Il recente braccio di ferro tra Russia e Ucraina dovrebbe indurre tutti a chiedersi: quanto è libero un paese non autosufficiente dal punto di vista energetico

Quale energia, quale industria, quale sviluppo: quale ruolo dello Stato?

Mentre ci indigniamo per l’arroganza francese sulla questione Enel-Suez, abbiamo già ceduto la tecnologia del treno pendolino ad Alstom, la grande distribuzione ad Auchan

C’è uno scarto tra i contenuti della campagna elettorale e ciò che sta mettendo in grave pericolo la tenuta industriale e sociale del paese reale.

Sarebbe bene che questa campagna elettorale affrontasse i temi dell’economia e dell’impresa e, di conseguenza, del lavoro e delle sue condizioni, anche perché, il giorno dopo le elezioni, la questione della politica industriale, del modello di sviluppo, dell’intervento dello Stato saranno all’ordine del giorno: basta elencare gli ultimi avvenimenti per rendersene conto.

Il nuovo governatore della Banca d’Italia, nel suo “manifesto d’intenti” rilancia l’idea delle privatizzazioni e di un sistema finanziario di stampo nettamente liberista. Ma le banche, oggi, si occupano anche di assicurazioni, di previdenza, e (il caso Fiat è eclatante) detengono quote di aziende a loro volta azioniste delle banche, alle quali concedono crediti di cui sono beneficiarie. In verità sono nati nuovi oligopoli al di fuori da qualsiasi controllo e responsabilità sociale.

Il presidente di Confindustria, ben lunghi dall’ode all’innovazione («la concorrenza si batte solo se si sa innovare») con cui aveva farcito il suo discorso di investitura, elenca cinque punti irrinunciabili: quattro hanno come obiettivo la riduzione dei costi delle imprese e uno la riduzione a zero dell’autonomia del sindacato. E siamo alla ricetta di sempre, quella che ha portato al disastro il paese, mortificando le pensioni, i salari e i diritti dei lavoratori.

La ridicola scalata dell’Enel alla società francese Suez: solo un manipolo di ingenui o di imbecilli poteva pensare che la Francia fosse disposta a cederci una parte importante del settore energetico. Ma mentre ci indigniamo per l’arroganza francese, abbiamo già ceduto la tecnologia del treno pendolino ad Alstom, la grande distribuzione ad Auchan e permettiamo quotidianamente alle multinazionali di chiudere fabbriche moderne e superspecializzate (l’ultima in ordine di tempo è la Abb di Legnano, unica azienda in Italia che produce trasformatori di alta potenza).

La vicenda gas: può un governo pensare di risolvere una questione enorme come questa (che è un campanello d’allarme clamoroso) con la riduzione di un grado del riscaldamento? Avevamo Edison, l’abbiamo ceduta ai francesi, perché non c’è stato un industriale italiano che ha scelto di investire in quell’azienda strategica, mentre il recente braccio di ferro tra Russia e Ucraina dovrebbe indurre tutti a chiedersi: quanto è libero un paese non autosufficiente dal punto di vista energetico? L’ultimo che si è posto seriamente il problema è stato Enrico Mattei, eppure questo è il punto di partenza per la costruzione di un nuovo sistema industriale.

Ecco che tornano, prepotentemente, i quattro nodi di fondo: quale energia e quale politica energetica, quale industria e quale politica industriale, quale sviluppo, quale ruolo dello Stato.

Quale energia: persino Montezemolo ha dichiarato che per diminuire del 20% il costo dell’energia bisogna saper fare energia pulita (peccato che la Fiat abbia osteggiato e continui a osteggiare il progetto di reindustrializzazione di Arese che va in questa direzione). Allora il problema non è ridurre i costi, alimentando la perversa spirale per cui lo sviluppo del paese ha come contropartita il disastro ambientale e sociale, ma iniziare a investire seriamente sulle fonti energetiche alternative e su combustibili “ecologici” (a partire dall’idrogeno).

Quale industria: per fare un prodotto, oltre all’energia, servono le macchine utensili.

Nonostante le svendite di brevetti e tecnologie di questi anni, esistono ancora, in Italia, aziende specializzate nella meccanica e nell’elettromeccanica: teniamocele e investiamo risorse per la crescita di questo settore. Nonostante le pesantissime ristrutturazioni, anche nel settore tessile e chimico esiste ancora un patrimonio prezioso di competenze e professionalità: investiamo perché non venga cancellato, perché “resti al lavoro”, perché venga accresciuto.

Quale sviluppo, ossia cosa e come produrre: beni che rispondano alle esigenze della collettività in modo rispettoso delle persone e dell’ambiente. Quale ruolo dello Stato: un ruolo di indirizzo delle scelte e di intervento economico nei settori e nelle aziende considerate strategiche. Berlusconi e il governo di centro destra hanno fallito: hanno spostato il 10% della ricchezza dai salari e dalle pensioni alle rendite e, contemporaneamente, l’industria italiana ha perso la sfida della concorrenza sul piano internazionale. Oggi va ricostruita la catena industriale del paese, la sua identità. E’ questo che dovrebbe fare un governo serio.

Un governo di centro sinistra, in più, deve immettere in questo processo le condizioni e il valore di lavoro come punto di snodo.

Maurizio Zipponi
Roma, 10 marzo 2006
da "Liberazione"