Referendum del 12 - 13 Giugno 2011

Legittimo impedimento, questo (semi)sconosciuto

Un contributo alla conoscenza del quesito referendario meno conosciuto

Come è noto domenica e lunedì prossimi saremo chiamati ad esprimerci su quattro importanti referendum.
La Federazione della Sinistra ha fatto e stato facendo una campagna referendaria perché si voti quattro SI’. Tra i quattro referendum vi è quello che chiede l’abrogazione di una legge che detta norme particolari in tema di legittimo impedimento.
Sicuramente è il referendum meno propagandato, anche se vi è in gioco un principio fondamentale della nostra Costituzione che è quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

Lo scorso 31 maggio, nell’ambito di una serata organizzata a Bernareggio dal locale comitato per i referendum, ho tenuto un intervento che penso possa contribuire alla conoscenza più precisa di questo referendum.

Il quesito riguardante il quarto referendum (quello sul c.d. legittimo impedimento) è del seguente tenore: ”Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1,2,3,5,6 nonché l’articolo 2 della legge 7 aprile 2010 numero 51 recante disposizioni in materia di legittimo impedimento a comparire in udienza?”.

Prima di addentrarci nell’esame specifico delle disposizioni di legge che si vogliono abrogare è necessario inquadrare il legittimo impedimento nell’ambito del nostro processo penale partendo da un concetto ad esso speculare che è quello di contumacia.

La definizione di contumacia nel processo penale la si ricava da una lettura dell’articolo 420 quater del c.p.p. il quale al suo primo comma fa riferimento ad altri articoli dello stesso codice.

Il primo comma di detto articolo 420 quater recita che se l’imputato, libero o detenuto, non compare all’udienza e non ricorrono le condizioni indicate dagli articoli 420, comma 2, 420 bis e 420 ter, commi 1 et 2, il giudice, sentite le parti, ne dichiara la contumacia.

Questo significa che il processo, ferma restando l’obbligatoria presenza del difensore, inizia, ed eventualmente continua fino alla sentenza, anche in assenza dell’imputato che così, implicitamente, rinuncia, per esempio, ad essere sottoposto ad interrogatorio o a rendere dichiarazioni spontanee.

Quali sono, però, le condizioni, al verificarsi delle quali, il giudice, pur non essendo l’imputato comparso, non ne può dichiarare la contumacia?

Tralascio quelle dell’articolo 420, comma 2, et 420 bis e mi soffermo su quelle elencate dall’articolo 420 ter, comma 1 : quando l’imputato, anche se detenuto, non si presente all’udienza e risulta che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità a comparire per caso fortuito, forza maggiore, o altro legittimo impedimento.

Al verificarsi, quindi, di un legittimo impedimento alla presenza dell’imputato, il giudice non dichiara la contumacia dello stesso e, con ordinanza, rinvia il processo ad una nuova udienza.

Qui sorgono due ordini di problemi.

Il primo riguarda chi deve dare la prova del legittimo impedimento, il secondo a chi spetti valutare se i fatti e/o gli status, addotti dall’imputato per non comparire in udienza, costituiscano o meno un legittimo impedimento.

Al primo problema si risponde che spetta all’imputato dare la prova del legittimo impedimento, al secondo che spetta al giudice valutare se un determinato fatto o stato costituisca un legittimo impedimento.

La legge numero 51 del 2010 si inserisce nell’alveo di questi due problemi.

All’articolo 1, comma 1, infatti, effettua una tipizzazione di legittimo impedimento, ma l’effettua solo per un soggetto, cioè il Presidente del Consiglio dei Ministri, affermando, che per quest’ultimo, costituisce legittimo impedimento a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quale imputato, il concomitante esercizio delle funzioni proprie di Presidente del Consiglio e, al terzo comma dello stesso articolo, nel suo testo originario, sottrae al giudice ogni valutazione sulla fondatezza del legittimo impedimento addotto dal Presidente del Consiglio.

La legge che si sta esaminando compie la stessa opera di tipizzazione a favore dei Ministri (articolo 1, comma 2), sottraendo al giudice, anche per loro, ogni valutazione sulla fondatezza del legittimo impedimento.

Ma legge numero 51 del 2010, nel suo testo originario, si spinge ancora più in là, perché al quarto comma dell’articolo1, afferma che se la Presidenza del Consiglio dovesse attestare che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di Presidente del Consiglio, il rinvio può giungere fino a sei mesi.

Qui, a differenza dei commi 2 et 3 dell’articolo 1, spetta al Presidente del Consiglio dimostrare che l’impedimento (legittimo per definizione) ha però una durata tale che il processo deve essere sospeso per un periodo di sei mesi.

Il quinto comma, dell’articolo 1, sospende la prescrizione del reato per tutta la durata della sospensione, mentre il sesto comma dello stesso articolo afferma che la legge si applichi anche ai processi in corso al momento della sua entrata in vigore.

L’impianto della legge non si ferma qui, perché la sua ratio la si scopre leggendo il suo secondo ed ultimo articolo.

Questo articolo afferma che la legge ha natura transitoria in quanto si applicherà fino a quando non entrerà in vigore una legge costituzionale che disciplini le modalità di partecipazione del Presidente del Consiglio, del Presidente della Repubblica e dei Presidenti delle due Camere ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla sua entrata in vigore (9 aprile 2010).

Il perché di questa natura transitoria è presto detta.

La legge in esame è una risposta alla bocciatura in toto da parte della Corte Costituzionale (sentenza numero 262 del 19 ottobre 2009) di un’altra legge e precisamente della legge numero 124 del 23 luglio 2008 (conosciuta come Lodo Alfano, dal nome del Ministro di Giustizia che l’ha proposta ) a sua volta risposta alla bocciatura, sempre da parte della Corte Costituzionale, di un’altra legge dal contenuto simile e conosciuta come Lodo Schifani.

La legge numero 262 del 2009 disponeva la sospensione di tutti i processi penali per il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e i Presidenti delle due Camere, dalla data di assunzione della loro carica fino alla cessazione della stessa. La Corte Costituzionale ha bocciato il Lodo Alfano con la motivazione che un provvedimento che alteri l’uguaglianza di tutti i Cittadini davanti alla legge deve essere approvato con una legge costituzionale e quindi con il procedimento previsto dall’articolo 138 della Costituzione.

In questo quadro normativo è intervenuta la Corte Costituzionale (sentenza numero 23 del 25 gennaio 2011; la questione di illegittimità costituzionale è stata sollevata dai giudici del Tribunale di Milano) che ha dichiarato incostituzionale (ancora una volta per violazione del principio di uguaglianza) la legge numero 51 del 7 aprile 2010 in due punti.

La Corte ha, infatti, dichiarato incostituzionale il primo comma, dell’articolo1, nella parte in cui non lasciava al giudice la valutazione in concreto del fatto e/o dello status addotto quale legittimo impedimento e ha dichiarato incostituzionale l’intero quarto comma, quello cioè che permetteva un rinvio fino a sei mesi del processo.

Nonostante la parziale dichiarata incostituzionalità della legge la Corte di Cassazione, ufficio centrale referendum, con ordinanza emessa il 3 aprile 2011 ha confermato l’ammissibilità del quesito referendario che, nella sua essenza ultima, si può, ora, così leggere:siete d’accordo che la funzione di Presidente di Consiglio e di Ministro costituisca un legittimo impedimento a comparire in un processo penale, mentre non lo costituisce lo svolgimento di alcuna altra professione, funzione, lavoro o il ricoprire qualsiasi altra carica?

Francesco Beretta (portavoce della FDS di Monza e Brianza)
Monza, 5 giugno 2011