«Io penso che la democrazia politica sia a rischio non perché siano alle porte nuovi fascismi nel senso tradizionale del termine. Ma perché la democrazia della globalizzazione comporta in sé un tasso molto più elevato di comando, di decisionismo, per sua natura anti-democratico e anti-rappresentativo».

«Ripartiamo dalla lotta di classe»

In un'intervista a “Liberazione”, Alberto Asor Rosa risponde a Fausto Bertinotti

«L'intervista di Bertinotti mi pare determinata da una riflessione di fondo sulla attuale situazione politica e sulla sua gravità». Il professor Alberto Asor Rosa, intellettuale fra i pochi ad aver avuto voglia e possibilità nelle settimane scorse di intervenire criticamente sulle contraddizioni all'interno della sinistra (vedi il suo articolo "Ma una 'rivoluzione liberale' è troppo poco per la sinistra», la Repubblica del 2 marzo scorso) è fra quelli che hanno letto le dichiarazioni di Bertinotti a "l'Unità" con spirito di rinnovata speranza. «Mi pare un'intervista importante - ci dice - perché mette in discussione lo schema conflittualmente binario delle due sinistre su cui la sinistra nel suo complesso è andata alla sconfitta nelle recenti elezioni del 13 maggio».

Professore, quali sono gli elementi di novità che riscontra in quell'intervista?

Mi pare che l'elemento di novità sia determinato dal fatto che Bertinotti individua una serie di obiettivi non intermedi ma progressivi, di cui il primo e fondamentale è quello rappresentato dalla lotta contro il tentativo del governo Berlusconi e della confindustria di riplasmare le istituzioni, l'economia e la società italiane secondo un disegno conservatore spinto. L'apertura politica che leggo in quel suo intervento e la possibilità di discutere anche di iniziative comuni certamente apre nello scenario complessivo della situazione italiana una novità anche di tipo politico molto rilevante.

E del programma proposto da Bertinotti, a partire da quella che il segretario di Rifondazione definisce "stagione dei referendum" cosa pensa?

Sui particolari delle strategie politiche lascio sempre volentieri la parola ai politici. Quello che mi sembra interessante è che Bertinotti propone, se non ho capito male, un tentativo di relazione strategica tra le lotte di tipo nuovo, aperte dai movimenti anti-globalizzazione, e le tattiche più tradizionali della lotta politica. Un terreno che andrebbe approfondito nei suoi contenuti, come dice Bertinotti, ma certo fecondo di nuove ipotesi di alleanza.

Bertinotti parla dell'effetto deflagrante della discussione attorno all'articolo 18 e della nascita di nuovi movimenti che hanno scompaginato sia la sinistra liberale che quella radicale. E' d'accordo?

Io credo che in questo momento ci sia una convergenza di molti movimenti diversi. Alcuni dei quali sono messi da Bertinotti eccessivamente in secondo piano e che io invece credo vadano valorizzati. Sto parlando di quei movimenti spontanei nati attorno ai temi della giustizia e dell'informazione.

Ma se dovesse dire qual è l'elemento di maggior forza propulsiva all'interno delle forze dell'opposizione?

Direi che il dato centrale della situazione è quello che vede contrapposte le masse lavoratrici alla manovra congiunta governo-confindustria. L'elemento di maggiore impatto è questo scontro fra classe lavoratrice da una parte e imprenditoria-governo dall'altra. E' questo che rimette davvero in movimento le cose. E la sensibilità di Bertinotti su questo terreno mi pare molto elevata.

Torniamo a riflettere sugli eventi del recente passato. Per esempio, cosa pensa della nascita e delle ragioni di quei movimenti spontanei che lei ricordava prima, auto-convocatisi sui grandi temi della democrazia?

Non ho mai preso parte direttamente alle manifestazioni dei girotondi, per il semplice motivo che sono faticosi e io tendo a risparmiare energie. Ma il mio giudizio, per ciò che vedo e leggo, è estremamente positivo. Evidentemente ci sono delle problematiche civili e politiche che gruppi di persone di origine mi pare generalmente intellettuale, ma non solo, hanno assunto in proprio in carenza di iniziative analoghe da parte delle organizzazioni politiche, in particolare della sinistra, a cui questo persone credo facciano in maggioranza riferimento. E' come un fare da sé laddove le istituzioni delegate non fanno. E lo ritengo un fatto assolutamente positivo, quali che siano i limiti politici di queste iniziative.

Quindi lei vi riconosce l'elemento "intellettuale" e di "sinistra"?

La presenza intellettuale mi pare fuori discussione. Quelli che hanno messo in moto il tutto sono variamente definibili "intellettuali". La composizione interna poi può essere la più varia, ma ragionando in termini di categorie sociologiche non mi pare ci sia una presenza proletaria. Per quanto riguarda il carattere di sinistra, mi sembra che si muovano proprio su quei terreni su cui la sinistra riformista è stata gravemente carente nel corso di questi ultimi anni, soprattutto nel momento in cui era al governo. Aggiungerei che le tematiche di questi movimenti si muovono tutte all'interno di una cultura del riformismo. Nel senso che agitano parole d'ordine che riguardano l'informazione, la giustizia, la sanità e così via.

Ma questi intellettuali perché hanno preso vita solo ora? Perché non si sono mossi prima, magari quando la sinistra era ancora al governo?

Io credo che il periodo del governo di centro-sinistra sia stato un momento di attesa di qualcosa che non è arrivato. Senza dubbio c'è stato un silenzio da parte degli intellettuali. Questo silenzio è esploso clamorosamente nel momento in cui si è iniziato a fare i conti con un presente che inizia seriamente ad allarmare.

Ho ritrovato su Internet un suo discorso risalente alla nascita del Pds. Lei vi sottolineava la necessità di dare vita a un partito di sinistra, di una sinistra fortemente connotata. Quella necessità è stata soddisfatta?

No, non è stata soddisfatta per due motivi concomitanti. Da una parte l'evoluzione del gruppo dirigente Ds ha accentuato oltremisura gli elementi moderati presenti in una cultura politica di sinistra. L'altro elemento è che a questo bisogno di un partito di sinistra forte, capace al tempo stesso di governo e di riforme, allora non ha corrisposto l'iniziativa politica e la strategia di Rifondazione comunista.

Mi spieghi meglio.

Voglio dire, non ci si può accontentare che un partito che si definisce di sinistra porti avanti una strategia e soprattutto e una politica e una cultura moderate. E questo per quanto riguarda il versante Ds. Per quanto riguarda Rifondazione io dico che non si può perseguire un disegno di alternativa senza porsi il problema di collegarlo con una questione concreta come quella del governo del paese, e cioè con quella che io continuo a chiamare una prospettiva riformista.

Le faccio una domanda, che non vuole essere solo provocatoria, ma anche una richiesta di comprensione. Se questa sinistra che anche lei definisce antagonista, in questi anni non fosse esistita...

No, scusi, questo è un altro problema. Qui entriamo nella discussione su cosa è utile o inutile nella storia e non è un ragionamento che possa essere contrapposto al mio, soprattutto sul piano retrospettivo. Io pongo un problema politico. Se poi vuole che le dica ciò che sarebbe accaduto se questa sinistra antagonista non ci fosse stata affatto, non avrei difficoltà a riconoscere che sarebbe andata anche peggio. Ma a me pare che dopo la sconfitta del maggio scorso siamo arrivati a una resa dei conti. Non è più possibile accontentarsi di una utilità residuale, che consiste nell'impedire che lo sfondamento moderato arrivi fino in fondo. Bisogna trovare una strada che consenta di battere questo sfondamento moderato in positivo. E secondo me questa strada è in quello che sloganisticamente potrebbe essere definito un riformismo radicale e che per me è esattamente la stessa cosa che dire un riformismo rigoroso.

Passiamo a un altro tema, solo apparentemente lontano. Lo sfondamento moderato di cui lei parla, e che non riguarda solo l'Italia, sta alimentando un numero impressionante di conflitti che sembrano non trovare né fine né soluzioni...

La società globale si governa capitalisticamente con una accentuazione della violenza e dell'autoritarismo. Io penso che la democrazia politica sia a rischio non perché siano alle porte nuovi fascismi nel senso tradizionale del termine. Ma perché la democrazia della globalizzazione comporta in sé un tasso molto più elevato di comando, di decisionismo, per sua natura anti-democratico e anti-rappresentativo. Questo avviene sia a livello mondiale che a livello europeo occidentale. Guardiamo alle nuove alleanze che si stanno configurando e di cui Berlusconi è tutt'altro che figura di secondo piano.

Vede con simpatia il movimento dei no-global?

Sì, sinceramente sì.

Assieme a un nutrito gruppo di studiosi e pensatori, lei ha lanciato un'iniziativa che vedrà lunedì prossimo a Roma intellettuali e sindacalisti della Cgil insieme per la difesa dell'art. 18. Ce ne spiega il senso?

Diciamo che in questo quadro di movimenti, in cui io non farei gerarchie ma coglierei piuttosto l'elemento comune, noi abbiamo pensato che mettere a confronto forze intellettuali con dirigenti della Cgil, in particolare con Cofferati, fosse un contributo importante a un chiarimento anche complessivo delle linee strategiche che stanno emergendo.

Pensate a un progetto di battaglie comuni?

Messa così sarebbe troppo ambizioso. Diciamo più semplicemente che un certo numero di intellettuali ha firmato un documento in cui si dice che le lotte e le iniziative della Cgil possono cambiare la situazione anche in termini più generali.

Roberta Ronconi
Roma, 18 marzo 2001
da "Liberazione"