«Accantoniamo le differenze per dare tutti assieme una risposta forte al berlusconismo».

Bertinotti: noi e l'Ulivo insieme per un'opposizione più forte

In un'intervista a “l'Unità”, Fausto Bertinotti propone un'assemblea di tutti i parlamentari dell'opposizione

A una settimana dalla manifestazione unitaria del 23 marzo, che sarà la conclusione di un mese e mezzo di mobilitazioni in tutt'Italia, e che preparerà lo sciopero generale, Fausto Bertinotti rompe un po' gli schemi e si fa avanti con una proposta unitaria. Rivolta all'Ulivo. Cosa che non aveva mai fatto negli ultimi quattro anni. Propone una convergenza tra quelle che lui chiama, al plurale, «le opposizioni». Per dare sponda politica e parlamentare al movimento di lotta e alle battaglie sindacali. La proposta è abbastanza precisa: una assemblea dei parlamentari di tutti i partiti del centro sinistra e della sinistra, da tenere prestissimo, per vedere se si trovano dei punti comuni sui quali lavorare insieme. Senza pretendere di annullare le differenze che dividono «le due sinistre». Ma accantonandole, per dare insieme una risposta forte al «berlusconismo». Del resto, anche sulle differenze tra le due sinistre, Bertinotti crede che siano in corso molti cambiamenti, che i confini siano diventati più fluidi, più frastagliati e un po' più labili rispetto a un anno fa.

Bertinotti, quali possono essere i punti comuni sui quali convergere?

«Vedo la necessità di una azione su tre piani. Il piano parlamentare, quello programmatico e quello politico. Sul piano parlamentare la mia proposta è semplicissima: organizzare l'ostruzionismo contro la legge per la modifica dell'articolo 18. Io credo che le sinistre debbano dare sponda al movimento sindacale. Senza strumentalizzarlo, senza forzarlo. Per carità, quello sarebbe un errore gravissimo. Per esempio se noi cercassimo di presentare lo sciopero generale come uno sciopero politico, uno sciopero per mandare via Berlusconi, faremmo una sciocchezza.. Però si devono trovare delle sinergie tra lotta sindacale e lotta di opposizione in Parlamento. L'ostruzionismo penso che sia l'idea giusta».

E sul piano del programma?

«Dobbiamo trovare una piattaforma comune. Che ci permetta di essere efficaci sui temi fondamentali. Io credo che potremmo decidere una vera e propria stagione referendaria. Non solo per difenderci dall'attacco della destra, ma per contrattaccare. Il primo referendum secondo me dovrebbe essere per ottenere l'allargamento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (cioè del divieto di licenziamento senza giusta causa) anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. Io faccio questo ragionamento: il fatto che l'articolo 18 protegga solo una parte della classe lavoratrice è il punto debole. Infatti la destra attacca qui. Cerca di fomentare la divisione sociale. È qui che deve passare la controffensiva. Partendo da una ovvietà: in questi anni è cambiata la struttura industriale e produttiva. È cambiato il rapporto quantitativo tra grande impresa e impresa medio-piccola. Nei primi anni '70, quando fu varato lo Statuto, le aziende sotto i 15 dipendenti non erano la spina dorsale del sistema».

Tu dici una stagione di referendum...

«Sì, credo che dovremmo promuoverne tanti, usarli come strumento di lotta: sulle rogatorie, sul conflitto di interessi (se loro insisteranno sulla legge-beffa) e poi anche su temi più generali, magari non strettamente legati alle battaglie di politica interna. Per esempio sulla Tobin Tax. E partire da qui per trovare convergenze tra Ulivo e sinistra radicale anche sul piano politico. Nel senso che credo che dobbiamo lavorare per costruire dialogo, convergenze e azioni comuni coi grandi movimenti che sono in campo. Il movimento che viene chiamato no-global, il movimento sindacale e anche tutto il movimento dei girotondi che ha smosso nell'ultimo mese le acque del centro-sinistra».

Che giudizio dai su questi movimenti e su come stanno "strattonando" la politica italiana?

«Il movimento no-global non solo ha portato nella nostra politica nuove idee e nuova linfa. Ma ha avuto un effetto "moltiplicatore" per molti altri protagonismi. E' come se avesse fertilizzato il terreno, e su questo terreno chiunque butta un buon seme lo vede germogliare in fretta, mentre fino a qualche tempo fa il seme moriva bruciato. E così abbiamo visto la ripresa vigorosa del conflitto sociale, abbiamo visto uno dopo l'altro nascere nuove organizzazioni e nuovi movimenti democratici che vengono dalla società civile, abbiamo visto persino il centro sinistra tornare in piazza».

Ma tu dici che le sinistre restano due. Non ti pare una cosa innaturale? «Poteva essere logico che fossero due quando una era al governo e l'altra aveva scelto l'opposizione. Ora sono tutte e due all'opposizione, che senso a dividersi?

«Il fatto che una delle due sinistre governasse e l'altra no era un l'effetto della divisione, non era la causa. La ragione della divisione era il giudizio che si da su questa globalizzazione. Il centro-sinistra (non solo quello italiano, il centro-sinistra di tutto il mondo) ha pensato che questa globalizzazione potesse essere utilizzata come fattore progressista. Cioè che avesse in se un nucleo vitale, di modernizzazione, e che valorizzando questo nucleo si potessero temperare le politiche liberali e governare da sinistra la modernizzazione. L'altra sinistra, chiamiamola radicale - della quale noi facciamo parte - ha pensato che questa globalizzazione fosse contro la modernità, e fosse qualcosa che trasformava l'eccezionale potenziale innovativo di cui si dispone, anziché in progresso in arretramento sociale. Fino alla demolizione del compromesso sociale e democratico che era stato la base della vita politica in occidente nella seconda metà del 900. Vedi, non parlo di due sinistre per un capriccio. La divisione è molto netta e molto politica».

Da qualche mese però mi pare che su tutti questi temi la discussione si sia riaperta a 360 gradi. Non è così?

«Ci sono delle notevoli novità per via dell'affermarsi del movimento
no-global. Questo movimento ha fatto saltare tutti gli schemi. Ha messo in circolazione un'enorme quantità di politica. Ha rotto i confini, le linee di contrasto tra le due sinistre. O almeno le ha molto fluidificate. Anche perché è un movimento che raccoglie culture politiche lontane tra loro, e certamente non tutte interne allo schema della sinistra radicale. Il movimento ha fatto irruzione anche dentro quella che io chiamo "sinistra liberale", ha riaperto la discussione, il dialogo. Diciamo che le sinistre restano due, ma che sono molto aumentate le possibilità di dialogo. Il movimento no-global ha posto due discriminanti. Il no alla guerra e il no al neoliberismo. Sono la coordinata e l'ascissa: dentro c'è una gigantesca tavola cartesiana dentro la quale la sinistra può ricostruirsi».

Che giudizio dai sulla destra?

«Mi sembra che la linea scelta sull'articolo 18 costituisca una novità. Cambia il panorama. O almeno ci fornisce elementi di giudizio di cui prima non disponevamo. Non era, per me, così prevedibile la decisone del governo - dopo le mezze aperture dei giorni scorsi - di confermare la linea dura sull'articolo 18. Io mi aspettava quella che a scacchi si chiama la "mossa del cavallo". E cioè un colpo di teatro che scompaginasse gli oppositori e permettesse alla maggioranza di transitare lungo una linea ambigua. E invece, quando aveva sul piatto anche la possibilità di dividere i sindacati, di ottenere risultati politici di un certo rilievo, Berlusconi ha scelto la via dello scontro frontale. Anche a costo di ricompattare i sindacati e gli oppositori. E a costo di schierare le truppe su un fronte che non ammette armistizi o pareggi: i vince il governo o vincono i sindacati. Perché?, mi chiedo. Per tenere fede alle promesse verso la Confindustria? Non credo: anche la Confindustria era divisa. E allora? Io vedo una ragione di fondo: l'idea di importare il thatcherismo in Italia. Con tre obiettivi, legati l'uno all'altro Sconfiggere i lavoratori è il primo. Il secondo è sconfiggere i sindacati, demolirli. Perché il progetto di relazioni industriali non prevede la presenza pesante dei sindacati. Il terzo obiettivo è quello di rimettere in discussione tutto il sistema contrattuale italiano. Romperlo. Passando per l'abolizione del contratto nazionale di categoria, cioè dell'ultimo baluardo che aveva resistito tutti questi anni. È questa la sfida. Altrimenti non si spiegherebbe tanto accanimento».

Vengono in mente i primi anni della Thatcher e di Reagan. Anche la Thatcher e Reagan iniziarono con una sfida. La Thatcher ai minatori, Reagan ai controllori di volo. E vinsero.

«È inutile negarlo, il rischio c'è. Il rischio della sconfitta. Bisogna esserne consapevoli. Per questo credo che sia necessario unire le forze e contrattaccare. Uscire dalla rassegnazione, dalla subalternità. Dare sponda alla forza dei movimenti, e giocare anche noi tutto, per vincere la battaglia».

Piero Sansonetti
Roma, 16 marzo 2001
da "L'Unità"