Il presidente della Lombardia soffre di “bulimia da ribalta”

FORMIGONIA

Dio in ogni luogo e Formigoni c’è già stato» è la battuta che trionfa tra i corridoi del Pirellone

Quando passa lui, le guardie si mettono in posizione d’attenti, marziali e rispettose. E pensare che non sono corazzieri o granatieri di Sardegna, ma semplicemente guardie giurate, dipendenti di una ditta privata che ha ottenuto dalla Regione Lombardia un appalto per un servizio di vigilanza. Ma d’altra parte, quando esterna Lui (e lo fa su tutto: dalla formazione del Milan alle nuove norme per la caccia alla picchiapergola) più che un ufficio stampa è una sorta di plotone d’esecuzione quello che si mette in moto, inondando di comunicati cartacei ed elettronici le redazioni che di lì a poco verranno anche contattate telefonicamente una ad una. Anche solo e semplicemente per far sapere, come è accaduto durante gli ultimi mondiali di calcio, «che dopodomani il presidente Formigoni assisterà alla partita insieme ai dipendenti della Regione», per ricordare che «domani il presidente Formigoni assisterà alla partita insieme ai dipendenti della Regione», per ribadire che «oggi il presidente Formigoni assisterà alla partita insieme ai dipendenti della Regione», almeno fino a quando un solerte cronista d’agenzia - forse compiacente, forse semplicemente sfinito -manderà in rete la notizia attesa per tanti giorni: «Il presidente Formigoni è arrivato nella Sala del Gonfalone, dove assisterà alla partita insieme ai dipendenti della Regione». Inutile sottolineare il contenuto dei lanci successivi e gli articoli sui giornali del giorno dopo, che descrivono il tifoso Formigoni sbracciarsi in maniche di camicia.

Sì, Formigonia assomiglia molto da vicino a Berlusconia: esclusi i tacchi (Formigoni è alto di suo) e Milan a parte (il “governatore”, almeno per il momento, deve acconten tarsi di tifarlo accanitamente, ma ancora non lo possiede), le manie di grandezza, l’attenzione alla comunicazione, il presenzialismo, l’autostima esagerata. Sarà un caso, ma anche Roberto Formigoni da Lecco, da due legislature presidente della giunta della Regione Lombardia, cioè la più ricca, popolosa e importante d’ Italia, si è autoproclamato ministro degli Esteri di se stesso. Perché a lui la scena regionale sta stretta, non gli basta. Al Pirellone gli hanno diagnosticato una forma palese di “bulimia da ribalta”: e allora ecco che Formigoni viaggia più di Kissinger e del Papa messi insieme, visita presidenti e primi ministri di mezzo mondo, riceve ambasciatori e delegazioni dal Messico al Nepal, dal Turkmenistan al Paraguay. «Dio è in ogni luogo e Formigoni c’è già stato», è la battuta che trionfa al Pirellone. «Fuori dall’Italia considerano la Lombardia come uno Stato. Facciamo politica estera e firmiamo accordi con altri Paesi - commentava lui stesso nell’agosto 2002 in previsione delle missioni in Cina, Australia, Sudafrica, California, Francia, Marocco - ho maturato un’esperienza internazionale, ma non punto alla Famesina. Non adesso». E via così: Silvio si pavoneggia nelle foto di gruppo tra i grandi del mondo riuniti al G8 di Genova? E allora ecco che Roberto in quattro e quattr’otto organizza il «G8 delle regioni». E ogni volta lascia alle sue spalle una pioggia di comunicati stampa, e-mail, telefonate nelle redazioni. Per lui lo spazio sui giornali e le televisioni non è mai abbastanza. In una lettera ironica ai Tg3 della Lombardia, i consiglieri regionali Verdi hanno pregato il direttore di offrire a Formigoni, per sedare la sua fame di apparire, di leggere l’oroscopo e le previsioni del tempo.

E poi c’è (anche) la politica. Da sempre pupilio di tutta Comunione e Liberazione, granitico e compatto serbatoio di voti certi, sostenuto dalla ricca e attivissima Compagnia delle Opere, Formigoni è stato in grado di far convergere sostegno elettorale su ogni suo uomo, anche sconosciuto, scelto per incassare quelle centomila preferenze che la sua base non nega mai. E a elezione avvenuta il gioco della conquista di tutti gli incarichi strategici (guarda caso quasi tutti assegnati a ciellini) conosce una nuova partita. Da solo, Formigoni, non vale più dell’1 per cento di Forza Italia in termini di voti, ma i suoi sono sempre consensi ad alto potenziale, perché quasi dietro a ogni preferenza c’è un militante. E anche se non si può dire che la ricca economia lombarda sia “nelle mani” della Compagnia delle Opere, è anche vero che con essa, prima o poi, chiunque deve fare i conti.

Ma tutto questo formigonismo dilagante porta anche a qualche problema all’interno della corazzata di Forza Italia. Si dice che persino Berlusconi non lo voglia avere troppo vicino perché teme che la sua smania di apparire possa fargli in qualche modo ombra. E anche i presidenti “polisti” delle altre regioni (il piemontese Ghigo e il veneto Galan su tutti) detestano la sua capacità di apparire sempre il primo della classe. Ma soprattutto, e questa è cronaca politica, Roberto Formigoni è aperta mente osteggiato da una fronda di almeno undici consiglieri regionali azzurri (su 27) che appena possono lo impallinano in aula. Ma lui tira dritto, anzi, nel giugno scorso è dovuto intervenire Berlusconi in persona per riporta re alla pace Forza Italia nella decisiva rocca forte lombarda, dopo che Formigoni aveva riunito almeno 400 amministratori e notabili azzurri di provata fede ciellina, mandando su tutte le furie il coordinatore regionale del partito del cavaliere, Paolo Romani.

E allora lui si rifà giocando al gatto e al topo con il sindaco di Milano Gabriele Albertini: tra i due non c’è mai stata simpatia, ma la loro rivalità assume toni grotteschi quando, per esempio, in materia di norme antiinquina mento il sindaco ha fissato il numero dei giorni di superamento delle soglie di attenzione dopo i quali scatta il blocco del traffico. E allora il governatore convoca una conferenza stampa e informa la cittadinanza di tutta la Lombardia (milanesi e Albertini inclusi, quindi) che i giorni di tolleranza saranno di meno, o di più. Per non parlare di quando decolla il dibattito sul ticket d’ingresso in città: il governatore lombardo non perde tempo e si coalizza con gli industriali per far sapere che «Albertini non può decidere da solo». Insomma, quanto basta per oscurare il mai amato primo cittadino milanese.

Ma Formigoni è una macchina politica e propagandistica inarrestabile e insaziabile: così tra promesse sensazionali (per esempio l’auto ecologica «entro il 2005») smentite talvolta da coraggiosi addetti ai lavori (nella fattispecie la Fiat: «Tempi lunghi per l’auto a idrogeno»), indirizzi amministrativi tutto sommato coerenti con quelli dell’Italia di Berlusconi (la sanità pubblica lombarda sta per diventare definitivamente una sorta di enorme e triste sala d’attesa per chi non può permettersi i tempi rapidi ma costosi dei privati), sfide a Bossi sulle riforme («perché non spinge la devoluzione?»), il governatore riesce anche a proporsi come commissario straordinario per il malconcio palazzo di giustizia milanese, lo stesso dove risulta indagato.

Su tutto un unico rammarico, datato 18 aprile 2002: il drammatico giorno in cui il piccolo aereo pilotato dall’italo-svizzero Luigi Fasulo si schianta contro il Pirellone uccidendo due donne e seminando feriti, paura e sconcerto. Nonostante sia quasi subito emerso che si è trattato di un incidente, per quanto “strano” e con retroscena ancora tutti da chiarire, a Roberto Formigoni è piaciuto sin dall’inizio vedersi come Bush e Rudolph Giuliani, un bersaglio del grande terrorismo, un obiettivo sulla lista nera della grande Spectre del male mondiale. Per giorni e giorni non si è arreso all’evidenza ed è andato avanti imperterrito a parlare di «attacco al Pirellone», incurante delle notizie provenienti dalle fonti investigative di mezzo mondo. «Questo signore ha centrato il bersaglio meglio di Mohammed Atta, uno dei kamikaze di New York - commenta piccato tre giorni dopo la tragedia - era calmo, non aveva motivi per ammazzarsi. Pur essendo al verde, non era indebitato». Insomma, non si fa così, almeno un biglietto lo doveva lasciare...

Andrea Lopez
Milano, 22 novembre 2002
da "Avvenimenti"