Elezioni 2013

Insisto, a sinistra è tutto da rifare

Il problema della sinistra nel nostro paese non riguarda - e coinvolge - soltanto le forze politiche in senso stretto, ma anche i movimenti e le forze sociali. Anzi, forse soprattutto loro, perché una sinistra degna di questo nome semplicemente non può esistere a prescindere dai movimenti e dal conflitto sociale.

Ci eravamo lasciati all’indomani degli scrutini con l’impegno di riparlare dei risultati elettorali e dello stato della sinistra. E quindi, rieccoci, a mente appena un po’ più fredda e con molte analisi ancora da fare. Tuttavia, penso che il dibattito non possa aspettare e che, anzi, sia urgente. Vi propongo dunque alcune mie riflessioni di questi giorni, che non contengono soluzioni o ricette già pronte, ma che, più modestamente, vogliono essere un contributo, un punto di vista. Un punto di vista partigiano, beninteso, e con una convinzione che ribadisco sin dalla premessa: a sinistra è tutto da rifare.

La doppia sconfitta lombarda

La nostra sconfitta alle regionali lombarde brucia parecchio, perché si tratta di una doppia sconfitta. Primo, quelli che hanno governato per 18 anni e dopo tutto quello che hanno combinato - dal sacco della sanità passando dalle tangenti fino alla ‘ndrangheta - hanno rivinto. Secondo, la sinistra, intesa come Etico e Sel, non è più rappresentata in Consiglio regionale. E più guardi i numeri, più questa sconfitta appare significativa, anche perché si tratta della Lombardia, terra natia di quelle destre che hanno spadroneggiato nell’ultimo ventennio.

Ecco cosa ci dicono i numeri, soprattutto quelli assoluti, perché le percentuali spesso ingannano:

  1. il tracollo di consensi subito dal centrodestra a livello nazionale (dai 17 mln di voti del 2008 ai 9,9 mln del 2013 alla Camera) non si ripete a livello lombardo, dove la perdita è molto più limitata. Formigoni nel 2010 ottenne 2,7 mln di voti, Maroni ha ottenuto 2,2 mln di voti, soprattutto grazie alla tenuta dell’area leghista in senso lato. Infatti, la perdita di voti della Lega è stata compensata dal buon risultato della lista Maroni Presidente (se sommiamo i voti della Lega e della lista Maroni Presidente arriviamo a 1.253.770 voti, che superano persino il 1.117.227 della Lega del 2010);
  2. è senz’altro vero che Umberto Ambrosoli è andato molto meglio di Penati nel 2010, ma non dimentichiamo che quest’ultimo aveva costruito una coalizione molto più ristretta di Ambrosoli e, soprattutto, assolutamente priva di appeal, per usare un eufemismo. E se quindi allarghiamo il confronto al compianto Sarfatti, che correva con una coalizione di centrosinistra larga, il risultato è che siamo fermi al 2005: Ambrosoli (2013) 2.194.169 voti, Penati (2010) 1.603.666 voti, Sarfatti (2005) 2.278.173 voti;
  3. il Movimento 5 Stelle registra in Lombardia, in particolare alle regionali, un risultato sicuramente positivo, ma molto inferiore rispetto al resto d’Italia (775.211 voti e il 14,33% alle regionali, mentre alla Camera nei tre collegi lombardi raccoglie 1.126.147 voti);
  4. le forze a sinistra del Pd, cioè Etico e Sel, si attestano su percentuali estremamente modeste: Etico 52.152 voti (0,96%), Sel 97.627 voti (1,8%). Inoltre, ambedue le forze sono caratterizzate da un accentuato milanocentrismo del consenso elettorale, particolarmente evidente nel caso di Etico, che paga anche il prezzo del simbolo nuovo e di primarie regionali che erano state scarsamente sentite fuori da Milano (l’unico luogo dove Etico supera il 2% di consensi è infatti Milano città, dove ottiene 14.239 voti che corrispondono più o meno ai 14.199 ottenuti dalla lista Federazione della Sinistra nel 2010).

Insomma, in Lombardia la destra ha retto, nonostante la gravità degli scandali, e l’opposizione, nonostante una situazione che sulla carta era la più favorevole possibile, ha perso. E questo ci riporta al peccato originale del centrosinistra lombardo, che non si chiama Ambrosoli, come ora qualcuno tenta di raccontare, bensì debole e inconsistente opposizione negli anni precedenti!

Beninteso, non sto dicendo che nessuno si sia mai opposto a nulla, perché questo sarebbe non solo ingeneroso ma soprattutto falso, ma mi pare palese che sia mancata una proposta alternativa e una battaglia continuativa dentro e fuori il palazzo e che sia invece prevalso il tirare a campare all’opposizione e troppo spesso la rincorsa al compromesso se non peggio. Tant’è vero che, da parte dell’opposizione, la ricerca di un candidato e di una coalizione è iniziata soltanto all’ultimo minuto, praticamente dopo la fine anticipata della legislatura. E questo nonostante le elezioni anticipate fossero state il fatto più annunciato dell’anno…

In altre parole, se un regime cade a causa delle indagini della magistratura, che ha fatto il suo mestiere, questo non significa che il consenso popolare si sposti automaticamente a un’opposizione politica che il suo mestiere non l’aveva fatto. E pochi mesi di campagna elettorale, anche con facce nuove, evidentemente non sono sufficienti per cambiare questo dato, specie quando si parte con l’ingiustificata convinzione, da parte di troppi, di aver già vinto e di doversi occupare soltanto della spartizione del bottino.

Per quanto riguarda la sinistra, cioè noi, si paga il prezzo di una serie di fatti, a partire da quell’insensato niet da parte del gruppo dirigente di Sel alla proposta di costruire un percorso elettorale comune attorno all’esperienza delle primarie di Andrea Di Stefano, per arrivare al poco tempo a disposizione per far conoscere un simbolo nuovo di zecca, cioè quello di Etico. Tuttavia, questi elementi sono soltanto delle aggravanti e guai ad usarli come alibi per non discutere del problema di fondo! A meno di non pensare davvero che bastino a spiegare esaustivamente perché una parte non indifferente di elettori di sinistra abbia scelto di dare il voto al Movimento 5 Stelle o di astenersi.

La chiusura del cerchio del 2008

“Il cerchio del 2008 si è chiuso” mi ha messaggiato mercoledì mattina Roberto Maggioni, quello di RadioPop. Aveva ragione, penso avesse ragione. Quell’sms sintetizza un discorso lungo e complesso, iniziato con la fine del governo Prodi, o forse con l’inizio del governo Prodi. Cioè, con quel governo durato appena due anni e con una sinistra radicale (termine orribile, ma tanto per capirci) che nel 2006 entrò in parlamento con un consenso del 10% e che nel 2008 ne uscì con la débacle della Sinistra Arcobaleno. Da allora in poi fu una storia di divisioni e scissioni, di compagni che tornavano a casa o che cercavano di costruire nuove soggettività politiche, di chi rimase con Rifondazione, come chi scrive, di chi imboccò la strada di Sel o di altre esperienze ancora, magari più piccole e meno conosciute, ma non per questo meno meritevoli di rispetto.

Furono tante le lacerazioni e le rotture e tutte nel nome dell’unità, paradossalmente, ma forse neanche tanto, perché la fine della Rifondazione pre-Prodi e post-Genova, che aveva agito come centro di gravità politico per una pluralità di sinistra politica e anche di movimento, fece pensare ai più che la strada giusta o obbligata per ricostruire una forza di sinistra fosse a questo punto la separazione organizzativa e la sconfitta dell’altro sul campo. Ebbene, dopo cinque anni e dopo questo voto, nel pieno della crisi italiana, europea e globale, cioè quando più che mai vi sarebbe necessità ed esigenza di sinistra, qual è il bilancio politico? Un fallimento, su tutta la linea. Della Lombardia, Regione chiave, abbiamo già parlato e non c’è nulla da aggiungere.

Sul piano nazionale, Rifondazione Comunista aveva tentato la strada della Federazione della Sinistra, che però si era rilevata presto un vicolo cieco. A questo giro è stata tentata l’ipotesi Rivoluzione Civile, che peraltro comprendeva anche Di Pietro che con la sinistra c’entra poco, ma anche questa è andata male, anzi malissimo, risultando indigesta a gran parte degli elettori di sinistra e non raggiungendo l’obiettivo di entrare in Parlamento. Ora Rivoluzione Civile è un capitolo chiuso.

Ma se Atene piange, Sparta non ride e anche il bilancio di Sel è piuttosto critico. L’idea era quella di un nuovo centrosinistra e questo presupponeva ovviamente un nuovo Pd e diversi rapporti di forza. Cioè, si trattava di arrivare al famoso big bang o, più concretamente, di sconquassare il Pd per mezzo delle primarie e della figura di Nichi Vendola. Oggi Sel rientra in Parlamento grazie all’alleanza con il Pd, ma con un risultato molto al di sotto delle aspettative e in una posizione ininfluente e subalterna, mentre a sconquassare il Pd ci pensano Renzi e Grillo.

Per quanto riguarda le altre soggettività più piccole, figlie di quella storia di divisioni, come Sinistra Critica o il Pcl, ebbene, mi pare che il bilancio sia altrettanto magro. Insomma, le strade imboccate non hanno portato da nessuna parte e le divisioni interne alla sinistra, ovviamente accompagnate dalle relative polemiche, sono diventate un’ulteriore palla al piede, visto che sempre meno uomini e donne di sinistra riuscivano a comprenderle e a tollerarle. Senz’offesa per nessuno e senza rancore per alcunché, mi pare dovremmo prenderne atto.

La debolezza politica dei movimenti

Peccheremmo però di politicismo se ci fermassimo alle considerazioni sopra esposte, perché il problema della sinistra nel nostro paese non riguarda -e coinvolge- soltanto le forze politiche in senso stretto, ma anche i movimenti e le forze sociali. Anzi, forse soprattutto loro, perché una sinistra degna di questo nome semplicemente non può esistere a prescindere dai movimenti e dal conflitto sociale. E poi, siamo in Italia, cioè il paese nel quale i movimenti e la loro politicità avevano segnato profondamente lo scenario politico soltanto un decennio fa.

Oggi, invece, la situazione è molto diversa e non perché i movimenti non esistano più o non siano esisti in questi ultimi anni, anzi, ma perché troppo frammentati, troppo poco incisivi politicamente e privi di un centro di gravità condiviso che potesse facilitare la costruzione di consensi e azioni comuni. E non ha aiutato sicuramente l’assenza di livelli di conflitto sociale paragonabili a quelli di altri paesi europei, in buona parte dovuta a quel potente anestetico rappresentato da un movimento sindacale confederale, i cui gruppi dirigenti sono privi di autonomia politica e tendenzialmente collaterali a governi o partiti.

Dopo l’esaurimento del ciclo di movimento proveniente da Genova e dalle lotte contro la guerra e dopo la vicenda del governo Prodi, che ebbe un effetto deprimente anche sui movimenti sociali, in Italia non si sono più manifestati movimenti/conflitti dall’analoga forza aggregativa e politica. Né la lotta contro il Tav in Val di Susa, né l’Onda anomala studentesca e nemmeno le mobilitazioni innescate dalla Fiom a partire dal referendum truffa di Pomigliano sono riuscite trasformarsi in fatto costituente di un nuovo ciclo generale, mentre nel nostro paese non sono mai sbarcati veramente i movimenti tipici di questi tempi di crisi, come Occupy o gli Indignados.

Le ragioni di queste debolezze e assenze sono molteplici, ma a volte ci mettiamo del nostro, come quel 15 ottobre 2011 a Roma. Quel giorno si tenne la partecipatissima manifestazione nazionale convocata da un cartello di forze di movimento e sociali. Poteva essere l’inizio di una sorta di indignados italiani o qualcosa del genere, ma finì tra i fuochi d’artificio di piazza San Giovanni. Qualche settimana più tardi nacque il governo Monti con i voti di Pd-Pdl-Udc, si aprì una nuova fase politica, ma i movimenti erano finiti in fuorigioco, politicamente afoni e marginalizzati. Insomma, debolezza politica è anche questa.

Ebbene, ora anche il governo Monti è finito, abbiamo votato, il Pd ha raccolto quello che ha seminato, Berlusconi è risuscitato e Grillo e Casaleggio hanno fatto boom. Inevitabile che di questo si debba parlare molto anche e soprattutto nei movimenti e, infatti, la discussione è già iniziata. E come sempre, visto che ci conosciamo e che le divisioni sono ahinoi tante anche nei movimenti, c’è il rischio che questa si sviluppi lungo linee di frattura precostituite.

Comunque sia, mi pare che per ora, in questi primi giorni, si stiano delineando grosso modo due poli. Il primo, pur riconoscendo le ambiguità e le contraddizioni del M5S, ne valorizza però fortemente la funzione antisistema e ritiene che i movimenti possano approfittare degli spazi aperti dai 5 stelle. O per dirla con Franco Bifo Berardi, in un intervento del 27 febbraio pubblicato anche su Infoaut: ”La funzione importante e positiva che il movimento ha svolto è rendere il paese ingovernabile per gli antieuropei del partito Merkel-Draghi-Monti”. Il secondo polo può essere ben rappresentato dall’analisi di Wu Ming, in particolare dall’intervista rilasciata al Manifesto il 1 marzo. Secondo loro, “la nascita del grillismo è una conseguenza della crisi dei movimenti altermondialisti di inizio decennio. Man mano che quel fiume si prosciugava, il grillismo iniziava a scorrere nel vecchio letto”. Inoltre, la strategia di Grillo non aprirebbe spazi per movimenti radicali, ma anzi spingerebbe l’indignazione “lontano dalle piazze italiane”.

Per quanto mi riguarda, penso sia evidente, in base a quanto sopra argomentato, che il mio punto di vista è più vicino a quello di Wu Ming, ma di Bifo o di altri approcci simili salverei però l’avvertenza implicita che arroccarsi o peggio demonizzare il M5S sia una grandissima cazzata. Anche perché, a guardare bene, ambedue gli approcci riconoscono di fatto il dato di fondo, quello più importante: cioè, che il M5S occupa uno spazio che i movimenti non sono riusciti a riempire. Appunto.

Che fare?

Già, che fare? L’ho già scritto in premessa e lo ripeto: non ho ricette e soluzioni pronte. E penso che non sia nemmeno questo il punto in questo momento. No, ora e qui c’è bisogno di aprire una discussione e questo presuppone un atto preliminare, da parte di tutti e tutte, ovunque collocati. Cioè, dobbiamo riconoscere che è il problema non sono gli altri, ma che il problema siamo noi, la sinistra così com’è. Insomma, un ciclo si è chiuso e dobbiamo aprirne un altro. E dobbiamo farlo senza separare parole e pratiche e con una certa urgenza, perché viviamo in un tempo di cambiamenti e di instabilità e non è affatto detto che in assenza di un punto di vista di sinistra, organizzato e incisivo, la matassa si possa sbrogliare in senso favorevole ai ceti popolari. Anzi, sono convinto dell’esatto contrario! Per questo, insisto, a sinistra è tutto da rifare.

Luciano Muhlbauer
Milano, 4 marzo 2013
www.lucianomuhlbauer.it