”Solidarietà e salute“: in un convegno medici, operatori e dirigenti
danno vita ad un comitato di sostegno e rilancio del sistema sanitario
pubblico
Si è svolto ieri mattina presso il residenze Ripetta a Roma il convegno
nazionale organizzato dal Comitato nazionale di sostegno e rilancio del
sistema sanitario nazionale “Solidarietà e salute”.
Copromotori del convegno e facenti parte del comitato stesso erano pure tre
associazioni tra le più rappresentative dei medici e precisamente l'Anaao -
Assomed (associazione medici dirigenti), la Fimmg (federazione italiana medici
di famiglia) e il Sumai (sindacato unico medicina ambulatoriale italiana).
A questo importante convegno - a cui il ministro della Sanità non ha
ritenuto opportuno partecipare - erano presenti alcune centinaia di persone:
operatori sanitari, assessori, medici, dirigenti regionali.
Ovvero una quota significativa delle persone che in questi anni si è spesa a
favore del servizio sanitario nazionale e che durante la prima fase del
governo di centro sinistra ha condiviso e sostenuto l'azione svolta dal
ministro Bindi.
Non a caso una dichiarazione congiunta dei presidenti delle organizzazioni
dei medici sopra citate recita:
«Se il governo italiano darà un seguito alle dichiarazioni di alcuni suoi
esponenti, tese a mettere in pericolo la sopravvivenza del servizio
sanitario nazionale, sappia che troverà la ferma opposizione della
stragrande maggioranza dei medici italiani».
Le relazioni svolte in mattinata hanno preso di mira alcuni dei luoghi comuni
che hanno caratterizzato la controriforma strisciante del sistema sanitario.
Il luogo comune dell'eccesso di spesa sanitaria
Ha cominciato la dottoressa Elena Granaglia, dell'università della
Calabria, che ha lucidamente spiegato perché il federalismo fiscale in
sanità - varato dal governo di centro sinistra - determina disparità di
trattamenti tra le regioni ed è quindi incompatibile con una piena attuazione
dei diritti di cittadinanza.
In questo modo l'ineguaglianza di diritti che sino ad ora era considerata
una patologia da rimuovere rischia di diventare un dato fisiologico del nuovo
stato federale.
Quanto all'eccesso della spesa sanitaria in Italia, nel corso del
convegno si è dimostrato come questo sia un luogo comune destituito di
fondamento.
Non solo perché la spesa sanitaria pubblica è tra le più basse d'Europa
(il 5,7% rispetto ad una media europea del 7,1%) ma anche perché la quota
della spesa pubblica sul totale della spesa sanitaria è in questi anni
progressivamente scesa. Dall'82,6% del 1980 al 68% del 1998.
Il diritto di tutti all'assistenza sanitaria
Attorno a questi nodi si sono sviluppate le altre relazioni e la tavola
rotonda del pomeriggio, che hanno approfondito la linea su cui è nato il
Comitato: «Rispettare il principio dell'universalità, assicurando a ogni
cittadino italiano livelli uniformi di assistenza, definiti a livello
nazionale e garantiti direttamente dallo stato e dalle regioni, sia in termini
quantitativi che qualitativi, su tutto i territorio nazionale». Una
piattaforma a cui la Confindustria si mostra totalmente insensibile, ribadendo
la necessità dei fondi sostitutivi e la brutale privatizzazione dei servizi
sanitari.
Evasivo, invece, il governo, che non ha ancora deciso cosa fare, specie sulla
questione della spesa. Infatti, sembra tramontare, almeno per il momento, l'ipotesi
di reintrodurre il ticket sui farmaci. Così, per frenare la spesa sanitaria,
il governo pensa ad altre misure tampone come, ad esempio, il blocco dei
prezzi dei medicinali.
La difesa a spada tratta del servizio sanitario nazionale è venuta, in
chiusura del convegno, dall'ex ministro della Sanità Rosy Bindi che ha
chiesto all'attuale governo di rifinanziare il fondo sanitario nazionale.
Al suo fianco, certamente, quei medici che ieri hanno ribadito di non
difendere il Ssn per questioni di bottega, ma perché il servizio pubblico è
l'unico che gli permette di essere fedeli al giuramento di Ippocrate, cioè
di poter curare tutti.