La riforma Moratti sacrifica al mercato l'istruzione pubblica, laica e plurale

Scuola, un balzo indietro di quarant'anni

Approvata la (contro)riforma Moratti

Adesso che la riforma Moratti è formalmente legge dello Stato, la scuola pubblica rischia di essere travolta da un processo regressivo di destrutturazione e di impoverimento senza precedenti. L'Italia, come il resto dei paesi Ue, è interessata da una controriforma neoliberista che ha visto negli ultimi anni sacrificare sull'altare del mercato e della competizione privata il primato della scuola pubblica, laica e plurale, l'universalità del diritto allo studio, favorendo anche attraverso i finanziamenti pubblici il consolidamento di un sistema d'eccellenza privato subalterno al pensiero unico.

Si inserisce in questo contesto la scelta di uno strumento come quello della delega, ampia e indeterminata, che lascia le mani libere al governo per intervenire a modificare le norme generali sull'istruzione sottraendo la riforma ad un democratico confronto parlamentare e nel paese.

E come se ciò non bastasse, il progetto della Moratti non ha oggi una copertura finanziaria e consegna al ministro dell'Economia e delle Finanze Tremonti l'applicazione graduale della riforma che getterà ancor più nel caos la scuola pubblica. E' un contesto di attacco generale ai diritti del lavoro, dello stato sociale che rivendica per lo Stato soltanto lo spazio dei livelli minimi. Tutto spinge infatti per una riduzione dei contenuti, della qualità, dei tempi dell'istruzione che invece dovrebbe essere garantita a tutte e a tutti e per tutto l'arco della vita; verso una sottrazione delle risorse e di diritto di cittadinanza per la scuola. Una scuola ridotta al minimo, povera, una scuola che divide, una scuola piegata ai particolarismi e ad un modello confessionale ed etico.

Questo governo considera l'istruzione una merce che può essere acquistata dalle famiglie sulla base delle disponibilità economiche. Considera l'istruzione non come un diritto, ma come un bene di consumo, considera la scuola non più un diritto della persona ma un servizio a domanda individuale, organizzato in modo gerarchizzato e competitivo. Una scuola completamente subalterna al mondo dell'impresa e che fa dell'impresa per accezione luogo formativo. Questo ci dice, infatti, l'introduzione di una precoce scelta a 13 anni tra formazione e istruzione, l'abbassamento dell'obbligo scolastico, la manomissione costituzionale del principio giuridico dell'obbligo scolastico, trasformato in un diritto-dovere di cui si può usufruire. La scuola diventa dunque luogo di separazione dei diritti e dei destini sociali: i figli dei ricchi la classe dirigente del futuro; gli altri in pasto al mercato, bruciando energie, intelligenze, vocazioni di ragazzi e ragazze delle classi sociali più deboli. Questa è la scuola che addestra i più piccoli e prepara precocemente la futura massa di lavoratori flessibili.

In un contesto generale di attacco ai diritti del lavoro, l'indebolimento della libertà di insegnamento, lo stravolgimento di quelle certezze di norme e di diritti acquisiti configura per gli insegnanti e per il personale Ata soprattutto, quello del precariato, l'esplicito disegno della chiamata diretta; sappiamo infatti che dietro l'apparente neutralità di termini quali valorizzazione professionale, si celano ipotesi di stratificazione degli insegnanti, interventi sullo stato giuridico e sulla retribuzione, questioni riservate alla contrattazione fra le parti. La legge finanziaria 2003 e gli interventi legislativi di questo governo hanno dimostrato tutta l'intenzione di proseguire nella politica di disinvestimento e di dequalificazione della scuola pubblica.

Lo stesso si può dire per quanto sta accadendo sul terreno del rinnovo contrattuale del comparto scuola, dove si sconta l'assoluta inadeguatezza degli stanziamenti economici, rispetto alle richieste di equiparazione dei livelli retributivi degli insegnanti italiani a quelli europei. Il personale docente e non docente della scuola attendeva ben altre riforme: soprattutto quella di un riconoscimento anche sul piano economico del loro ruolo sociale e culturale, riconoscimento che questa riforma vanifica gettando il mondo della scuola in una condizione di precarietà permanente.

Ad un progetto che riporta la scuola indietro di 40 anni, Rifondazione comunista ha contrapposto un'idea, una proposta di rilancio della scuola pubblica: estensione dell'obbligo scolastico a 18 anni, estensione del ciclo secondario contro l'ipotesi di una separazione dei percorsi scolastici, unitarietà del sistema nazionale dell'istruzione, l'inserimento a pieno titolo del segmento educativo della scuola dell'infanzia, l'eliminazione di ogni ambiguità nel rapporto fra istruzione e formazione professionale.

Con le nostre proposte, formulate nell'unica relazione di minoranza presentata alla Camera, abbiamo caratterizzato la battaglia dell'opposizione indicando una alternativa proprio a partire dai punti nevralgici di questa riforma; quello sui cicli, dove le differenze tra noi e le altre forze dell'opposizione rimangono. Non abbiamo condiviso infatti la scelta del centro sinistra di confermare nel dibattito contro la riforma Moratti l'impostazione di fondo di quella riforma Berlinguer che ha aperto molti, troppi varchi alle proposte di questo governo.

A questi errori, a questi limiti, non è più possibile oggi sottrarsi nella battaglia a difesa della scuola pubblica. Abbiamo voluto far vivere l'idea di un'altra scuola possibile che continueremo a far crescere nel paese, a partire dalle mobilitazioni dei prossimi giorni contro i Gats, i trattati che di fatto accelerano i processi di privatizzazione della scuola e della cultura in tutta Europa, sui contratti dei lavoratori della scuola. Si svolgeranno nelle prossime settimane manifestazioni importanti che attraverseranno il paese e chiameranno alla partecipazione tutto il mondo della scuola.

Noi ci saremo, sappiamo che per battere questo modello di scuola dobbiamo ridare voce, autorevolezza, speranza ed alternativa agli studenti, agli insegnanti, al personale tecnico e amministrativo, nella loro unitarietà per una riforma democratica, dal basso fondata sull'autogoverno della scuola pubblica. Questo è il nostro percorso, la via su cui possiamo sfidare le destre, la strada di una vera e radicale alternativa.

Titti De Simone
Roma, 20 febbraio 2003
da "Liberazione"