La sanità lombarda tra privatizzazione, tagli di spesa e abbandono dei servizi di cura, assistenza e riabilitazione

AAA Servizi Sociali vendesi: la politica dei buoni e dei vouchers

Dal 1/7/2002 è stata ufficialmente avviata nelle ASL di Lecco e di Milano 3 la sperimentazione del “voucher socio –sanitario”. Si tratta in sostanza di una nuova modalità per erogare il servizio dell’assistenza domiciliare integrata (ADI).

In pratica verrà messo a disposizione delle famiglie un buono d’acquisto con il quale poter acquistare, presso strutture accreditate, le prestazioni relative alle cure domiciliari di persone non autosufficienti.

Una volta a regime esso sostituirà il buono socio-sanitario (istituito, sperimentalmente, dalla giunta regionale, nel gennaio 2001, che consentiva alle famiglie di tenersi il contributo erogato per "curare" in casa la persona anziana non autosufficiente).

Pur se l'inizio è stato disastroso (i primi bandi per accreditare le strutture sono andati deserti e agli utenti che chiedevano informazioni veniva risposto di aspettare che si chiarisse la nuova situazione) da settembre la sperimentazione ha cominciato lentamente a prendere avvio. Sono state accreditate le prime strutture (cliniche private e cooperative) che hanno cominciato ad erogare il servizio.

Le modalità concrete con il quale è stata impostata e avviata questa sperimentazione non possono che confermare, ed anzi accentuare, le critiche che abbiamo sempre rivolto a queste forme di “monetizzazione dei servizi”.

Un limite di fondo, che del resto è la logica conseguenza di uno degli obiettivi dell’operazione, cioè il risparmio di risorse, è quello dell’insufficiente livello economico dei “vouchers” previsti: 362 euro al mese per il profilo di base, 464 per i pazienti complessi e 619 per i pazienti terminali. Con queste risorse è difficile pensare di poter erogare un servizio di assistenza domiciliare adeguato. Per il livello intermedio, che riguarda “pazienti non autosufficienti multiproblematici affetti da patologie croniche con elevato rischio di riacutizzazione”, si prevede, per esempio, l’erogazione di 16 accessi al mese complessivi di infermieri, fisioterapisti e A.S.A e di 1 sola visita mensile del Medico Specialista . Se si considera che questi livelli di servizio non potranno certo migliorare, ma semmai peggiorare, in funzione della scelta di una progressiva riduzione della spesa sanitaria pubblica, le famiglie rischiano di trovarsi di fronte a due alternative altrettanto pesanti: o rinunciare alla possibilità di mantenere in casa il congiunto ammalato e ricoverarlo in una RSA pagando rette altissime o integrare con oneri a proprio carico l’assistenza insufficiente offerta dal sistema dei vouchers.

In questo caso, a ciò si ridurrebbe la tanto decantata libera scelta, punto forte del modello lombardo di sanità.

C'è un'altra ragione, inoltre, che dimostra, chiaramente, il carattere ideologico di queste politiche e conferma la necessità , da parte nostra, di contrastarle con forza.

Con questa scelta infatti la Regione Lombardia prosegue sulla strada di "liberare" il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dai compiti di cura e riabilitazione per costruire, anche attraverso questa strada, un sistema sanitario alternativo al modello pubblico universalistico perchè basato sulla privatizzazione spinta (che apre alla logica del profitto), sui fondi integrativi e sulle assicurazioni. Questa è la ragione vera di tali scelte che non troverebbero altrimenti alcuna spiegazione razionale tanto sono gravi oltre che assurde.

Nel caso di questa politica dei “vouchers”, per esempio, le due ASL scelte per questa sperimentazione sono quelle, a detta dello stesso Assessore e come risulta comunque dai dati oggettivi, in cui l’attuale servizio ADI offre il livello migliore di tutta la Regione. Perchè allora chiudere questo servizio ed assegnare la gestione ad altri soggetti, soprattutto privati profit e non profit? Una ragione è certamente quella come sappiamo, di tagliare la spesa sanitaria pubblica .

Ma essa è funzionale anche ad una sorta di scelta ideologica aprioristica (che soddisfa interessi economici precisi) ,cioè quella per cui bisogna comunque chiudere il servizio pubblico e affidare al privato e alla società la gestione di questi servizi anche se ciò comporterà, come in questo caso, un peggioramento del servizio

Del resto questa linea è esplicitata con chiarezza nella delibera di giunta che istituisce questa sperimentazione (attuando gli obbiettivi già indicati nel Piano Socio Sanitario Regionale) laddove si afferma testualmente che lo scopo del provvedimento è quello “dell’avvio del graduale trasferimento a soggetti pubblici e privati profit e non profit del ruolo di erogatori delle prestazioni domiciliari integrate attualmente svolto dalle ASL”.

Conseguentemente a questa scelta nella stessa delibera si opera un dirottamento di risorse verso questa politica e si decide di “destinare all'attivazione del “voucher socio –sanitario” nelle ASL delle province di Lecco e di Milano 3 parte delle risorse già finalizzate alla erogazione dei servizi di assistenza domiciliare integrata”.

Queste decisioni portano a compimento il processo di progressivo svuotamento delle ASL che dovrà concludersi, secondo i desideri della giunta, entro il 2005.

Ma la giunta regionale, con questa delibera, va oltre: non solo, cioè, svuota le ASL ma condizione fortemente le politiche sociali dei Comuni. . Da una parte, infatti, fa ricadere sui bilanci comunali l'onere della copertura dei costi dell'assistenza sanitaria domiciliare ( a chi potranno rivolgersi, infatti, i cittadini che non sono in grado di "comprarsi" il servizio con il solo voucher regionale nè di provvedere da soli all'integrazione?). Dall'altra, distribuisce le risorse previste dalla 328 (la legge Turco) solo a quei Comuni che adottano, a loro volta, la pratica dei buoni e vouchers sociali al posto del potenziamento dei servizi pubblici comunali.

E' evidente che questa politica di superamento del servizio pubblico acuisce la precarizzazione del lavoro mettendo a repentaglio i posti di lavoro pubblici e favorendo assunzioni atipiche e precarie senza alcuna garanzia del rispetto dei diritti ( almeno di quei pochi che sono rimasti!).

Non solo, attraverso l'erogazione dei buoni e dei vouchers assisteremo ad uno scadimento della qualità del servizio erogato. Si decideranno , per esempio, “a tavolino” il tipo , il numero e le ore delle prestazioni di assistenza domiciliare senza tenere in minimo conto che ci si rivolge a pazienti anziani in particolari condizioni che necessitano di rapporti umani significativi, e quindi di tempo e di disponibilità, oltre che di interventi tecnici!

Va da sè che il risultato di queste politiche sarà un peggioramento concreto delle condizioni di vita delle persone, a partire dalle donne in quanto maggiormente coinvolte nel lavoro di cura sia come “utenti” che come lavoratrici.

Dobbiamo costruire un'alternativa concreta a queste scelte sciagurate !

I comuni, se lo vogliono, possono giocare un ruolo importante rifiutando i diktat e aprendo il conflitto con la Regione, anche attraverso la stesura di Piani di Zona orientati al mantenimento e allo sviluppo dei servizi alla persona e non all'erogazione di buoni o vouchers e con la corretta informazione ai cittadini.

Al Consiglio Regionale si dovrà chiedere di pronunciarsi in modo argomentato e documentato sull'opportunità di estendere a tutta la Regione questa sperimentazione (estensione che invece è prevista in modo automatico dalla delibera istitutiva a partire dal 1/1/2003).

E’ importante promuovere e sviluppare tutte le forme possibili di mobilitazione sociale a partire dal sostegno alla proposta di legge regionale di iniziativa popolare che sarà discussa entro fine anno in Consiglio, a favore dei malati cronici non autosufficienti. Proposta che prevede, tra l’altro il potenziamento e la qualificazione di un adeguato sistema pubblico di assistenza domiciliare integrato e di ospedalizzazione a domicilio.

Fulvio Aurora, Nicoletta Pirotta, Pippo Torri
Milano, 10 ottobre 2002