Sentenza del Tribunale di Milano sui sei operai della Breda Fucine uccisi dal tumore. Per i giudici non esiste un nesso causale e quindi «il fatto non sussiste».

Breda, gli operai morti per caso

Lacrime, urla, proteste dei parenti: «li hanno uccisi di nuovo»

L'assoluzione se l'aspettavano. Non è stata uno choc come al processo per Porto Marghera. L'aveva chiesta, e per ben due volte, lo stesso pubblico ministero Giulio Benedetti, convinto che non ci sia la prova del rapporto di causa e effetto tra l'aminato e la morte per tumore di sei ex operai della Breda Fucine di Sesto San Giovanni (fabbrica chiusa da tempo). Parenti, ex colleghi pensionati e Comitato per la difesa della salute se l'aspettavano a tal punto l'assoluzione che avevano già pronti striscioni e comunicati per gridare la loro rabbia contro una sentenza che «afferma che uccidere i lavoratori in nome del profitto non è reato». Ma quando il giudice Elena Bernante ha terminato la lettura del disposiivo della sentenza, che manda assolti due ex dirigenti della Breda Fucine di Sesto perché «il fatto non sussiste», la protesta nella piccola aula 7 del tribunale di Milano è stata più intensa e di quella che nell'aula bunker di Mestre aveva mescolato lacrime, sbigottimento, incredulità e rabbia per l'assoluzione del gotha della chimica. Hanno gridato «Vergogna», «Assassini», «Bastardi». Hanno invaso l'emiciclo dell'aula per stendere sotto la scritta «La legge è uguale per tutti» uno striscione che recita «Operai della Breda uccisi due volte: dall'amianto e dai giudici». Hanno occupato l'aula e solo dopo un'ora polizia e carabinieri sono riusciti a convincerli a uscire. Nei corridoi e fuori dal palazzo di giustizia hanno continuato a manifestare il loro sdegno.

Alle 14,30, quando tutto era finito, Giuseppe Mastrandrea, 69 anni, il pigiama dentro una borsa di carta, ha preso la strada per l'Istituto dei tumori dove gli diranno se possono «aprirlo un'altra volta».

Oltre ai familiari dei sei colleghi deceduti, Mastrandrea era una delle parti lese di questo processo. La sentenza dice che non c'è la prova che il suo tumore sia stato causato dalle fibre di amianto che ha respirato lavorando per anni nel reparto «verniciatura aste» della Breda Fucine. «Si respirava in gran quantità polvere di molatura. Lo dicevamo ai capi, loro ci rispondevano che le cose andavano così e ci davano mezzo litro di latte come antidoto», racconta il pensionato. «Ora i capi sono stati assolti come se non fosse successo nulla. Pensavo ci fosse un po' di giustizia, ma quella ormai è riservata solo ai padroni».

Una giustizia riservata a chi «ha i soldi», quindi «di classe», commenta Michele Michelino, ex operaio della Breda animatore del Comitato che ha raccolto dati sul killer amianto; in 11 anni di attività e di lotte il Comitato ha presentato 19 denunce e elencato 70 morti. Denunce archiviate, eccetto quella giunta ieri a sentenza e un'altra per cui il processo inizierà a settembre. Il tribunale di Milano, osserva Michelino, come quello di Venezia «si è schierato a fianco dei padroni».

Per le morti operaie non paga mai nessuno, commenta Piergiorgio Tiboni, coordinatore nazionale della Cub, «al danno si aggiunge la beffa». I due imputati, Vito Schirone e Umberto Marino, erano accusati di omicidio e lesioni colpose. Per loro il pm aveva chiesto una prima volta l'assoluzione perché in base alle perizie non poteva essere provato il rapporto di causa-effetto tra amianto e quei sette casi di tumore.

Il tribunale aveva riaperto il dibattimento per acquisire dati emersi da un convegno scientifico sull'aminato tenutosi ad Helsinki. Dati che non hanno modificato la convinzione del pm che ha concluso anche la seconda requisitoria con la richiesta d'assoluzione. Per Sandro Clementi, avvocato di parte civile, la formula «il fatto non sussiste» è particolarmente «inquietante», non tiene conto della verità accertata che l'amianto alla Breda c'era. Almeno due dei sette tumori, insiste, sono «sicuramente stati causati dall'amianto». L'unica possibilità per rimettere in discussione l'assoluzione di ieri è un'eventuale condanna di un folto gruppo di ex dirigenti Breda nel processo che inizierà a settembre.

Manuela Cartosio
Milano, 14 febbraio 2003
da "Il Manifesto"