“se non sei più che certo di tutte le conseguenze di quel che stai per fare, non farlo”

Ritorno al nucleare? No, l’unica via d’uscita è consumare meno

Prende sempre più piede l’idea che, rispetto a quei danni, i rischi del nucleare per fughe di radiazioni e per le scorie che non si sa dove mettere rappresentino un male minore

E' la paura delle nubi di smog e dell’effettoserra che porta a pensare a questo ritorno. Rischioso e tardivo.

Ricordiamo: da noi la paura per la fuga radioattiva di Chernobyl portò al referendum del 1987 e all’abbandono del nucleare, che allora salvo poche eccezioni (la Francia, la Svizzera) subì una battuta d’arresto nel mondo. Adesso il vento è cambiato. Interessi industriali a parte (ci sono anche quelli ovviamente) pesano le preoccupazioni per l’inquinamento atmosferico che avanza a gran passi - le nubi di smog sull’India e la Cina di cui ci ha parlato Sabina Morandi - e le paure per l’effetto-serra. Svanite le illusioni sul Protocollo di Kyoto (che prevedeva riduzioni delle emissioni di gas troppo blande e diluite nel tempo, che gli Usa non hanno firmato, che anche chi l’ha firmato si guarda bene dal mettere in atto) prende sempre più piede l’idea che, rispetto a quei danni, i rischi del nucleare per fughe di radiazioni e per le scorie che non si sa dove mettere rappresentino un male minore. Perfino il guru ambientalista James Lovelock - quello di “Gaia il pianeta vivente” - su The Indipendent del maggio scorso s’è detto a favore del nucleare come meno-peggio. E dato che, ben che vada, le fonti solari “pulite e rinnovabili” non ce la faranno per chissà quanto tempo a rimpiazzare petrolio e carbone, non ci resterebbe che scegliere tra la padella e la brace. Una brutta scelta, ovviamente. In gran parte fittizia, tra l’altro. Perché delle tecnologie del “nucleare sicuro” (spegnimento automatico dei reattori in caso di guasti etc.) non si parlerà, a quanto sembra, prima del 2030. Perché con le tecniche d’oggi per fare nuove centrali ci vogliono da cinque anni in su. Perché in tutti i casi il passaggio dall’attuale 19% mondiale di elettricità “prodotta dall’atomo” al 50% non potrà esser raggiunto prima del 2050, e se nel frattempo non saremo riusciti a frenare carbone e petrolio l’effetto-serra e lo smog saranno arrivati a livelli tali che non ci sarà più niente da fare. E perché il problema delle scorie (radioattive per millenni) nessuno l’ha ancora risolto.

Per inciso: è ancora viva l’eco della protesta di Scanzano Jonico sul cui territorio il governo voleva seppellire le scorie dei siti nucleari italiani chiusi nell’87. L’hanno avuta vinta, e sta bene: il problema però ce lo troviamo ancora davanti irrisolto. Francamente: l’idea che si finisca per seppellire quelle scorie in una qualche vecchia miniera da dove - magari a distanza di secoli - possano tornare a galla per un qualunque accidente a seminare disastri, tanto allegra non è.

... E qui va ricordato il “principio di responsabilità” di Hans Jonas: quello che - di fronte a novità tecnologiche di cui non si sia in grado di valutare gli effetti - dice così: “se non sei più che certo di tutte le conseguenze di quel che stai per fare, non farlo”. Un principio che a rigor di logica dovrebbe valere tanto più quanto più è lontano il futuro cui si riferisce: “se per un vantaggio d’oggi si rischia di lasciare un’eredità di guai alle generazioni a venire, meglio non farne niente”. Anche se è vero che quel rischio c’è sempre. Ogni volta che avvio il motore dell’auto danneggio il futuro con le emissioni di gas. Ma innescare oggi bombe capaci di esplodere tra secoli e secoli... Quello che è troppo è troppo. A meno che... ... A meno che del futuro a noialtri non ce ne importi più niente. Che siamo intimamente convinti di essercelo ormai già giocato, il futuro. Se così fosse niente di quel che potremmo fare o non fare avrebbe più senso... Un’idea che va rifiutata. Come ambientalisti non ci possiamo stare. Anche perché siamo ancora convinti che una via d’uscita - se pure maledettamente dura e difficile - a volerla percorrere, c’è. La sola ricetta possibile è consumare meno energia.

E così non sarà il nucleare a risolvere i nostri problemi. Ma allora? Attenzione: la tesi di Lovelock (il nucleare come meno-peggio) ha come presupposto il rifiuto di qualunque rinuncia ai consumi energetici d’oggi. E’ qui che il discorso non regge. Perché, nucleare o petrolio, la verità è che non si può andare avanti consumandone tanta e sempre di più, di energia.

D’accordo, facciamo ogni sforzo per incrementare le fonti naturali e pulite. D’accordo, speriamo che Carlo Rubbia col suo “progetto Archimede” di concentrazione dei raggi solari risolva qualcosa. D’accordo magari con l’idea di tappezzare il Deserto del Sahara di celle fotovoltaiche. D’accordo su puntare di più sull’idrogeno a dispetto dei limiti e delle difficoltà... Tutto questo però senza mai dimenticare tre cose. La prima è che produrre con tutti questi sistemi messi insieme quantità di energia pari a quelle di petrolio- e-carbone è illusorio.

La seconda è che anche le fonti pulite in dosi massicce provocano alterazioni ambientali. La terza è che anch’esse si basano su attrezzature prodotte con lavorazioni industriali: il che significa che prima di cominciare a produrre energia “pulita” provocheranno consumi maggiori di energia “sporca” per fabbricare gli impianti. Quel che cerco di dirvi - sapendo di dire cose spiacevoli - è che nessuno di questi discorsi avrà senso se non sarà unito all’impegno di consumare molta meno energia. Che vuol dire, in sostanza, imparare a vivere in un modo diverso. Gira e rigira, sta lì la speranza di garantirci un futuro.

Discorso, anche questo, che se ne porta appresso molti altri. Il primo riguarda la scelta del “ciclo corto”: del contrapporre al viavai planetario di merci - coi suoi giganteschi consumi energetici e contributi all’effettoserra - la scelta di produrree- consumare sul posto per risparmiare energia nei trasporti (oltre che per recuperare autonomia, identità, “sovranità alimentare” e quant’altro). Il secondo riguarda i paesi che di energia ne consumano poca e avranno comunque bisogno di consumarne di più: il che per noi comporta l’impegno a consumarne di meno per lasciarne più a loro, e per loro la necessità di adottare modelli di consumi diversi dai nostri: quelli che Serge Latouche definisce “conviviali, autonomi, economi... di sintesi fra tradizione perduta e modernità inaccessibile”. Il terzo sta nella maggior possibile eliminazione degli sprechi energetici. Il quarto sta nei cambiamenti di fondo del nostro modo di vivere: sacrifici e rinunce. Discorso particolarmente scomodo, quest’ultimo, perché entra in contrasto diretto con le nostre più inveterate abitudini. E che per giunta nessun politico ha voglia di fare perché fa perdere voti. Ciononostante...

Guardiamoci in faccia. Raul Mordenti ci richiamava giorni addietro all’impegno rivoluzionario. Ma che rivoluzionari saremmo se avessimo paura dei discorsi scomodi?... In tutti i casi - per riproporre l’argomento nel modo più “soft” - rubo ancora a Sabina Morandi un titolo dell’estate scorsa: “Pensate alla salute, spegnete il condizionatore! ”... E dire che trent’anni fa in casa nessuno lo aveva e bene o male si campava lo stesso: magari con qualche raffreddore di meno.

Fabrizio Giovenale
Roma, 4 dicembre 2004
da "Liberazione"