasione della campagna elettorale sarà sfruttata per ristabilire un minimo di circuito di relazione con la società civile, l'elettorato, il quadro dei simpatizzanti (insomma i tre cerchi concentrici di Duverger, si ormai ridotti ad un solo cerchio quello degli eletti).

Non ci sarà campagna elettorale al di fuori di quella che i leader condurranno dallo schermo televisivo: chi avrà interesse, infatti, a chiudersi alla sera in una sala per ascoltare un candidato di seconda schiera, già sicuro di essere eletto se incluso nella lista in una posizione idonea, oppure già sicuro di essere escluso, perché la segreteria del suo partito lo ha collocato “fra gli ultimi della lista”?

Un sistema, per concludere, che mortifica ancora di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, la partecipazione politica, esalta il ruolo di attivisti senza arte né parte che si collocano nelle istituzioni considerandole la succursale del vecchio ufficio di collocamento, porrà ancora di più i partiti in una dimensione da “fortino assediato”.

Intendiamoci bene: tutto questo è un male, un grave malanno, per salute della nostra democrazia.

Infine una battuta, dedicata a quei candidati che saranno collocati d'ufficio in una posizione di graduatoria che impedirà loro di poter aspirare ad un seggio: Forza Italia e DS, concordi, hanno ritenuto giusto che i candidati contribuiscano alle spese della legge elettorale (quanto? 20.000 – 30.000 euro a testa?).

Questo può andar bene, però, per quei candidati collocati in pole – position: ma quelli in decima fila (tra la Minardi e la Sauber) , per la stessa motivazione, dovrebbero essere pagati, perché in pratica, mettendoci nome faccia, non svolgono altro che la funzione di “testimonial” della lista.

Ed un “testimonial”, secondo le sagge leggi del marketing pubblicitario che ormai presiedono all'attività politica, debbono essere (profumatamente, aggiungiamo) pagati

Allora: le elezioni. Competition is competition or business is business ?

Franco Astengo
Savona, 31 dicembre 2005