CONTRIBUTO DEL DIPARTIMENTO REGIONALE LOMBARDO "AUTONOMIE LOCALI" PER LA CONFERENZA NAZIONALE DEGLI AMMINISTRATORI CONTRO IL MODELLO FORMIGONI

UN'ALTRA LOMBARDIA E' POSSIBILE

PREMESSA

Il Dipartimento regionale, con questo documento, si propone di dare un contributo alla discussione che si svolgerà nelle conferenze interprovinciali degli amministratori comunisti, previste per il 1 dicembre.
Richiamandoci alla sollecitazione presente nel documento preparatorio della Conferenza, intendiamo anzitutto fornire un approfondimento sulle specificità della Regione Lombardia, all'interno del nuovo quadro istituzionale determinatosi dopo le modifiche costituzionali che hanno profondamente mutato la ripartizione dei poteri, assegnando alle Regioni nuovi ruoli e competenze.
Nei paragrafi finali, partendo sempre dallo specifico lombardo, vengono sviluppate alcune considerazioni sul rapporto con i movimenti e sulla questione delle alleanze.

1. IL MODELLO LOMBARDO

Diamo per acquisito il giudizio complessivo sul nuovo quadro istituzionale, sintetizzato dalla scelta di votare NO al recente referendum popolare confermativo, ed incentriamo la nostra attenzione sulle particolari forme che assume in Lombardia il nuovo protagonismo regionale e sulle sue ricadute sul terreno sociale ed istituzionale.
Vale la pena di sottolineare da subito che il modello lombardo ha l'ambizione di rappresentare un laboratorio politico di rilevanza nazionale per il centro destra.
E' qui infatti che, forti di un consenso ed un radicamento sociale rilevante, le destre sperimentano nuove relazioni politiche (tra Polo e Lega), istituzionali (tra enti locali e altre autonomie funzionali), economiche (attraverso una peculiare forma di concertazione neo - corporativa) e sociali (attraverso l'esaltazione della sussidiarietà orizzontale, della libertà di scelta e della competitività); questo insieme di relazioni costituisce il collante di un blocco di interessi che sempre più tende a diventare blocco sociale e che è in grado di autorappresentarsi come emblema della modernità e della coesione, mentre in realtà esprime propensoni fortemente antisociali e culturalmente regressive.
In un simile contesto, caratterizzato anche dall'incomprensione di alcuni di questi elementi da parte delle forze del centro-sinistra, gli amministratori comunisti operano in controtendenza, sia laddove partecipano a coalizioni di governo, sia laddove sono all'opposizione.
Essenziale, nel loro agire, diventa quindi una propensione alla proposta politica, che superi la presenza testimoniale e la propaganda, e sappia porsi nella direzione della costruzione di nuovi processi di aggregazione sociale, in grado di esprimere contenuti alternativi a quelli del blocco formigoniano.
Un processo di questa natura si svolge anzitutto sul terreno sociale, nelle sue più diverse articolazioni, ma trova una importante sponda in una pratica di lavoro istituzionale aperta alle istanze sociali ed al conflitto, ed in grado anche di promuovere iniziativa e mobilitazione.
E' questa la prospettiva di lavoro degli amministratori comunisti della Lombardia.

2. IL CORPORATIVISMO ISTITUZIONALE

Il modello formigoniano è caratterizzato da un approccio pragmatico e non nominalistico alla questione delle forme istituzionali.
Se si esaminano gli atti fondamentali della Giunta, da programma elettorale al Programma Regionale di Sviluppo ai Documenti di Programmazione Economica e Finanziaria, emerge chiaramente che la disputa accademica tra federalismo più o meno solidale, devolution e quant'altro non è terreno di particolare interesse.
L'elemento ben più concreto sul quale ci si muove è quello del controllo delle risorse.
Il federalismo fiscale varato con il D.
Lgs 56/00 viene considerato una palla al piede, in quanto non sufficientemente competitivo ed eccessivamente perequativo; se ne auspica pertanto il superamento.
L'obiettivo vero è quello di disporre di pienezza di risorse per dare vita a forme gestionali libere da vincoli e controlli e completamente aperte al privato.
La devolution è presentata come un mezzo per arrivare a questo scopo, ma più per dare un contentino alla Lega che per una convinzione reale; nei fatti già l'attuale cornice costituzionale è ritenuta idonea per sviluppare il proprio disegno politico: a riprova, si pensi al percorso istituzionale di leggi fondamentali quali la controriforma sanitaria o l'istituzione del buono scuola.
Anzi, per certi versi, dare troppa enfasi alle forme (federalismo o devolution, poco cambia) rappresenta un rischio, perché apre troppo alle rivendicazioni delle istanze territoriali, che invece devono essere schiacciate da un forte neo centralismo regionale, se si vogliono governare i fenomeni, i flussi finanziari e, soprattutto, la macchina di produzione del consenso.
Per questo, assistiamo al paradosso di una Regione Lombardia collocata agli ultimi posti nella classifica delle risorse e dei poteri reali trasferiti agli Enti Locali.
Lo stesso ambito istituzionale prescelto per sviluppare il rapporto con tali Enti (la conferenza delle autonomie) è un organismo privo di qualunque potere e peso politico reale, al punto che non riesce neppure a riunirsi per esprimere pareri consultivi e non vincolanti nei tempi previsti.
Tra l'altro, questo comporta un appesantimento della macchina burocratica regionale, impegnata in attività di gestione minuta e decisamente poco proiettata in una logica di programmazione strategica.
All'assenza di un rapporto corretto con gli Enti locali (e con la stessa assemblea consiliare regionale), corrisponde invece una scelta molto determinata in direzione del partenariato economico sociale.
A differenza di Maroni e D'Amato, Formigoni non pensa neppure lontanamente di abbandonare la concertazione; semplicemente intende governarla all'interno di un sistema di regole che costituisce una vera e propria tela del ragno, nella quale i soggetti sociali vengono legittimati solo per la loro presenza al tavolo, non per l'incidenza degli interessi rappresentati sulle scelte politiche.
Si assiste così al varo di un "patto per lo sviluppo" che apre a generiche sollecitazioni sindacali di equità in campo sanitario e/o scolastico, che regolarmente non trovano alcun riscontro negli atti concreti con i quali la Giunta Regionale scende sul terreno gestionale e applicativo delle leggi.
Siamo quindi di fronte ad uno svuotamento totale del potere delle assemblee elettive, ad una riduzione del ruolo degli Enti Locali e, di conseguenza, ad una pesante limitazione della democrazia istituzionale che viene by-passata da un sistema extraistituzionale di tipo corporativo.
Rifondazione si batte quindi, nell'istituzione regionale per una ripresa di ruolo del Consiglio; nelle istituzioni locali per il trasferimento di risorse e poteri effettivi e per la difesa del ruolo degli enti locali come rappresentanti degli interessi generali delle comunità; nella società, perché il patto neo corporativo non sia seguito da patti territoriali e accordi di programma che ne ripropongano la logica e che, by-passando a loro volta le forme di partecipazione democratica, diano il via libera ad una serie di interventi "in deroga", che rispondono ai desiderata di gruppi di potere politico e/o economico locale.
In particolare questo scenario è presente nel settore delle grandi opere di infrastrutturazione del territorio, e si salda con le scelte condotte dal governo nazionale nella recente legge obiettivo.

3. IL LIBERISMO ASSISTENZIALISTA, IL MERCATO DEI SERVIZI E IL FAMILISMO

Non è infrequente, nella lettura dei documenti programmatici della Giunta Lombarda, imbattersi in esaltazioni del concetto di competitività, spesso messo in contrapposizione a equità e solidarietà.
Nella pratica concreta, vengono adottate politiche economiche molto tradizionali, di carattere assistenzialistico nei confronti dell'imprenditoria, con erogazioni di contributi a pioggia per progetti di innovazione tecnologica che di innovativo non hanno praticamente nulla.
La competizione, tanto affermata a parole, non è sostenuta da interventi tesi ad incentivare processi di innovazione di prodotto.
Su questo fronte il sistema produttivo lombardo si caratterizza anzi per una sostanziale perdita di competitività; il recupero avviene sull'innovazione di processo, cioè sulla precarizzazione, sulla flessibilità, sulle condizioni di sicurezza.
La redistribuzione del reddito attuata dalla maggioranza regionale si muove quindi in direzione opposta a quella da noi auspicata, con consistenti trasferimenti a favore del padronato ed a danno dei lavoratori.
Analogo atteggiamento è riscontrabile sulle questioni sociali.
Nella logica formigoniana, l'apologia della competitività non è affatto in antitesi con un insistente richiamo alla dimensione sociale ed alla necessità di dedicare ad essa la massima attenzione.
Le due cose si tengono, in quanto l'orizzonte culturale è quello caritatevole e familistico, per cui il disagio non deve essere affrontato da una struttura pubblica attrezzata a dare risposte ai bisogni, ma deve trovare soluzione all'interno dell'istituzione famiglia (ovviamente, con particolare "peso" per la componente femminile) e/o nella libera iniziativa delle compagini sociali.
A questo scopo rispondono, da un lato le attenzioni nei confronti del terzo settore, o per meglio dire della sua componente più strutturata sotto l'aspetto mercantile, dall'altro lato la diffusione dei contributi economici (voucher o buoni-servizio) con i quali si accede al libero mercato dei servizi.
Si tratta ormai di una vera e propria filosofia amministrativa, che non esclude nessun settore: dal diritto al lavoro alla formazione professionale, dalla scuola alla salute, dall'assistenza agli anziani ai servizi per l'infanzia; l'universalismo dei diritti viene completamente cancellato, anche grazie ad un sistema di "accreditamento" dei soggetti privati che di fatto non nega a nessuno la possibilità di diventare erogatori del pubblico servizio.
Ingenti risorse vengono investite in queste operazioni di privatizzazione; si ricorre spesso alla loro sovrastima proprio per caricarle di contenuti ideologici e propagandistici (buono scuola 2000: stanziati 95 miliardi, spesi a consuntivo meno di 60), mentre non si provvede al rifinanziamento di leggi regionali vigenti, che rispondono alla "vecchia" logica dell'erogazione di servizi.
Su questi temi gli amministratori comunisti, ai diversi livelli, stanno conducendo una battaglia molto forte; in regione, con una decisa azione di denuncia dei guasti prodotti dai primi casi di applicazione del sistema dei buoni o dal disinvolto ricorso al privato sociale; nei Comuni con iniziative di salvaguardia dei servizi pubblici locali

4. MOVIMENTI SOCIALI E LAVORO ISTITUZIONALE

I temi fin qui affrontati non esauriscono certo l'impegno istituzionale degli amministratori comunisti lombardi, ma ne rappresentano una specificità (non assoluta, ma sicuramente molto accentuata in ragione della particolare aggressività del modello formigoniano).
Ovviamente, tutte le tematiche ricomprese nel documento nazionale hanno precise ricadute sulla attività istituzionale locale, a cominciare dalla questione della redistribuzione del reddito, dall'attenzione ai temi della qualità dello sviluppo e dell'ambiente, del governo del territorio.
Usciamo da una stagione politica nella quale il lavoro istituzionale ha rappresentato spesso l'unico modo per far sentire la voce del partito, in assenza di movimenti sul terreno sociale.
Ora non è più così: sono in campo soggetti politici nuovi, per fatto generazionale o per tematiche affrontate, che chiedono al nostro lavoro un aggiornamento.
Gli elementi di conflitto devono entrare nelle Istituzioni.
E' necessaria una chiara assunzione della necessità di questa operazione politica ma anche della sua difficoltà oggettiva, in quanto il quadro istituzionale determinatosi in questi anni di controffensiva delle destre politiche e sociali ha reso sostanzialmente impermeabili le istituzioni rispetto alla realtà esterna.
Nondimeno, ogni spazio residuo deve essere praticato.
"Pensare globalmente e agire localmente" trova una sua coniugazione nel raccordo tra l'esperienza amministrativa e l'assunzione del "locale come terreno di iniziativa dei movimenti.
Nel territorio lombardo sono sorti decine di forum sociali territoriali, che esprimono livelli diversi di consapevolezza, di partecipazione e di attenzione alle problematiche locali, ma che nell'insieme costituiscono un importante elemento di novità e di rottura della desertificazione sociale e politica.
L'esperienza di Porto Alegre, con il bilancio partecipativo, fa discutere questi movimenti.
Si presenta la possibilità concreta di coniugare la stagione statutaria in Regione e l'utilizzo intelligente degli strumenti della partecipazione popolare negli enti locali, per praticare esperienze similari anche nelle nostre realtà.
Non si tratta di importare meccanicamente esperienze legate a ben diverse situazioni politiche, ma di sperimentare strade che raccolgano la sollecitazione di sottrarre al mercato le spese della comunità territoriale, legandole invece al bisogno sociale.
Una di queste strade può essere il bilancio sociale territoriale, che si costruisce definendo una carta territoriale del bisogno e declinandola come strumento di lotta economica e di lotta politica.
Un simile approccio presuppone una forte integrazione tra lavoro di inchiesta, condotto dal diverse articolazioni del Partito a cominciare dai Circoli, e lavoro istituzionale di traduzione in progetto, programma, attività amministrativa e gestionale.

5. LE ALLEANZE E LA TORNATA AMMINISTRATIVA DI PRIMAVERA 2002

L'assunzione della priorità politica della costruzione di nuovi processi di aggregazione sociale comporta una riflessione approfondita sul tema delle alleanze.
Il documento preparatorio della Conferenza nazionale è in proposito estremamente chiaro.
E' necessario che la nostra presenza nelle alleanze elettorali e, a maggior ragione, nelle maggioranze, renda visibili i segni di discontinuità rispetto alle politiche attualmente maggioritarie nel centro sinistra.
Dire questo significa innanzitutto - è bene ribadirlo - che deve essere bandito ogni atteggiamento isolazionista che, senza una verifica fattuale, escluda a priori la ricerca di alleanze su un progetto legato alla specifica realtà territoriale.
Se è pur vero che l'attuale contingenza politica non rende particolarmente agevole la conclusione di accordi, è altrettanto vero che essi vanno ricercati con la dovuta determinazione e che si deve in ogni modo evitare che il mancato raggiungimento dell'accordo possa essere imputato ad una nostra volontà di evitare il confronto con le altre impostazioni politiche.
Da questo punto di vista, l'esperienza condotta in occasione delle elezioni regionali lombarde del 2000 rappresenta - con gli indispensabili aggiornamenti - un modello sul piano del metodo e del merito, che ci consegna oggi una esperienza di rapporto positivo, nella collocazione di opposizione, con le altre forze che hanno dato vita alla coalizione.
Questo non significa mettere la sordina alle differenze anche profonde che sono emerse e che emergeranno (su temi come le grandi infrastrutture o sul giudizio sul patto per lo sviluppo, ad esempio).
Tuttavia quell'esperienza ha rappresentato il conseguimento di uno status di pari dignità tra sinistra antagonista e sinistra moderata - che non sempre è scontato nelle situazioni locali - e che ha realizzato una condizione istituzionale nella quale non è raro riuscire ad esprimere elementi di egemonia e di indirizzo (quindi, di discontinuità politica) sulle scelte dell'intera coalizione.
L'occasione per valorizzare ed attualizzare questa esperienza, come quelle di molte realtà locali di governo e di opposizione, grandi e piccole, è data dalla tornata amministrativa di primavera.
Si tratta di un test parziale ma non insignificante, perché vanno a rinnovo alcuni centri importanti (Como, Varese, Busto Arsizio, Sesto San Giovanni) e le due amministrazioni provinciali a guida monocolore leghista (Como e Varese), entrambe collocate nell'ambito pedemontano, quello che ha fatto registrare il peggior risultato elettorale in assoluto del centro sinistra e dei DS in particolare in occasione delle elezioni politiche.
E' quindi evidente che la ricerca di soluzioni unitarie dovrà partire, qui più che altrove, dall'assunzione da parte della coalizione della pari dignità di tutte le sue componenti, come pure dall'assunzione di significativi elementi programmatici che diano il segno della discontinuità, anzitutto con le politiche dello schieramento di destra, ma anche con le tradizionali politiche del centrosinistra che sono state penalizzate dal voto.
Mentre non si intravedono difficoltà all'individuazione di obiettivi comuni sul terreno della democrazia istituzionale e della partecipazione, non vanno nascoste le divergenze su tre terreni di primaria importanza: la questione infrastrutturale; la concertazione territoriale; la difesa dei servizi pubblici.
Non è pensabile ricomporre in un quadro unitario ogni dettaglio di temi così ampi e complessi, ma è sicuramente praticabile la ricerca di una cornice valoriale (per le grandi opere, il consenso non determinato a colpi di maggioranza e il ricorso alla valutazione dei costi/benefici ambientali; per lo concertazione territoriale, il rispetto degli strumenti urbanistici e la consultazione dei soggetti direttamente interessati agli argomenti in trattazione; per i servizi pubblici, la partecipazione azionaria maggioritaria e l'uso dello strumento convenzione in luogo degli accreditamenti generalizzati) decisamente alternativa al liberismo sfrenato delle coalizioni di destra.
Tutto ciò richiede un di più di iniziativa politica, nella costruzione di movimenti e nel raccordo col lavoro istituzionale.
Non è priva di rilevanza politica la constatazione che, in molte realtà, non siamo in grado di dare il giusto risalto a vicende di amministrazione locale o a proposte lanciate dall'opposizione, significative di quello che intendiamo per discontinuità.
Questo ritardo va superato con una relazione meno episodica e conflittuale tra partito e rappresentanza istituzionale.
Gli strumenti operativi individuati nel documento preparatorio (formazione, informazione, coordinamento, rete informatica) sembrano rispondere a questa esigenza; sono pur sempre strumenti che diventano efficaci se efficace è la pratica politica e se il partito, nel suo insieme, assume l'obiettivo della propria riforma organizzativa e politica, per consentire al partito stesso di cogliere e di analizzare i mutamenti epocali in corso .
Il contributo degli amministratori alla pratica di questo obiettivo non può e non deve essere il contributo di un ceto politico separato ed autoreferenziale, ma un apporto di competenze, esperienze, conoscenze, relazioni.

PRC - Lombardia
Dipartimento "Enti Locali"
Milano, 22 novembre 2001
riferimento