La Cassazione, dopo 26 anni, riconosce i danni per turbamento psichico a seguito dell'incidente di Seveso del luglio 1976.

Una lunga lotta per la salute e per il lavoro

Grazie a una sentenza giunta ventisei anni dopo i fatti, si riaffaccia prepotente all'attualità la famosa nube tossica che il 10 luglio del 1976 oscurò Seveso. La Cassazione a sezioni unite riconosce i danni per turbamento psichico a chi è stato offeso da un fatto che gli ha cambiato la vita anche se non ha subito lesioni organiche. Un pronunciamento estremamente importante, di segno opposto alla sentenza di pochi mesi fa sul Petrolchimico di Marghera, che apre la strada al riconoscimento di un'infinita serie di altri casi. Si pensi a Brescia e ai danni provocati dalla Caffaro: sono stati trovati nella zona Sud di questa città Pcb (policloruro di bifenile) e diossine in 11 punti su 27 fuori dei cosiddetti limiti di soglia; ancora il Pcb è stato trovato in valori fuori norma nel sangue di molti anziani dello stesso territorio ed è stato appurato che i Pcb e le diossine sono entrate nella catena alimentare. Danni materiali, morali e psicologici: alcuni cittadini dovranno cambiare attività, tutti si dovranno sottoporre a sorveglianza sanitaria e molti saranno in angoscia per una situazione che potrà avere conseguenze sulla loro salute. Da sempre medicina Democratica afferma che il rischio è già un danno! Ora lo ribadisce anche la Cassazione e lo sottopone anche a risarcimento.

Ma per una sentenza finalmente avanzata quante vertenze restano aperte?

Oggi, nel "clima favorevole" determinato dalla proclamazione dello sciopero generale, un convegno rilancia le lotte per la salute nei luoghi di lavoro, a partire in particolare dalla sentenza su Marghera e dal problema amianto. Organizzano Medicina democratica e Rifondazione comunista con l'adesione dell'Associazione esposti amianto e del Forum per la difesa della salute di Milano e Lombardia.

Il tema è scottante. Basta guardare a quello che è successo a Gela, intorno al Petrolchimico, dove 15mila persone con in testa i sindacati sono scesi in piazza per protestare contro il provvedimento della magistratura che ha posto i sigilli ad alcuni impianti, anche se questi hanno continuano a funzionare per volontà dei lavoratori. Decenni di lotte, di sconfitte, di vittorie, di progressi e di regressi, sembrano non avere insegnato nulla: ancora una volta salute e lavoro sono state contrapposte. Nemmeno si è pensato ad affermare che il Petrolchimico di Gela deve mantenere, certamente, i posti di lavoro, ma si deve riconvertire, deve bonificare ambiente interno ed esterno, deve smetterla di produrre gas e reflui nocivi e cancerogeni che finiscono in terra e in mare.

Al contrario di quanto è avvenuto nel caso Marghera, non possiamo non manifestare il nostro apprezzamento rispetto all'azione del Tribunale di Gela. Certo, la sentenza che quel tragico e amaro 2 novembre 2001 ha mandato assolti gli imputati ex Montedison ed Enichem ha mobilitato cittadini, centri sociali, società civile: migliaia hanno manifestato e si sono riuniti in decine di incontri per discutere la nefandezza di quel pronunciamento, ma per ora nulla è cambiato. La società del capitale è salva: un po' di quattrini di risarcimento sia per i morti che per iniziare le bonifiche, molte proteste, ma nessun cambiamento reale. Del resto questa strada di ingiustizia è stata aperta da altri casi. Alla Breda di Sesto S. Giovanni un procedimento per morti da amianto è stato già archiviato.

Abbiamo però ragione di ritenere che a Mantova, Ravenna, Manfredonia e Brindisi non succederà così, fortemente lavoreremo perché la sentenza di Marghera venga rovesciata in appello. Lotteremo senza fermarci contro l'amianto: la legge del 1992 per la messa al bando di questo agente nocivo cancerogeno solo in parte è stata applicata e migliaia di lavoratori, e di famiglie di lavoratori uccisi, attendono giustizia da processi penali in corso, per vedere riconosciute le malattie professionali contratte o per ricevere i benefici previdenziali dovuti secondo la legge.

Fulvio Aurora
Seveso, 23 febbraio 2002
da "Liberazione"