I funerali di Massimo Gorla si sono svolti ieri a Milano

In ricordo di Massimo Gorla

Un omaggio allo scomparso

Così Massimo Gorla se ne è andato. Aveva appena fatto i settant’anni. Fin da bambino un’infezione gli aveva leso il cuore, e più avanti obbligato ad un intervento chirurgico per ricostruirne un ventricolo. Recentemente aveva subito un ictus. Tuttavia un paio di mesi fa, in una rimpatriata di vecchi amici e compagni organizzata da Basilio Rizzo a celebrazione dei ben vent’anni trascorsi a battagliare nel Consiglio comunale di Milano, Massimo l’avevamo visto bene. Invece alla brutta bronchite che un paio di settimane fa lo aveva colpito il cuore non è riuscito a resistere.

Come aveva sempre fatto nelle riunioni di amici Massimo anche in quest’occasione era andato a ragionare sulle cose buone della nostra lunga comune vicenda politica, che per me cominciò nel 1962; e stavolta era toccata al fatto che avevamo sempre operato con un acuto senso della solidarietà tra compagni, della collegialità, del rifiuto di comportamenti narcisisti, lideristi, burocratici. Vedeva in questo, ci disse Massimo, una delle ragioni per le quali un corpo di quadri non più giovani ancora riusciva a essere dentro alla sinistra con un qualche ruolo utile, invece di spartirvi la débacle morale e culturale dei quadri di tante formazioni passate di nuova sinistra o esservi stato trascinato dal suicidio del Pci.

Massimo era fatto così. Non era solo un politico di eccellenti capacità e di grande esperienza, colto e intelligente; era anche un uomo buono, generoso ed onesto. Si potrebbe ingenuamente dire che a sinistra dovrebbe essere sempre così, invece non solo non è vero ma più passa il tempo meno lo vedo vero. Niente di strano d’altra parte, sono tempi di crisi e dietro ci stanno sconfitte di portata epocale. Ma a maggior ragione volevamo bene a Massimo: perché anche sul terreno che è il più difficile di tutti di una quotidianità pulita del comportamento personale aveva saputo tener fermo dinanzi all’attacco devastante della controrivoluzione capitalistica di questi anni, e perché sapeva ricordarci con bonomia anziché saccentemente che così si deve essere, in primo luogo per rispetto di se stessi.

Il periodo del PCI e della IV Internazionale

Ho conosciuto Massimo in un periodo difficile della mia vita. Ero terribilmente deluso. Il clima dell’apparato milanese del Pci, nel quale ero entrato nel momento in cui ero diventato segretario a Sesto San Giovanni della Fgci, era in quel momento estremamente degradato. Avevo maturato riserve consistenti sulla “linea” tanto del Pci che della Cgil, che mi pareva non solo inadeguata rispetto alle trasformazioni in corso dei processi produttivi ma assurdamente cauta, in una situazione di forte ripresa della capacità di mobilitazione operaia. Ero tornato dai viaggi premio in Unione Sovietica e nei paesi dell’Est, promossi allora dal Pci a beneficio dei suoi giovani promettenti, estremamente deluso. Cercavo dunque, assolutamente privo di strumenti, interpretazioni e nuovi orientamenti. E Massimo mi aiutò in questo moltissimo, discutendo con me con grande pazienza, orientandomi nelle letture, soprattutto insegnandomi ad affrontare il marxismo e le vicende del movimento operaio con spirito critico.

Massimo allora era segretario della Sezione Alliotta del Pci e membro del suo Comitato federale milanese; al tempo stesso era legato alla IV Internazionale, anzi ne era uno dei dirigenti in Italia e uno dei membri del Segretariato di Parigi. La IV Internazionale aveva deciso negli anni Cinquanta di inserire parte dei suoi militanti nelle formazioni dominanti del movimento operaio, in Italia soprattutto, quindi, nel Pci. Questa scelta, com’è chiaro, certamente poneva un problema morale, nel senso che non era leale nei confronti dei militanti di queste formazioni, e credo che di questo fosse stato discusso molto; tuttavia era anche giustificata dalla ferocia nella sinistra comunista di allora del pregiudizio e dei comportamenti antitrotskisti. Sia come sia, a me questa scelta servì, mi aiutò a maturare, a leggere in tutte le direzioni, a ragionare per conto mio.

Non solo: Massimo aveva già dietro a sé un certo curriculum militante: era stato nella sinistra del Psi, legato in parte a Lelio Basso in parte a Raniero Panzieri, inoltre proprio nel periodo in cui lo conobbi era tra i collaboratori a Milano della rivista “Quaderni Rossi”.

Avanguardia Operaia e Democrazia Proletaria

Avanguardia OperaiaNegli anni successivi Massimo sarà protagonista del tentativo di costruire nel Pci milanese uno schieramento di sinistra, fatto di ingraiani, di giovani della Fgci, di trotskisti, anche di qualche militante di fabbrica di orientamento, per così dire, ortodosso. L’intervento repressivo da Roma di Alicata spazzò via, nel 1966, tutto quanto. Sono di quegli anni la bella esperienza del Circolo Il Manifesto (niente a che vedere con la futura testata omonima, fu un fatto tutto nostro), dove si raccolsero molti di quei giovani della Fgci, di quegli studenti universitari e di quegli operai che all’inizio del 1968 daranno vita ai Comitati Unitari di Base, al Movimento Studentesco di Città Studi e ad Avanguardia Operaia, e alla redazione milanese del mensile “La Sinistra”, il cui direttore era Lucio Colletti.

Democrazia ProletariaSuccessivamente, l’ho appena accennato, Massimo fu tra i protagonisti della fondazione di Avanguardia Operaia.
Nel 1976, della fondazione di Democrazia Proletaria, attraverso l’unificazione di Avanguardia Operaia e di una parte del PdUP.
Dp, com’è noto, avrà un’esistenza travagliata; nelle condizioni di alta marea sociale degli anni Settanta si era inserito il terrorismo delle Brigate Rosse e di Prima Linea, ciò che determinò una situazione generale assai difficile per la nuova sinistra, e poi arriverà, con la sconfitta della Fiat, un’inversione delle tendenza generale. Una parte dei nostri compagni decise ad un certo momento di giocare la carta di un partito verde di sinistra, e la loro scissione ci mise in ginocchio. Nel frattempo entrava in crisi la tenuta del Pci, sotto i colpi delle stramberie occhettiane, ma la stessa discussione in Dp sull’opportunità o meno di unirsi ai compagni che non avrebbero accettato la “cosa” occhettiana fu travagliata. Fu qui che la mia strada si separerà da quella di Massimo: io ero tra i più convinti delle necessità di portare Dp ad un incontro con i compagni che avrebbero rifiutato la “cosa”, Massimo era per il proseguimento dell’esperienza di Dp. Perciò quando decidemmo nel giugno del 1991, a larghissima maggioranza, di entrare nel neonato Movimento della Rifondazione Comunista, Massimo fu tra quei compagni che preferirono non farlo.

La Convenzione per l'Alternativa

Non si ritirò, con questo, dalla politica attiva: la Convenzione milanese per l’Alternativa di Carlo Cuomo e di Edgardo Bonalumi lo avranno tra i suoi protagonisti. In questi anni gran parte degli ex demoproletari si sono ritrovati, soprattutto a Milano, riaccomunati da una cultura politica che abbiamo più o meno tutti affinato e ripulito in questi anni ma non ribaltato. Non ce n’era infatti nessuna necessità, anzi ci ha aiutati in questi anni a sopravvivere in modo decente in formazioni politiche non esattamente splendide. Massimo avevamo in animo tutti da tempo di portarlo a essere ancora con noi, perché era nostro e perché ci avrebbe dato una notevole mano nelle cose che oggi facciamo nel movimento New Global o in quelle attività di ricerca con le quali appoggiamo questo movimento. Purtroppo non abbiamo fatto in tempo, e questo ci peserà sempre. Ciao Massimo.

Luigi Vinci
Milano, 23 gennaio 2004
da "Liberazione"