Elezioni amministrative. 6 - 7 giugno 2009

IL PROGRAMMA DI RIFONDAZIONE COMUNISTA PER LE ELEZIONI COMUNALI E PROVINCIALI

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Simbolo PRC- SE

Il quadro di riferimento

Al centro della prossima tornata elettorale amministrativa, che coinvolgerà 63 Province e oltre 4.000 Comuni, per il Prc vi è il tema della capacità degli enti locali, più vicini ai cittadini, più inseriti nel contesto sociale, di riappropriarsi del loro ruolo di rappresentanza democratica dei cittadini, contrastando gli effetti della crisi sui lavoratori e le lavoratrici e le riduzioni dei trasferimenti finanziari, tendenti a limitare la loro capacità di incidere sui territori. In particolare, con l'approvazione della legge delega sul federalismo fiscale c'è il rischio che diritti e risorse non siano più uguali per tutti gli enti locali, facendo venir meno quella concezione universalistica dei diritti dei cittadini per la quale ci battiamo da anni.

E' necessario, infatti, contrastare con il voto al Prc una vera e propria controriforma del ruolo dei Comuni e delle Province che tenta di mettere in discussione, insieme all'autonomia finanziaria, i diritti sociali dei cittadini, a partire dai più deboli, e la possibilità di partecipazione democratica alle scelte degli enti pubblici più vicini ai problemi ed ai bisogni dei cittadini.

E' in questo contesto che il Prc deve schierarsi per la reale valorizzazione del ruolo delle autonomie locali.

Al fine di aprire una nuova stagione delle autonomie locali, il Prc considera essenziale che i programmi siano il fondamento delle alleanze e non semplici corollari, considerando vincolante:

Nella condizione generale di crisi in cui versa il Paese, insomma, ci battiamo perché il sistema enti locali diventi il primo luogo di intervento per la gestione di politiche di redistribuzione e di inclusione sociale.

Per il Prc è essenziale mettere al centro il tema della questione morale, emerso anche in molte giunte del Pd, in stretto collegamento con il tema delle alleanze e delle eventuali aperture proposte da queste giunte all'Udc, aperture alle quali ci opponiamo nettamente sia a livello politico che programmatico.

Il Prc considera, pertanto, essenziale che i programmi, e conseguentemente le alleanze, siano il risultato, in primo luogo, di un confronto con le forze della sinistra e i movimenti sociali e che tale confronto deve essere occasione di partecipazione popolare alle scelte che si definiscono.

Questione morale

Il Prc lavora perché a partire dagli enti locali attraverso la partecipazione si superi quel distacco fra cittadini e istituzioni frutto delle mancate risposte ai bisogni popolari e dei ceti più deboli e reso più grave dalla moltiplicazione, negli ultimi mesi, di episodi di corruzione di amministratori e di esponenti politici, di cattivo utilizzo del danaro pubblico e da un perverso rapporto fra politica e affari, fatti che hanno riproposto l'urgenza della moralizzazione della vita pubblica.

La verità è, infatti, che ogni volta che a livello di enti locali si discute di esternalizzazioni, privatizzazioni, norme derogatorie di piani regolatori ecc. non solo si mina la democrazia della rappresentanza degli interessi pubblici, ma si apre un varco drammatico alla possibilità di corruzione degli amministratori, come evidenziato dall'esplodere della questione morale nei mesi scorsi in Abruzzo, a Firenze, a Napoli ed in molte altre situazioni.

Ecco perché proponiamo come discriminante, sia per le nostre liste, sia per le coalizioni con cui ci alleiamo, l'adozione di un codice etico da parte di ogni candidato, basato su alcuni principi a tutela della moralità pubblica:

Si tratta,inoltre,di mettere in campo regole chiare e trasparenti di gestione: pensiamo a criteri per le nomine, a limitazione delle trattative private, sia per affidamenti di opere che di servizi, all'assoluta limitazione delle consulenze e del ricorso a dirigenze esterne e, comunque, mediante bandi di evidenza pubblica, onde reperire reali esperti.

Enti locali contro la crisi

Abbiamo più volte constatato negli ultimi mesi come la portata della crisi economica abbia determinato un arretramento senza precedenti nella storia rispetto alle conquiste date fin qui per scontate, un arretramento violento che, in poche settimane, ha riportato il mondo, l'Europa e l'Italia, a prendere atto di licenziamenti di massa, della precarizzazione dell'esistenza dei cittadini e dell'esclusione di ogni diritto: aumento vertiginoso della cassa integrazione e della disoccupazione, endemicità del precariato e crescita della povertà in fasce sempre più diffuse della popolazione.

E' perciò fondamentale che nelle piattaforme programmatiche per il governo delle Province e dei Comuni ci siano punti chiari:

  1. è necessario creare d'intesa tra Comuni, Province e Regioni, fondi di solidarietà per i lavoratori in cassa integrazione finalizzati sia all'anticipazione delle spettanze sia a misure di solidarietà e di sostegno alle lotte;
  2. nessun aumento delle tariffe dei servizi (asili nido- refezione etc) e previsione di una fascia di esenzione o del suo ampliamento per le famiglie monoreddito dei lavoratori con un reddito netto inferiore a d euro 15.000 l'anno;
  3. sospensione delle rate dei mutui per la prima casa, attraverso convenzioni con gli istituti di credito,per il periodo previsto di cassa integrazione dei lavoratori del territorio,e senza oneri per i beneficiari dell'allungamento della durata del mutuo stesso;
  4. difesa del potere d'acquisto dei redditi più bassi, favorendo l'iniziativa dei Gas (Gruppi d'acquisto solidali) e dei Gap (Gruppi di acquisto popolare) contro il caro vita per i generi di largo e generale consumo, favorendo i mercati su aree pubbliche, concordando con i produttori iniziative promozionali di vendita diretta in un'ottica di accorciamento della filiera;
  5. esenzione dai pagamenti per i servizi pubblici locali per i giovani disoccupati, precari o comunque provenienti da famiglie a basso reddito.

Autonomia finanziaria e gestione delle risorse

Con la manovra estiva (legge Tremonti 133), e poi con la finanziaria si è definito un taglio gigantesco, che non ha paragone con analoghe misure degli scorsi anni, che per il solo 2009 prevede una riduzione di trasferimenti di 3.150 milioni di euro (1.500 alle Regioni, 310 alle province e 1.340 ai comuni) che assumono proporzioni feroci per il 2010 e 2011 (complessivamente meno 650 mln per le Province e meno 6.510 per i Comuni); con questi numeri gli enti locali hanno avuto grande difficoltà a chiudere i bilanci a meno di non voler subire un ricatto: o si tagliano i servizi per i cittadini, magari anche privatizzando beni pubblici o si esce dal patto di stabilità, subendone le sanzioni successive.

Si è consumato, insomma, con questi provvedimenti un gravissimo attacco all'autonomia finanziaria dei comuni e degli enti locali, che contrasta, peraltro, con la fretta demagogica con cui è stato approvato il disegno di legge-delega Calderoli sul federalismo fiscale, senza aver prima definito le funzioni proprie dei comuni e delle province e la certezza dei diritti per tutti i cittadini.

Si delinea, in sostanza, una subordinazione della finanza degli enti locali alla finanza nazionale penalizzando gli investimenti e le scelte degli enti locali, soprattutto quando tali scelte rispecchiano i bisogni dei cittadini.

Un importante obiettivo di lotta è, quello di costruire un'iniziativa degli amministratori e dei cittadini per una radicale modifica dell'attuale configurazione del “patto di stabilità”, prevedendone un allentamento soprattutto per quanto concerne la spesa sociale e gli investimenti, tenendo conto che il calo della produzione e dell'occupazione rende più drammatico il costo sociale di una politica di risanamento solo monetaria dei conti pubblici, rispetto all'esigenza di equità sociale e di rilancio dei consumi interni

In questo quadro servirebbe rilanciare l'intervento pubblico in economia ridiscutendo il parametro del rapporto fra debito pubblico e Pil sotto il 2,5%, prevedendone l'innalzamento almeno di un punto. E' possibile in questo modo investire i 15 miliardi sopravvenienti, equivalenti ad un punto di Pil, per la detassazione dei salari a partire dai redditi più bassi e per finanziare l'estensione della cassa integrazione a tutti i lavoratori (portandola all'80% dello stipendio) con relativo obbligo del mantenimento del posto di lavoro e l'istituzione di un salario sociale per tutti i disoccupati; una politica che a differenza dell'assegno di disoccupazione proposto dal Pd, punti al mantenimento del rapporto di lavoro per tutti i lavoratori e col salario sociale crei le condizioni dell'inclusione sociale di giovani, precari e disoccupati.

Fermo restando il nostro impegno a contrastare la politica dei tagli e di controriforma degli enti locali del Governo della destra, noi proponiamo anche a legislazione vigente alcune scelte prioritarie in materia di bilancio e di politica finanziaria di enti locali tese a rendere praticabile la tutela delle esigenze dei ceti più deboli e per non essere quindi costretti a tagliare politiche sociali o aumentare tariffe dei servizi.

In particolare proponiamo di lavorare sulle entrate correnti:

Ici. Visto che i comuni non percepiscono più, a partire dal 2008, l'entrata proveniente dal prima casa è possibile tuttavia intensificare l'azione relativa all'evasione-elusione, sia per quanto riguarda gli altri immobili soggetti ICI, sia per gli ex fabbricati rurali, sia per quanto riguarda le prime case e assimilati in relazione agli anni pregressi (2004-2007).

Irpef. Pur considerando ambigua e propagandistica la norma che prevede la partecipazione degli Eell all'accertamento su evasione/elusione Irpef, che riconosce al comune collaborante il 30% della somma dell'accertata evasione, è possibile, tuttavia, utilizzare tale norma per aumentare le entrate, puntando soprattutto ad accertamenti antielusivi.

Si può inoltre lavorare sulla riduzione della spesa corrente con precisi indirizzi politici.

Ridurre al massimo le consulenze e gli incarichi, valorizzando le risorse interne, riducendo o se possibile azzerando le progettazioni affidate all'esterno, riducendo convegni, seminari, eventi, feste, contributi ecc. non strettamente necessari.

Risorse umane. In questa ottica, va posta una grande attenzione alla macchina amministrativa degli enti locali, contrastando la cultura brunettiana che individua i pubblici dipendenti come fannulloni improduttivi, per puntare ad una privatizzazione di funzioni pubbliche e all'esternalizzazione di numerosi servizi.

Vanno in ogni caso salvaguardati la dignità ed i diritti dei lavoratori, che sono prima di tutto lavoratori subordinati e, poi, anche “risorse umane“ degli enti locali.

L'obiettivo deve essere quello di una completa deprecarizzazione della P. A., attraverso piani pluriennali di assorbimento delle risorse attualmente a tempo determinato e la conseguente definizione di nuovi servizi stabili a favore dei cittadini.

Democrazia e partecipazione

L'innovazione dei meccanismi democratici, determinata dalla sperimentazione di processi partecipativi connessi alla gestione della cosa pubblica, permette il superamento di disuguaglianze tra i cittadini e l'affermazione del principio della trasparenza dell'amministrazione pubblica .

Il bilancio partecipativo, strumento sperimentato, in modo pionieristico dal Municipio di Porto Alegre, e successivamente in tante parti del mondo ed in alcuni municipi italiani, è una delle pratiche partecipative più interessanti e significative.

La modalità di svolgimento del bp non è univoca, ogni realtà territoriale la attua secondo propri criteri, ma esistono, tuttavia, direttrici principali lungo le quali si muovono tutte le sperimentazioni. L'inclusione del cittadino avviene tramite l'istituzione di momenti assembleari (tematici, territoriali) durante i quali avviene il confronto e lo scambio tra tutti gli attori presenti (cittadini, amministratori) in merito a questioni di carattere pubblico. Analogamente a quanto avviene per il bilancio occorre dotarsi di un regolamento per la partecipazione dei cittadini alle decisioni urbanistiche, garantendo ai cittadini stessi strumenti di informazione adeguati, spazi di incontro e discussione.

Il bilancio partecipativo va affiancato e preceduto da strumenti di bilancio più semplici come il bilancio sociale (e come il bilancio ambientale ecc.) che ne assumano l'obbiettivo di fondo: una modalità di definizione del bilancio degli enti pubblici che parta dai bisogni dei cittadini che contribuiscono a definire le priorità nell'uso delle risorse disponibili.

Il bilancio sociale consiste infatti in un rapporto periodico con i cittadini - con forme stabili di comunicazione anche attraverso la rete informatica - che riaccordi tutte le voci di bilancio per obbiettivi facilmente verificabili dai cittadini (es. opere pubbliche, riqualificazione territoriale e ambientale, politiche sociali, trasporti ecc) ed evidenzi in maniera chiara le risorse necessarie per il raggiungimento di tali obbiettivi, permettendo in questo modo ai cittadini stessi di valutare l'utilità delle opere realizzate e la qualità dei servizi erogati.

In concreto proponiamo di porre al centro delle nostre piattaforme programmatiche:

Non può essere taciuto, però, che negli enti locali, lungi dall'affermarsi di forme di democrazia diretta e di partecipazione, si è innestato spesso negli ultimi anni un progressivo svuotamento delle funzioni, dei compiti e dei ruoli dei consigli comunali e dei consigli provinciali a favore del potere ormai monocratico del Sindaco e delle Giunte.

Si pone, quindi, il tema della modifica della legge 81/93 sull'elezione diretta dei sindaci e presidenti, legge che ha favorito certamente, una maggiore stabilità dei governi locali, ma a danno delle prerogative di rappresentanza democratica dei Consigli, ridotti spesso ad una pura funzione consultiva e spesso privati anche delle competenze effettive in materia di bilancio e di urbanistica.

Noi proponiamo, invece, un nuovo rapporto tra sindaci, presidenti e consigli, un rapporto che valorizzi funzioni, competenze e prerogative dei consigli comunali e provinciali, prevedendo la facoltà statutaria di ampliare le attribuzioni consiliari.

Riteniamo buona base di partenza in questa discussione il Documento dei Consigli Comunali approvato nel corso dell'Assemblea dell'Anci a Trieste dell'autunno scorso.

Va in questo quadro affrontato il tema dei piccoli Comuni inferiori a 5.000 abitanti rispetto ai quali non si può accettare che i trasferimenti statali siano basati solo sulla spesa storica e non tengano conto dei reali bisogni dei cittadini. I piccoli Comuni sono in Italia oltre 5.000 e va salvaguardato il fatto che essi siano dotati di tutti i servizi minimi essenziali (scuola, poste, presidio sanitario, servizi sociali, ecc) indipendentemente dal costo economico di questi servizi essenziali. Ai piccoli Comuni va garantita pari dignità con gli altri comuni italiani a livello di vivibilità, di servizi e di collegamenti con i grandi centri.

Ruolo Provincie e nostre proposte

In questo quadro riteniamo decisivo che si definiscano le funzioni fondamentali delle Province, nel rispetto dei principi degli articoli 118 e 119 del titolo V della Costituzione, anche al fine di finanziare “integralmente le funzioni pubbliche attribuite” prima dell'attuazione del disegno federalista.

Come Prc riteniamo, quindi, che si debba considerare chiuso l'annoso dibattito sull'inutilità delle Province e le demagogiche campagne sui loro costi e lavorare, invece, in positivo, a definire per le stesse una funzione fondamentale di pianificazione economica e territoriale di area vasta, anche per permettere un livello di coordinamento dei 5.740 Comuni italiani inferiori ai 5.000 abitanti, che rappresentano una caratteristica peculiare ed una ricchezza dell'Italia

Proprio per salvaguardare questo ruolo di coordinamento di area vasta e di ente intermedio tra Regioni e Comuni ci siamo opposti in questi anni alla proliferazione di nuove e piccole province, la cui configurazione territoriale non fosse storicamente e culturalmente definita e pretendiamo che le Regioni conferiscano alle Province tutte le deleghe previste in particolare in materia urbanistica, ambientale, di assetto idrogeologico di edilizia scolastica e di politiche per la formazione e per il lavoro.

Una provincia che rispetti i compiti ad essa assegnati, con un programma di governo chiaro e preciso, può essere l'unica istituzione che può agire su scala intermedia (quindi senza le diseconomie di scala dei piccoli e medi comuni), e soprattutto sostituendo alla farraginosità burocratica dell'amministrazione regionale una più efficace azione amministrativa e di programmazione.

Beni pubblici e lotta alle privatizzazioni dei servizi pubblici locali

E' nota la nostra battaglia sul tema della lotta contro la privatizzazione dei servizi locali, battaglia che ha avuto il punto più significativo in particolare nella mobilitazione popolare per l'acqua pubblica e che si è concretizzata durante la nostra esperienza di maggioranza nel governo Prodi nel contrasto alla prima versione del Ddl Lanzillotta, che, di fatto, obbligava gli enti locali alla privatizzazione dei soggetti che gestivano acqua, gas, trasporti pubblici etc.

E' fondamentale coinvolgere in questa battaglia sui territori i cittadini, i comitati e forum per l'acqua, le associazioni per il Nuovo Municipio e tutti i soggetti che in questi anni hanno costruito dal basso pratiche partecipative locali.

La sfida principale ovviamente rimane quella della pubblicizzazione del servizio idrico.

Il governo Berlusconi con la legge 133/2008 all'art. 23 bis ha legiferato, ovviamente, in un'ottica di privatizzazione (riprendendo, di fatto, l'originaria impostazione del “Lanzillotta”) e relegando la gestione diretta in house a situazioni marginali.

Il 23 bis, infatti, prevede, per la gestione dei servizi pubblici locali, come regola generale ordinaria la messa a gara degli stessi e quindi la privatizzazione.

A legislazione invariata vanno comunque utilizzati tutti gli strumenti normativi ed amministrativi ammessi per conseguire gestioni interamente e propriamente pubbliche dei servizi pubblici locali.

Il 23 bis, infatti, è costretto a riconoscere che gli enti locali possono ricorrere a forme di gestione dei Spl alternative alla messa a gara purché nel rispetto di quanto previsto dalla normativa comunitaria.

Proprio a livello comunitario (solitamente citato da chi pretende di imporre come soluzioni inevitabili le privatizzazioni e le liberalizzazioni) si trovano gli elementi normativi a sostegno di una forma di gestione dei Spl integralmente pubblica; si tratta di due principi previsti dalla normativa comunitaria a più riprese confermati dalla giurisprudenza europea:

il principio di autonomia delle autorità pubbliche;

il diritto delle autorità pubbliche di ricorrere alla “auto produzione” dei servizi da erogare ad una comunità.

La nuova normativa, si applica a tutti i Spl senza le precedenti distinzioni (gas, energia e trasporti). Oggi, siamo nelle condizioni, seppur difficili, sul piano politico e su quello amministrativo, di proporre una gestione integralmente e propriamente pubblica di tutti i servizi pubblici locali costruendo aziende pubbliche in grado di gestire l'intera gamma dei Spl (acqua, rifiuti, gas-energia, Tpl).

Al fine di affermare l'obbiettivo della gestione pubblica dei Spl vanno necessariamente previsti cospicui investimenti pubblici (europei, nazionali,regionali) per ottenere, a partire dall'acqua la proprietà pubblica delle reti, oltre che della gestione, tenendo conto che nessun comune italiano è in grado da solo di sostenere i costi di tale pubblicizzazione dei Spl ed i necessari investimenti.

Sulla tematica dei Spl, insomma, è per noi discriminante assoluta, nei nostri rapporti di coalizione e nella definizione dei programmi, individuare le vigenti modalità di gestione dei vari servizi, pretendere un impegno a non procedere a nuove privatizzazioni se già avviate in alcuni servizi e definire un percorso per la pubblicizzazione di tutti i servizi a partire dall'acqua, individuando tempi e strumenti per tale percorso. Va in ogni caso prevista l'individuazione di strumenti di partecipazione e di controllo dei cittadini utenti sulla qualità e le tariffe dei servizi erogati.

Istruzione e diritto allo studio

Il sistema dell'istruzione è una risorsa fondamentale per la crescita della comunità locale. Le scuole vanno valorizzate come centri di promozione umana e culturale, di aggregazione sociale e di partecipazione democratica. Al fine di favorire l'accesso al sapere dei cittadini e delle cittadine, con prioritaria attenzione per le fasce sociali deboli e a rischio di abbandono scolastico, è necessario promuovere una serie di interventi che diano centralità alle politiche della conoscenza nella dimensione locale. La legge 133 dell'agosto scorso ed il famigerato decreto Gelmini attraverso un forte taglio delle risorse da destinarsi proprio alla scuola dell'obbligo,hanno apportato diverse novità per quanto riguarda la scuola primaria e secondaria di primo grado, oggetto di interventi da parte dei comuni, nonché nella scuola secondaria per la quale sono previste notevoli modifiche e accorpamenti tra indirizzi.

1^ Questione

La prima questione che dovrà essere affrontata è quella relativa agli spazi scolastici, poiché la normativa prevede un innalzamento del numero di alunni per classe per i prossimi anni. Le Province, per quanto riguarda gli edifici scolastici sede di istituti di istruzione secondaria, e i Comuni per quanto riguarda gli istituti comprensivi ( scuole dell'infanzia, scuole primarie e secondarie di primo grado) dovranno attivarsi per dare risposte concrete elaborando piani per l'edilizia scolastica con l'obiettivo della sicurezza, e dell'innovazione al fine di creare spazi moderni, adeguati ( palestre, laboratori, mense) al passo con i tempi e funzionali ad una scuola in cui l'alunno sia parte attiva e protagonista.

2^ Questione

La seconda riguarda il tempo scuola ridotto dalla Gelmini con la riduzione dell'orario scolastico alla primaria, la sostanziale scomparsa del tempo prolungato alle medie, il tentativo di limitare le classi a tempo pieno, in un momento in cui continua a crescere la richiesta di un tempo scuola più lungo, date le difficoltà che hanno genitori che lavorano, a gestire l'attività scolastica pomeridiana dei figli. E'invece ormai evidente la richiesta di orari più lunghi, viste le iscrizioni già avvenute (che denotano una sonora bocciatura della legge Gelmini da parte delle famiglie) e dovranno essere le amministrazioni comunali a farsi carico di ciò, senza che questo si ritorca in un aumento di costi a carico delle famiglie stesse.

3^ Questione

Terza questione: la riduzione del numero degli insegnanti e delle compresenze comporterà una riduzione di ore a disposizione delle istituzioni scolastiche, ore che oggi vengono usate per attività di recupero per gli alunni più in difficoltà o per corsi di alfabetizzazione per alunni stranieri. La promozione di politiche mirate all'inserimento di studenti stranieri dovrà avvenire anche attraverso l'organizzazione di funzioni di mediazione culturale.

Saranno le amministrazioni che, all'interno dei Piani per il diritto allo studio, dovranno fornire risorse alle scuole perché possano continuare ad effettuare gli interventi nei confronti dei ragazzi che hanno maggiori necessità, prestando particolare attenzione anche all'integrazione dei soggetti disabili.

4^ Questione

Quarta questione, la realizzazione di Scuole dell'infanzia e di Asili nido pubblici, che devono essere considerati un servizio per la collettività e quindi dovranno essere accessibili a tutti anche alle famiglie con un basso reddito. Va esclusa, a maggior ragione in un momento in cui vengono ulteriormente tagliati i finanziamenti alle scuole pubbliche, la possibilità di prevedere finanziamenti comunali per l'istruzione privata.

Urbanistica e programmazione territoriale

Altro nodo programmatico decisivo è per noi il territorio, inteso come patrimonio di beni e risorse materiali ed immateriali da tutelare e valorizzare. Dobbiamo opporci con forza alla proposizione di modelli di sviluppo fondati sulla speculazione territoriale, tanto in termini di urbanizzazione edificatoria quanto di insediamenti produttivi inquinanti.

Punto di importanza fondamentale per il futuro delle città e dei territori è quello della programmazione urbanistica. E' evidente che il governo di centro destra intende promulgare la fine del governo pubblico del territorio, la sua irreversibile privatizzazione, la resa senza condizioni agli interessi fondiari.

Per contrastare in maniera adeguata ed efficace la nefasta prassi dell'urbanistica “contrattata”, vanno individuati adeguati strumenti finalizzati a restituire significato e cogenza agli strumenti di programmazione pubblica del territorio e dei suoi usi:

E' necessario garantire un controllo delle trasformazioni anche alla scala edilizia, attraverso il Regolamento Edilizio che ha lo scopo qualificare e classificare il patrimonio immobiliare incentivando l'uso di tecnologie ecocompatibili capaci di migliorare la qualità dell'abitare oltre che ridurre i consumi energetici, idrici ecc.

Attraverso i regolamenti edilizi va ovviamente contrastata la nuova normativa sulla casa portata avanti dal Governo Berlusconi che rischia di legalizzare un vero e proprio saccheggio edilizio e del territorio prevedendo la possibilità di aumentare del 20% le cubature di edifici residenziali e commerciali in deroga ai piani regolatori. Come Rifondazione Comunista pensiamo che questa sostanziale liberalizzazione dell'abusivismo edilizio avrebbe effetti devastanti sul territorio.

Una nuova politica abitativa

E' in questo contesto che deve essere programmata una nuova stagione per l'affermazione del diritto alla casa ed il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica.

Il “disagio abitativo”. Il governo Berlusconi ha cancellato i finanziamenti della legge nazionale n° 9/2007 sul disagio abitativo in sostegno alle categorie deboli, da noi fortemente voluta, che predisponeva strumenti tesi ad affrontare l'emergenza costruendo al tempo stesso la base di partenza per interventi strutturali di una nuova politica del diritto alla casa.

In particolare le nostre proposte sul tema riguardano:

Difesa dell'ambiente

Il territorio va poi difeso con una costante opera di manutenzione capace di mantenere efficienti i sistemi di difesa idraulica, di coordinare le competenze e le conoscenze sulla gestione delle opere di bonifica, di difesa delle coste dall'erosione.

E' soprattutto tra i beni naturali che ci sono quei beni comuni che per noi vanno maggiormente tutelati e che devono rimanere proprietà pubblica. Questo e' l'impegno che rinnoviamo nei nostri programmi:

Aria.

Il Piano di risanamento della qualità dell'aria deve indicare le azioni da intraprendere per concorrere a migliorare su scala locale la qualità dell'aria a partire da alcune scelte significative:

Acqua.

I principi guida nella gestione dei servizi idrici integrati non possono prescindere dalla difesa del carattere pubblico della proprietà e della gestione delle reti oltre che dell'erogazione del servizio e debbono puntare al risanamento dei corpi idrici inquinati, al conseguimento del miglioramento dello stato delle acque, alla diminuzione della dispersione delle reti, al perseguimento di usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche con priorità per quelli potabili.

Protezione dell'ambiente e biodiversità.

Il territorio dei comuni italiani costituisce un patrimonio unico per ricchezza di habitat e biodiversità. Tale ricchezza, già tutelata con l'istituzione dei Parchi nazionali e regionali e delle Riserve Naturali, va accresciuta mediante la tessitura di vere e proprie Reti Ecologiche.

Gestione sostenibile delle risorse naturali e dei rifiuti.

La “chiusura del cerchio” dell'eco-compatibilità si ottiene promuovendo il mercato dei prodotti “ambientalmente preferibili” ovvero dei prodotti che durante l'intero ciclo di vita siano in grado di generare minori impatti sull'ambiente in termini di diminuzione dell'energia, riduzione delle emissioni durante la produzione, minore produzione di rifiuti e riciclabilità.

Il decollo di questo mercato e degli “acquisti verdi” potrà dare uno sbocco alle azioni positive che vanno pianificate nei Piani Provinciali dei rifiuti che debbono contenere alcune scelte di fondo: riduzione della produzione dei rifiuti, aumento della raccolta differenziata, superamento della politica degli inceneritori passando al trattamento a freddo, attivazione della filiera del riciclo e del riuso delle merci.

Cambiamenti climatici, energia e impegni di Kyoto.

L'Italia è in clamoroso ritardo nell'applicazione del Protocollo di Kyoto. A fronte di un impegno di riduzione del 6,5% rispetto ai valori del 1990, si registra invece oggi un superamento del 12% dei livelli di emissioni nazionali al 1990. In questo contesto di grave ritardo l'Italia sceglie il ritorno al nucleare dopo 20 anni dal Referendum che rischia, oltre alle considerazioni sulla pericolosità di questa tecnologia, di spostare tutte le risorse sul nucleare piuttosto che sulle fonti rinnovabili così come hanno fatto gli altri Paesi europei e come si apprestano a fare gli Usa di Obama. Sul nucleare vanno sottoscritti impegni chiari, nella costruzione di alleanze elettorali, perché il Comune e la Provincia dove ci candidiamo siano dichiarati “territori denuclearizzati” per far nascere dal basso una grande opposizione alla scelta del governo.

La scala locale non è certamente risolutiva degli impegni gravanti sull'Italia ma vanno praticate anche a questo livello tutte quelle iniziative, anche piccole, che, se diffuse in tutto il territorio nazionale, possono contribuire anche in maniera significativa al contenimento delle emissioni dei gas climalteranti:

Agricoltura

E' necessario sollecitare, ove non sia stato già fatto, che le Regioni attuino le deleghe nei confronti delle Province in materia di politiche agricole.

Bisogna ricominciare a ragionare seriamente su un modello agricolo che sia in grado di rappresentare un'alternativa alla speculazione edilizia nonché alla disoccupazione, all'emarginazione sociale, all'abbandono delle zone interne, alla povertà crescente, che ponga con forza la questione della qualità dei prodotti, legata al lavoro, alla tipicità, alla territorialità e tracciabilità.

Devono essere incrementate, le attività agro silvo pastorali e artigianali tradizionali, incentivando le produzioni locali e l'occupazione, anche attraverso la valorizzazione delle terre pubbliche,comunali favorendone la gestione attraverso attività eco compatibili (ad es. agricoltura biologica - recupero del patrimonio naturale ed architettonico locale - educazione ambientale - educazione al gusto, agricoltura sociale);

I Comuni di concerto con le organizzazioni professionali agricole, i sindacati, le associazioni ambientaliste e dei consumatori possono costituire sul proprio territorio farmer market o mercati contadini di vendita diretta di prodotti agricoli legati al territorio, accorciando la filiera con incremento di reddito per i produttori e risparmio economico e aumento della qualità per i consumatori.

I Comuni devono incrementare nelle mense di propria competenza l'utilizzo di produzioni biologiche e possibilmente legate al territorio.

Con apposita delibera, i Comuni devono dichiararsi liberi da Ogm.

Attività produttive e turismo

L'artigianato e la piccola impresa devono essere integrati in un concetto di valorizzazione del patrimonio territoriale, le stesse specificità locali devono concorrere ad una politica di sviluppo responsabile che crei valore aggiunto per l'insieme del territorio facendo sì che le stesse aziende portino un valore aggiunto a tutta la comunità.

Uno strumento che i Comuni possono utilizzare è il recupero e il riuso di medie e grandi aree industriali dismesse; una politica comunale che favorisca l'insediamento di imprese artigiane legate alle specificità socio-culturali del territorio può essere un modo per usufruire di aree che troppo spesso finiscono in mano alla speculazione. Per lo sviluppo produttivo ed occupazionale di artigianato e piccola impresa non è sufficiente la disponibilità di aree , ma necessitano di fattori e condizioni favorevoli. Le Istituzioni e fra queste, in primo luogo i Comuni devono impegnarsi per contribuire a costruire:

La spinta della grande distribuzione alle aree di pregio e strategiche è pressoché uniforme in tutto il territorio nazionale. E' tuttavia è possibile utilizzare gli strumenti di programmazione urbanistica e commerciale per impedire o limitare la devastazione del tessuto economico, territoriale, urbano e sociale .

Al fine di garantire la presenza delle piccole attività commerciali e di artigianato tipico locale soprattutto nei centri storici e nelle periferie e per contribuire a difendere posti di lavoro, vanno proposte iniziative tese a ottenere:

Turismo

Nel turismo italiano, negli ultimi anni, le cose non vanno più tanto bene. La domanda domestica è ferma. La domanda straniera cala. La voglia degli Italiani di andarsene a fare vacanze all'estero aumenta sempre. E' impensabile che si possa riguadagnare competitività solo con le politiche di sostegno alle imprese, adatte alle crisi di tipo congiunturale e ai settori che producono merci .Il turismo si vende nel medesimo luogo in cui si produce: insomma il turismo è un settore produttivo in cui l'utile d'impresa non dipende solo dalla capacità di chi investe ma da fattori pubblici come l'ambiente, le risorse naturali e l'organizzazione del territorio. E' sul piano locale che si specializzano le diverse tipologie di turismo (i “turismi”) ed avviene l'assemblaggio e la formazione del prodotto turistico finale, inteso come insieme di beni, servizi, valori ed opportunità che si offrono alla fruizione dei turisti.

Considerata la centralità del territorio nello sviluppo del turismo è indispensabile una politica locale focalizzata su alcuni priorità:

Trasporti e mobilità

Il problema dei trasporti è una delle grandi questioni nazionali. In tutti sondaggi emerge come uno dei principali problemi che investono quotidianamente i cittadini. Nonostante ciò le soluzioni sono spesso palliativi (targhe alterne), contraddittorie,( parcheggi in centro), quando non sbagliate come la proliferazione di grandi opere stradali che non fanno altro che peggiorare la situazione di una mobilità fin troppo basata sul trasporto gomma: persone e merci. Le auto ed i camion inquinano anche quando sono fermi in quanto occupano molto spazio. Tant'è che le città, da luogo di vita e di relazione sono diventante delle infrastrutture per l'auto. I trasporti basati sul trasporto su gomma per persone e merci sono dunque ormai insostenibili per i costi umani, sanitari, economici che producono e ricadono su tutta la società.

Le proposte:

  1. i cittadini e gli amministratori devono decidere senza alibi prendendo coscienza e conoscenza degli enormi guasti che questo modello di trasporti spande sulla società.
    Per questo proponiamo l'introduzione, nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale ed annuale, del Bilancio Sociale e Ambientale per una Mobilità Sostenibile. Tale bilancio deve evidenziare i costi umani, sociali, sanitari, ambientali, economici e gli sprechi che i trasporti producono sul territorio, in modo che nessuno possa prescinderne nel momento delle scelte. In secondo luogo tale Bilancio deve contenere gli obiettivi di cambiamento e le scelte coerenti di carattere finanziario e politico da trasferire nei piani di settore: Piani Urbani di Mobilità (Pum) ed altri strumenti urbanistici; è fondamentale che tale procedimento avvenga in forma partecipata;
  2. nello specifico vanno aumentati in modo progressivo i finanziamenti al trasporto pubblico. Allo stesso va aumentata la velocità commerciale dei mezzi con radicali politiche del traffico migliorando per questa via l'efficacia e la qualità del servizio . Così va pontenziato il trasporto taxi nelle ore notturne per donne, giovani e lavoratori turnisti con la possibilità di prenderli con un biglietto bus e con rimborso del resto da parte del comune;
  3. attraverso la logistica si deve operare una riorganizzazione complessiva del trasporto merci nelle città e zone limitrofe con l'obiettivo possibile di una riduzione dei camion circolanti del 25% per ognuno dei prossimi due mandati amministrativi;
  4. è necessaria un'integrazione tariffaria fra i vari mezzi. Nei centri delle città dove i viaggi sono sempre brevi proponiamo biglietti ridotti: 50 centesimi per 30 minuti;
  5. ad un servizio pubblico deve corrispondere una gestione pubblica delle aziende.

Lavoro e formazione professionale

Come abbiamo già detto la crisi morde ferocemente il mondo del lavoro. I dati sulla disoccupazione sono rivisti costantemente e rapidamente in rialzo. L'Unione Europa è passata da una previsione di 3,5 milioni di disoccupati a oltre 6 milioni. Così accade in Italia; ma il dato significativo è che oltre la metà è donna.

La questione del lavoro è dunque la principale questione sociale e politica. Per il Prc è il primo tema programmatico per le prossime amministrative. Su questo tema misureremo le possibili alleanze.

Abbiamo già esposto le nostre proposte generali per la salvaguardia del lavoro, contro i licenziamenti per l'estensione della cassa integrazione e per il salario sociale.

Vogliamo ora individuare il ruolo e le competenze specifiche degli enti locali, in particolare delle province sul tema del lavoro e della formazione professionale da mettere al centro dei nostri programmi .

Va in primo luogo ribadita la priorità della valorizzazione del collocamento pubblico come strumento per perseguire l'obiettivo di un lavoro “buono” stabile e non precario, sicuro e con i diritti.

Infatti a partire dal Decreto legislativo n. 469 del 23/12/97, il sistema di collocamento viene gestito attraverso le Amministrazioni locali che meglio riescono a soddisfare le esigenze del proprio territorio.

I Centri per l'Impiego si vanno infatti configurando, sempre più, come strutture che offrono “servizi” a maggiore valore aggiunto per i lavoratori e le imprese, riducendo le attività di assolvimento delle pratiche amministrative.

In sostanza ai Centri per l'Impiego spetta il compito di fornire proposte di inserimento lavorativo, formazione e riqualificazione professionale, attuando una strategia di prevenzione contro la disoccupazione giovanile o quella di lunga durata.

Prioritario diventa allora difendere il carattere pubblico di queste strutture dei servizi per l'impiego impegnando le province a contrastare quegli aspetti della legislazione nazionale che impone tagli al personale, o esternalizzazione e precarizzazione.

Come è allo stesso modo decisivo il tema del completamento del decentramento di queste funzioni riguardanti il collocamento pubblico e la formazione professionale dalle regioni alle province, tenendo conto che in molte regioni del sud (Campania e Calabria in primo luogo) tali funzioni restano saldamente in mano alle Regioni.

Una gestione locale e pubblica dell'accesso al lavoro deve porsi alcuni obbiettivi prioritari:

Diritti di cittadinanza sociale per un welfare inclusivo e partecipato

In questi anni la tendenza strutturale delle politiche neoliberiste è stata caratterizzata dal taglio dei servizi sociali. Questo ha prodotto che i diritti e la loro esigibilità sono divenuti una variabile secondaria rispetto al contenimento della spesa pubblica.

Occorre ricordare, infatti, che l'attuale Governo ha nuovamente e drasticamente ridotto il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (Fnps) ed ha annullato fondi per la non autosufficienza, per le politiche di inclusione degli immigrati e per gli asili nido, azzerando, di fatto, la parziale ma significativa inversione di tendenza sul finanziamento pubblico delle politiche sociali fortemente voluta dal Prc, durante il Governo dell'Unione.

Si vuole smantellare progressivamente lo stato sociale ed il principio costituzionale dell'eguaglianza a favore di un welfare residuale e caritatevole, ben simboleggiato dall'introduzione della social card.

E' necessario contrapporre, a livello locale, un modello universalistico che risponda ai bisogni, vecchi e nuovi, delle persone. Il nostro programma deve caratterizzarsi da una chiara ri-assunzione di responsabilità del pubblico attraverso la sua presenza costante nell'articolazione del sistema di protezione sociale, rifiutando logiche mercantili e di esternalizzazioni selvagge. Le stesse realtà del terzo settore, indispensabili nelle politiche del welfare locale, sarebbero facilitate nel loro lavoro di qualità, avendo anche maggiori tutele, se operanti in sinergia con l'ente pubblico e non in sostituzione dello stesso.

Ma presenza pubblica vuol dire anche presenza e partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano. In particolare, la programmazione dei piani di zona deve essere allargata a tutti i soggetti che compongono la rete sociale, dalle scuole alle associazioni, dalle cooperative alle singole persone ed orientata su alcune priorità:

  1. la massima integrazione delle politiche locali del welfare, che vada a contaminare la rete dei servizi sociali, sanitari ed educativi al fine di garantire la presa in carico globale della persona attraverso progetti individualizzati comprendenti la continuità degli interventi da un contesto ad un altro;
  2. rispondere ai bisogni delle persone non autosufficienti, dagli anziani alle persone con disabilità, avviando percorsi di de istituzionalizzazione e preferendo la domiciliarità degli interventi. Questo sancirebbe, da una parte, il passaggio dall'esclusione all'inclusione sociale delle persone, dall'altra, un risparmio di risorse assorbite oggi dagli istituti;
  3. ampliare l'intera offerta dei servizi. In particolare, vanno assicurati servizi per l'infanzia, che in Italia superano di poco l'11% rispetto alla domanda, con ripercussioni negative sull'educazione stessa dei bambini e sulle condizioni di vita e di lavoro delle donne, che spesso sono le sole a farsi carico della cura dei propri figli;
  4. impedire il ricorso al massimo ribasso da parte dei comuni per l'affidamento degli appalti, che origina un'offerta scadente e la precarizzazione dei lavoratori coinvolti. Infatti, per noi ripartire dai diritti vuol dire anche ripartire dai diritti di chi lavora nel sociale, che spesso si trova in condizioni di precarietà e formazione inadeguata, pregiudicando la stessa qualità delle prestazioni offerte.
La proposta che avanziamo è, dunque, quella di praticare un'idea alternativa di welfare, che definiamo pubblico e sociale.

Occorre superare tutte le politiche che puntano al finanziamento di strutture familiari basate sul modello tradizionale della famiglia fondata sul matrimonio con provvedimenti di aiuto alla famiglia gestiti in modo privatistico attraverso le politiche di sussidiarietà.

Occorre promuovere una cittadinanza sociale sessuata, che tenga conto della differenza sessuale e che avvii uno scambio tra le differenze culturali tra nativi/e stranieri/e.

Occorre intendere i piani di zona come l'insieme dei progetti di vita delle donne e degli uomini che vivono sul territorio, dalle politiche di accoglienza, a quelle di assistenza, a quelle di prevenzione dei comportamenti a rischio promuovendo il protagonismo e la presa di parola dei soggetti.

Le prestazioni ai servizi sociali devono essere rivolte alla generalità dei cittadini italiani stranieri, apolidi, richiedenti asilo e rifugiati che risiedono nel comune.

Riconoscimento e sostegno dello sport sociale

Per sport sociale si intende l'insieme di attività motorie e sportive finalizzate a facilitare processi di inclusione sociale, di interculturalità, di superamento dei disagi, di mediazione dei conflitti e di prevenzione della salute, rifiutando la logica del risultato a tutti i costi e del consumo di sostanze dopanti per ottenerlo.

Lo sport sociale è un diritto di cittadinanza e come tale deve essere riconosciuto.

Gli enti locali devono sostenere i valori di uno sport pulito e per tutti, lontano dall'esasperazione agonistica, che spesso sfocia nella violenza e nell'illecito.

Gli impianti sportivi pubblici devono essere polivalenti e distribuiti equamente sul territorio, privilegiando le zone di disagio sociale. Essi, insieme alle palestre scolastiche, vanno affidati, quando il pubblico è impossibilitato a gestirli, ad associazioni che favoriscono la partecipazione e l'inclusione sociale delle persone in difficoltà socio-economica, conducono la lotta al doping, combattono ogni forma di intolleranza, xenofobia, razzismo e discriminazione, abbiano operatori sportivi qualificati, rispettino i tetti tariffari comunali per le diverse attività prevedendo accessi gratuiti per le persone con basso o nullo reddito ed incentivino lo sviluppo dello sport femminile.

La politica degli enti locali sulla cooperazione decentrata

La cooperazione decentrata allo sviluppo, e' un tema delicato e di grande impatto sociale ed economico. Operano nel settore centinaia di Ong, Associazioni di volontariato, ed una decina di associazioni di migranti che realizzano programmi di cooperazione nel mondo.

Riguardo alla cooperazione decentrata, province e comuni debbono assumere un ruolo importante nella promozione e nel coordinamento delle attività di sviluppo e delle azioni di solidarietà internazionale.

Gli enti locali sono chiamati a:

In particolare è possibile rivendicare l'istituzione di un assessorato competente per la cooperazione, con il quale collaborino tecnici ed esperti con comprovata esperienza.

Città sicure, sociali, accoglienti

Il tema della sicurezza è sicuramente un altro leit motive che viene utilizzato dalla destra (e non solo purtroppo) quotidianamente ed ossessivamente, attraverso la costruzione dell'ideologia della paura, la paura dell'altro, del diverso.

Il problema della sicurezza dei cittadini va affrontato e non ci sono margini per speculare né statistiche che tengano. Si tratta di un problema drammatico che deve essere valutato in tutta la sua portata e la sua serietà e non, come qualche volta si può pensare per motivi elettorali o per non lasciare presa alla Lega e alle destre su questo punto.

Tra l'altro non ci sarebbe libertà ed uguaglianza se non fossero garantite, in primo luogo, la salute e la sicurezza. La città e i quartieri devono diventare luoghi di socialità, di costruzione di relazioni e di legami sociali, che sono gli unici veri presidi per la sicurezza dei cittadini e delle cittadine.

Solo così il tema della sicurezza potrà cessare di essere cavallo di battaglia della destra per politiche razziste e sicuritarie rese più pericolose dalla recente approvazione di norme che ampliano i poteri di ordinanza del Sindaco quale ufficiale di governo e, quindi, su materie di competenza dello Stato centrale.

Le nuove normative prevedono, infatti, l'armamento della Polizia Municipale, autorizzano la privatizzazione della sicurezza attraverso le ronde, limitano i diritti dei migranti , a partire da quello di essere curati senza essere denunciati e tendono a rendere ordinario l'utilizzo dei militari nelle città per funzioni di ordine pubblico: si tratta di provvedimenti gravi, sbagliati e spesso anticostituzionali che, peraltro, non sortiscono nessun effetto concreto.

Le ordinanze dei sindaci contro i barboni o per la chiusura di pubblici esercizi frequentati da presunti disturbatori della quiete pubblica o per il facile smantellamento dei campi rom non si accompagnano, negli enti locali, alla progettazione di veri interventi in tema di sicurezza.

Cosi si innestano guerre contro i presunti unici responsabili delle azioni criminali, degli stupri e delle rapine, individuati solo negli extracomunitari e nei rumeni. Un'assurda guerra tra i penultimi e gli ultimi della società.

Utilizzare le risorse per operatori e operatrici di strada per rendere le città visibili e sicure. Un vero e proprio programma va costruito per il rispetto e la dignità delle persone migranti, con particolare attenzione a casa, lavoro, istruzione e formazione. Attrezzare i campi rom per quei nuclei che fanno del nomadismo una scelta di vita, dotare gi altri nuclei di strutture sociali dignitose, di mediatori e mediatrici culturali, di centri donne, anziani/e e bambini/e.

Insomma:

Un chiaro e preciso programma di tutela della sicurezza quartiere per quartiere, strada per strada deve essere elemento imprescindibile del programma del Prc: uffici particolari disponibili ad ogni orario per le richieste di aiuto, assistenti sociali disponibili ad ogni collaborazione con i cittadini e ad ogni attività di formazione e sensibilizzazione, presenza costante, continua e percepibile dell'ente pubblico con funzioni di presidio della sicurezza, agente come tale ed avvertito come sostegno dalla cittadinanza.

Occorre, quindi, ripartire da un'altra idea di città.

Partito della Rifondazione Comunista (Nazionale)
Roma, 31 marzo 2009
da “Liberazione”