C'è un "rifiorire", in questi giorni, del dibattito sulle riforme istituzionali e delle ipotesi di ritorno al sistema proporzionale

Elogio della proporzionale

I sistemi elettorali, di per sé, non "fanno" la democrazia.
Eppure, il grande Kelsen ebbe a scrivere che il sistema elettorale proporzionale è una approssimazione un po' più più vicina agli (irraggiungibili) ideali democratici di qualunque altro meccanismo.
Il perché, in fondo, è intuitivo. Nella proporzionale, protagonista è la rappresentanza: imperfetta e difettosa quanto volete, manipolabile quasi a piacimento, ma legata comunque all'idea che le istituzioni debbano essere il più possibile lo "specchio" del Paese reale. Nel maggioritario, invece, l'unico principio che conta è il governo, anzi la governabilità: la lotta politica è ridotta, nei fatti, ad un gioco a due, quello che vince e quello che perde, tertium non datur, anche nel caso in cui la sua forza rappresentativa, o attrattiva, sia molto alta.
Perciò, le democrazie rappresentative basate sul proporzionale sono anche quelle in cui la dialettica politica si fonda sui partiti, sulla volontà associata od organizzata delle persone; viceversa le repubbliche "maggioritarie" prediligono l'uninominale, vale a dire la politica personalizzata, leaderizzata, giocoforza spettacolarizzata. Nella patria del bipolarismo, la Gran Bretagna, i partiti politici sono soltanto due, Tories e Labour: così è da sempre, così sarà per sempre, fino a che rimarrà in vigore la regola per cui «il primo prende tutto».
Negli Usa, altro modello molto vagheggiato, due secoli di maggioritario e presidenzialismo hanno prodotto una "costituzione materiale", in virtù della quale almeno la metà della popolazione, quella più povera od emarginata, non esercita il diritto di voto. Il risultato a noi pare, come minimo, quello di una democrazia dimezzata: dove la politica è un gioco tutto interno alle élites dominanti.

Un "tabu" è stato rotto: si può parlare di "proporzionale"

Questa premessa ci pare doverosa, di fronte al "rifiorire", in questi giorni, del dibattito sulle riforme istituzionali e delle ipotesi di ritorno al sistema proporzionale.
Si tratta di proposte ancora abbastanza generiche, la cui impronta strumentale è quasi esplicita. Ma un tabu è stato finalmente rotto: la parola «proporzionale», umiliata ed offesa da almeno dieci anni, quasi esiliata dal dibattito politico (oltre che dai salotti ulivisti), conosce la sua prima vera riabilitazione.
E' il risultato, per quanto spurio, di una crisi "sistemica" che avanza, anzi che è già ampiamente avanzata nella scena nazionale: è il bipolarismo, è la "filosofia" dell'alternanza che non regge, anche se fa comodo alle forze politiche maggiori, anche se fornisce a molti una altrettanto comoda rendita di posizione.
Non è certo un caso che tutto questo precipiti nella "resurrezione" del Centro: sembra, ma solo in parte è, il ritorno della Bianca Balena, della vecchia cara Dc. La verità è che il passato non si riproduce mai nelle stesse forme: oggi, una forza politica centrista, di ispirazione moderata e di "matrice" cristiana, ma non confessionale, (ri) nasce nel quadro segnato dal fallimento della dialettica tra i due Poli - si potrebbe dire, dall'eternamente incompiuta "transizione" italiana.
Di fronte, insomma, a due schieramenti che convergono sempre di più sulle discriminanti essenziali (la politica estera, la guerra, la crisi della Fiat) e che litigano rumorosamente sulle questioni minori, logica vuole che un terzo soggetto, vocato alla "mediazione" e al "buon compromesso", chieda spazio. Nuova o reincarnata che sia, questa specie di Dc può aspirare a governare solo se tornerà in vita un sistema proporzionale.

La posizione del PRC

Per quanto ci riguarda, eravamo e siamo convinti sostenitori del "vecchio" meccanismo per ragioni politiche generali - di principio, se volete - e nient'affatto per ragioni di "convenienza" partitica. La deriva a-democratica della così detta «Seconda Repubblica», alla quale ha largamente concorso la "riforma" elettorale, ci è, del resto, sempre stata molto chiara. Così come il fallimento del Mattarellum: che doveva ridurre i sub-partiti, i partitini e le lobbies, e li ha moltiplicati a dismisura, conferendo quasi a ciascuno di loro un altissimo "valore aggiunto", cioè una grande forza di ricatto. Che era nato per garantire la "stabilità", e ha alimentato un trasformismo (i continui cambi di casacche) che non si vedeva dai tempi di Giolitti. Che aveva annunciato una politica più vicina ai cittadini, e ha portato l'astensionismo - fenomeno quasi sconosciuto nell'Italia della prima Repubblica - a livelli record. Sarebbe bene, certo, che tutti prendessero atto di questi disastrosi risultati, e che ci si avviasse ad una organica riforma di tutti gli assetti istituzionali. Sarebbe bene che qualche dubbio - almeno qualche interrogativo - si facesse strada nella testa dei leader dell'Ulivo, che invece del maggioritario hanno fatto, in questo frattempo, quasi una religione. Sarebbe bene, insomma, ricominciare a ragionare di come la politica dovrebbe e potrebbe riavvicinarsi alle persone in carne ed ossa. In attesa, tutto ciò che si muove è benvenuto.

Rina Gagliardi
Roma, 8 dicembre 2002
da "Liberazione"