Il piano socio - sanitario della Regione Lombardia

Come ridurre i servizi scaricandoli sulla famiglia

Il Piano socio-sanitario regionale della Regione Lombardia introduce significative trasformazioni anche nel campo delle politiche sociali.
Per politiche sociali, in questo caso, si intendono servizi e prestazioni rivolti ai minori, alle persone disabili, anziane e in condizioni di disagio di competenza delle Amministrazioni locali.
Solo per fare alcuni esempi: asili nido, centri socio-educativi, centri di prima accoglienza, assistenza domiciliare… Due sono gli elementi chiave di queste trasformazioni: - il ruolo della famiglia intesa come “produttore solidale di risorse”; - l'introduzione dei vaucher (cioè soldi) utilizzabili dagli utenti per l'acquisto dei servizi.
Alla famiglia è chiesto di autosoddisfare i bisogni dei propri componenti.
Le istituzioni pubbliche (in primo luogo la Regione) sosterranno (in parte) questo ruolo attraverso la distribuzione di buoni servizio.
Già si vedono i primi effetti di queste scelte: alle famiglie che si tengono in casa la persona anziana non autosufficiente la Regione eroga 800.000 lire mensile mentre è stata presentata una proposta di legge sul “buono mamma”cioè un assegno mensile a chi deciderà di non utilizzare l'asilo nido.
Tutto ciò è ovviamente finalizzato alla riduzione dei servizi ( i soldi utilizzati per i buoni verranno sottratti alle risorse destinate al settore), e determinerà un aumento del lavoro di cura delle donne (gratuito o sotto pagato!).
Dall'altra parte l'utilizzo dei vaucher consentirà la costruzione di un vero e proprio mercato dei servizi.
La Giunta regionale ha intenzione di utilizzare più di cento miliardi per sostenere l'utilizzo di questi vaucher.
All'Ente Locale è chiesto il ruolo di semplice distributore di soldi in modo da consentire alle persone di comprarsi il servizio di cui hanno bisogno.
Al terzo settore si chiede,sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale, di sostituirsi al soggetto pubblico, di abbandonare la logica del no profit per entrare in quella, più consona al nuova modello, di impresa sociale orientata al profitto.
Non è un caso che i soggetti più seri del terzo settore siano nettamente contrari all'impostazione di questo piano.
Se i soldi erogati non basteranno ad acquistare il servizio di cui si ha bisogno ciascuno dovrà arrangiarsi con fondi propri: con buona pace dei diritti previsti dalla Costituzione!

Nicoletta Pirotta
Milano, 17 febbraio 2002
da "Liberazione"