Entro marzo 2005 i decreti attuativi della legge 53/2003 dovranno essere tutti operativi altrimenti la Moratti perderà la delega fornita dalla legge suddetta. Il decreto attuativo relativo alla scuola Secondaria è quello più impegnativo e che quindi richiederà molti passaggi prima di essere pubblicato sulla gazzetta ufficiale, per cui se la ministra vuol avere delle probabilità di fare in tempo dovrà entro settembre 2004 sfornare la prima stesura del decreto.
Per ora le uniche cose certe, oltre a quanto previsto espressamente dalla
legge che riproduciamo sotto, sono gli elementi comuni a tutto il ciclo dell’istruzione
e precisamente: la riduzione dell’orario obbligatorio delle lezioni
a 27 ore settimanali, il tutor, il portfolio ed i percorsi “personalizzati”
. Infatti anche nella nuova Secondaria è previsto un tutor, cui sarà affidata
la “responsabilità del processo educativo” e che dovrà, in accordo
con famiglie e studenti, tracciare i percorsi personalizzati. Così com’è
previsto il Portfolio nel quale oltre ai docenti anche studenti e genitori
annoteranno osservazioni. Anche qui, dunque, un docente concentrerà su di
sé una responsabilità che dovrebbe appartenere a tutti
gli insegnanti. Per quanto riguarda la scuola primaria la Moratti ha già inviato
un atto d’indirizzo all’ARAN dove si chiarisce che il tutor non
sarà una nuova figura professionale, ma semplicemente uno che scippa le mansioni
agli altri docenti e per questo “servizio” verrà incentivato col
fondo d’istituto (salario accessorio). Il tutor dovrà assicurare, nei
primi tre anni, un’attività di insegnamento non inferiore alle 18 ore
settimanali, le restanti vanno riservate all’esercizio delle funzioni
scippate agli altri docenti. Possiamo facilmente presumere che riguardo al
tutor analoga scelta sarà fatta dal MIUR per la scuola superiore.
Questo è quanto è già stato elaborato dalla commissione predisposta dalla
Moratti e presieduta da Giuseppe Bertagna.
Risulta evidente dal testo della legge che la controriforma elimina gli
attuali istituti tecnici ed apparenta gli attuali istituti professionali di
stato alla formazione professionale delle regioni.
Questa impostazione estremamente classista comporterà per l’allievo
una scelta prematura a 13 anni tra il percorso liceale-universitario ed il
mondo del lavoro. Questa però non è tutta farina del sacco della Moratti,
infatti la divisione dell’Istruzione superiore in due canali (uno dell’Istruzione
e l’altro dell’Istruzione e formazione professionale) era stata
anticipata da una modifica costituzionale che il Governo di Centro-sinistra
aveva votato poco prima della scadenza del mandato parlamentare.
Il 7 Ottobre 2001 si è svolto un referendum confermativo, per cui la legge
costituzionale 17 Ottobre 2001 n. 3, di cui sotto riportiamo l’articolo
che interessa l’istruzione e la formazione professionale, è diventata
efficace a tutti gli effetti..
1. L’articolo 117 della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Art. 117. - La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali
e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero;
tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni
scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
…
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa,
salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia
non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Quindi la Legge Costituzionale 3/2001 affida l’istruzione alla legislazione
concorrente e l’Istruzione e Formazione professionale alla legislazione
esclusiva delle Regioni. Bisogna riconoscere tuttavia che, anche se questa
modifica costituzionale ha facilitato l’operazione morattiana di eliminazione
degli istituti tecnici, questa eliminazione non è certamente del tutto consequenziale
a tale legge ma dipende anche da altri fattori che possiamo così riassumere:
La Moratti nella sua opera distruttrice degli istituti tecnici per ora ha
trovato due ostacoli: i sindacati di base e la Confindustria. Mentre l’opposizione
dei sindacati di base a tale disegno è ovvia, altrettanto non è scontata quella
di Confindustria, per cui ci soffermiamo a chiarire questo punto.
La Confindustria è perfettamente consapevole che gli attuali istituti tecnici
sono l’asse portante della scuola superiore in Italia (36,7% di allievi
iscritti) e che un arretramento culturale dei tecnici, o peggio la loro sparizione,
comporterebbe grossi problemi, soprattutto per la reperibilità dei quadri
intermedi necessari alla produzione. La posizione della Confindustria è emersa
chiaramente ed ufficialmente al Convegno “Capitale umano, qualità, competitività”,
organizzato il 20 aprile a Vicenza dalla stessa Confindustria e dall’Associazione
industriali, con al centro la questione degli istituti tecnici. A tale Convegno
doveva partecipare anche la Moratti e quindi chiarire le intenzioni del MIUR
sullo scottante argomento, ma all’ultimo momento la ministra ha preferito
defilarsi, ufficialmente prima per “motivi di sicurezza”(erano
previste contestazioni in suo onore), poi, vista la risibilità del pretesto,
“per importantissimi impegni istituzionali” ma in realtà perché
non aveva delle risposte convincenti da dare. Al suo posto ha parlato il sottosegretario
Maria Grazia Siliquini che non ha sciolto alcun nodo sull’argomento.
La Moratti ha comunque fatto sapere che “esaminerà con attenzione il
rapporto che verrà presentato nel corso del convegno e in particolare le proposte
sugli istituti tecnici”.
“Voglio sottolineare comunque- continua la nota pervenuta dal MIUR –
che, né per quanto riguarda i licei, né per quanto riguarda l’istruzione
e la formazione professionale, finora è stata presa alcuna decisione. Assicuro
che sarà ampiamente valorizzato il patrimonio degli istituti tecnici, alla
luce anche dei risultati raggiunti con il tavolo tecnico MIUR-Confindustria.”
La Confindustria denuncia il fatto che gli istituti tecnici non stanno nella
logica “duale” della Moratti, che demarca nettamente il confine
tra i percorsi liceali e quelli di istruzione e formazione professionale e
rimarca anche che proprio gli istituti tecnici che hanno le migliori performance
occupazionali, sono gli stessi che ottengono i risultati migliori per i loro
allievi che si iscrivono all’università.
La proposta di Confindustria va quindi nella direzione di mantenere l’attuale
vasta articolazione di indirizzi dei tecnici nei futuri licei tecnologici
ed economici, in contrapposizione alla logica duale su esposta, il cui ispiratore
è notoriamente Bertagna. Inoltre questi licei tecnologici dovrebbero situarsi
in veri e propri “poli” (tecnologici o economici), dove funzionerebbero,
oltre ai licei, anche percorsi di istruzione e formazione professionale (triennali
e quadriennali), corsi serali, formazione continua e corsi post diploma in
collaborazione con le Università locali e le imprese.. Ciò, secondo Confindustria,
favorirebbe il passaggio da un canale all’altro (con passerelle interne),
ottimizzerebbe l’uso dei laboratori e sarebbe occasione di arricchimento
professionale per i docenti che diverrebbero in parte interscambiabili.
Il primo biennio dei licei tecnologici ed economici sarà unitario e l’orario
settimanale di 30/32 ore, comprensive di quota nazionale e locale.
Per dimostrare che la cosa è possibile ed anzi auspicabile, durante il Convegno
di Vicenza, il presidente dei giovani imprenditori veneti Giuseppe Zigliotto
ha illustrato un progetto relativo ai “poli”.
L’iniziativa è stata promossa dall’Associazione industriali veneti
che ha coinvolto, nello studio e nella progettazione di questa proposta da
sottoporre al MIUR, i dirigenti dei più rappresentativi istituti tecnici del
Veneto. Ad un tavolo di lavoro cui hanno partecipato funzionari dell’Associazione,
dirigenti scolastici e docenti, si sono confrontate idee e ragionamenti per
poi giungere ad una proposta comune e condivisa. Questa proposta, pur nascendo
da una realtà veneta, ha l’ambizione di proporsi come modello nazionale.
I licei scientifici continuerebbero a rimanere tali, cioè licei “generalisti”,
con vocazione solamente universitaria, mentre i Poli tecnologici sarebbero
di indirizzo e prevedrebbero varie possibilità di sbocco come prima esposto.
Ovviamente non avrebbe senso, per Confindustria, pensare a tanti poli quante
sono le scuole, si renderebbe necessaria una riprogettazione dell’offerta
formativa nel territorio, cioè in pratica un nuovo dimensionamento con accorpamenti
e fusioni. Inoltre è prevista all’interno del Consiglio d’Istituto
la presenza di rappresentanti della regione e del mondo produttivo per valorizzare
il raccordo con il territorio.
Di fronte all’obiezione che in uno stesso Polo difficilmente potrà convivere
personale dipendente dallo stato (liceo tecnologico) e personale dipendente
dalla regione (istruzione e formazione professionale) Confindustria risponde
che non è un problema, visto che la decentralizzazione in atto investirà tutto
il sistema dell’istruzione, come prevede il titolo V della Costituzione.
Viene comunque prevista nel progetto la possibilità da parte del Dirigente
scolastico di nominare direttamente esperti esterni.
All’interno dei poli tecnologici troverebbero spazio le seguenti 8 aree
d’indirizzo: elettronica-meccanica e automazione, energia ed impianti,
informatica e comunicazione, chimica e biologia, risorse agroalimentari ed
ambientali, tessile-moda–calzature e accessori, edilizia e territorio,
trasporti e logistica.
All’interno dei poli economici, che costituiranno il riferimento per
il terziario amministrativo, aziendale, commerciale e turistico, è previsto
il liceo economico con struttura ad Y uguale a quella del liceo tecnologico
e suddiviso nei seguenti indirizzi: Amministrazione e controllo; comunicazione
e marketing, gestione e servizi per il turismo.
In sintesi questi dovrebbero essere gli elementi caratteristici dei poli:
“Sedi comuni o anche fisicamente staccate, purché integrate; sistema
garantito ed automatico di passaggio tra i diversi sistemi e percorsi (“passerelle”);
orari coordinati e compatibili al raccordo; laboratori in comune per una loro
ottimale valorizzazione e utilizzazione; docenti in parte interscambiabili;
aggiornamento dei docenti con esperti esterni in comune; attività di cultura
d’impresa e rapporto scuola-lavoro (orientamento, visite aziendali,
stage, impresa virtuale, alternanza scuola-lavoro, ecc.) in comune o almeno
parzialmente comprese nell’orario curricolare; collaborazione continuativa
e organica con le Università e le aziende del territorio; coordinamento didattico
ed organizzativo tramite un CTS, Comitato Tecnico Scientifico (con rappresentanza
delle diverse istituzioni formative, delle imprese, enti locali e forze sociali
del territorio) e/o presenza all’interno del Consiglio di Istituto di
un rappresentante della Regione e di un rappresentante del settore produttivo
di riferimento per valorizzare il raccordo con il territorio; sistema di trasporti
rispondente alle esigenze”.
Oltre alla Confindustria sul problema dei tecnici si sono mosse anche alcune
forze politiche e si è formato un partito trasversale che va da alleanza nazionale
ai democratici di sinistra che tende a ridurre il danno rimanendo però all’interno
della legge 53. La posizione di Valditara riassume bene questa tendenza.
La proposta di Valditara (responsabile scuola di A.N.) in parte si interseca con quella di Confindustria, in parte si diversifica. Infatti mentre da una parte si pone l’accento sulla differenza tra licei “generalisti” che preparano ai futuri studi universitari e licei “vocazionali”, come il tecnologico e l’economico, che preparano sia per il proseguimento degli studi che per l’ingresso in azienda, dall’altra si chiarisce che tale diversificazione serve semplicemente a rendere i futuri licei tecnologici eredi degli attuali istituti tecnici , perché “sarebbe un errore se una parte prevalente dell’attuale istruzione tecnica o economica dovesse passare alle regioni nell’ambito della istruzione professionale”.
La sorte degli istituti professionali e cioè il loro passaggio alle regioni
sembrava segnata sin dai tempi di Berlinguer, tant’è vero che fino ad
ora nessuna voce istituzionale si è levata in loro soccorso. Dopo l’incontro
che si è tenuto l’8 giugno tra MIUR, rappresentato da Aprea e Siliquini,
ed i rappresentanti del mondo del lavoro e delle professioni (Associazioni,
Confederazioni, Ordini e Collegi professionali) è rinata qualche speranza
anche per i professionali.
Riportiamo di seguito il commento dell’autorevole rivista Tuttoscuola
sull’incontro:
“Non è ancora chiaro se sara’ totalmente o parzialmente accolta
la proposta avanzata negli ultimi mesi da AN, e con qualche variante anche
dalla Confindustria, di canalizzare il grosso degli istituti tecnici verso
gli almeno 11 indirizzi nei quali si articolerebbero il liceo tecnologico
(8 indirizzi) e il liceo economico (3 indirizzi).
Pero’ si fanno consistenti gli elementi che inducono a ritenere che
questa sara’ la strada lungo la quale si avviera’ il Miur. Le
pur scarne indicazioni che si ricavano dal comunicato del Ministero dell’8
giugno portano infatti in questa direzione. Il comunicato, nel riassumere
i risultati dell’incontro dei sottosegretari Aprea a Siliquini con i
rappresentanti del mondo delle professioni (ordini e collegi professionali),
sottolinea che “il dibattito ha evidenziato (.) la necessita’
di valorizzare l’istruzione tecnica nel nuovo sistema dei licei e la
formazione professionale nel nuovo sistema dell’istruzione e formazione
professionale”.
Da notare che il comunicato parla di “formazione professionale”,
non di “istruzione professionale”.
Questo lascia pensare che tra gli indirizzi dei costituendi licei tecnologico
ed economico potrebbero trovare spazio il grosso degli istituti tecnici nonche’
degli attuali istituti professionali di Stato, che con il “Progetto
’92", e ancor piu’ con il “Progetto 2002”, hanno accentuato
gli elementi di analogia con i corrispondenti istituti tecnici.
Il ministro Moratti non si sarebbe ancora espresso nel merito, ma l’analisi
del contenuto del comunicato rafforza il convincimento che si vada verso un
modello di secondo ciclo nel quale i due sistemi - “istruzione”
e “istruzione e formazione professionale” - si porrebbero in qualche
modo in continuita’ con le esperienze passate: quelle scolastiche a
sviluppo quinquennale da una parte, e quelle della formazione professionale
regionale dall’altra, con i correttivi portati dalla sperimentazione
in corso sui corsi triennali di qualifica.”
Comunque l’eventuale trasformazione degli Istituti tecnici e professionali
in Licei Tecnologici non può avvenire né solo con la delibera dei Collegi
dei docenti, né solo con l’avallo del Ministero. E’ la Regione
che, grazie al Dlg 112, decide la distribuzione dell’Offerta formativa
sul territorio. Quindi la decisione definitiva su quanti licei potranno esprimere
i vari territori regionali è dei Governi regionali.
Come interagiranno il sistema dei Licei ed il sistema dell’Istruzione
e formazione è chiarito dalle “Indicazioni nazionali per i Piani di
Studio Personalizzati del sistema dell’istruzione liceale” (Documento
di lavoro per la commissione ministeriale) di cui sotto riproduciamo il passaggio
più importante:
“Il secondo ciclo di istruzione e di formazione si compone del sistema
dei Licei e del sistema regionale degli Istituti dell’istruzione e formazione
professionale.
Ambedue mettono al centro delle proprie preoccupazioni l’armonica ed
integrale maturazione degli studenti e delle studentesse.
I due sistemi sono diversi per natura, scopi e durata, ma, allo stesso tempo,
sono complementari e di pari dignità qualitativa. Per questo «è assicurata
e assistita la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema
dei licei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell’istruzione
e della formazione professionale, e viceversa, mediante apposite iniziative
didattiche, finalizzate all’acquisizione di una preparazione adeguata
alla nuova scelta»; e inoltre, «la frequenza positiva di qualsiasi segmento
del secondo ciclo comporta l’acquisizione di crediti certificati che
possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente
interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi» di istruzione e di formazione
(art. 2, co. 1, punto i della legge delega n. 53/03).
Per l’intera durata del secondo ciclo di istruzione e di formazione,
quindi, sono assicurate e garantite le possibilità di riorientamento degli
studenti, sia all’interno del sistema dei Licei, sia tra il sistema
dei Licei e quello degli Istituti dell’istruzione e formazione professionale,
grazie, in particolare, al supporto dei Laboratori per l’Approfondimento,
il Recupero e lo Sviluppo degli Apprendimenti (Larsa), istituiti a livello
di rete territoriale.
Sulla carta quindi una possibilità di passerelle in entrambi i sensi che in
realtà si trasformerà in un senso unico, visto l’enorme dislivello tra
i due sistemi e quindi la notevole difficoltà di un allievo dell’istruzione
e formazione professionale a “riorientarsi” verso il liceo.
Gli 8 licei saranno articolati in due bienni e in un ultimo anno che si
conclude con l’esame di stato. Questo il loro ruolo:
Le regioni, confortate dalla modifica del titolo V della costituzione, dall’art.
138 del Dlgs 112/98 e dalla sentenza n°13 che la Corte Costituzionale ha emesso
il 13/1/04, a seconda del loro colore politico si sono lanciate in operazioni
“legislative” chi di totale anticipo dell’applicazione della
legge (Lombardia) chi di parziale boicottaggio (Emilia Romagna).
Certamente l’entrata in campo delle regioni nella stesura del decreto
attuativo sul superiore sarà uno degli ostacoli più grossi da superare per
la Moratti.
Al fine di rendere più chiaro il loro ruolo riportiamo di seguito la normativa
sopra citata:
Il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n° 112, che all’art. 138 recita:
“Ai sensi dell’art. 118, comma secondo, della Costituzione, sono
delegate alle regioni le seguenti funzioni amministrative: a) la programmazione
dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale;
la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità delle
risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali,
assicurando il coordinamento con la programmazione di cui alla lettera a);
la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati,
del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta
formativa; la determinazione del calendario scolastico; i contributi alle
scuole non statali; le iniziative e le attività di promozione relative all’ambito
delle funzioni conferite…”.
La sentenza della Corte Costituzionale n° 13 del 13 gennaio 2004, emessa a
seguito di un ricorso dell’Emilia Romagna afferma che spetta al governo
delle Regioni (e quindi all’Assessore specifico) e non alla Direzione
regionale (rappresentante dell’amministrazione scolastica statale) la
distribuzione del personale sul territorio. Ecco la parte saliente della sentenza:
“Tutto ciò non è più possibile nel quadro costituzionale definito dalla
riforma del Titolo V, giacché la materia istruzione (“salva l’autonomia
delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione
professionale”) forma oggetto di potestà concorrente (art. 117, terzo
comma, Cost.), mentre allo Stato è riservata soltanto la potestà legislativa
esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione”
[art. 117, secondo comma, lettera n)]. […]
Una volta attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il riparto
imposto dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica
e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia
solo quello di fissare principî. E la distribuzione del personale tra le istituzioni
scolastiche, che certamente non è materia di norme generali sulla istruzione,
riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa
alla programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza regionale,
non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero
allo Stato; sicché, anche in relazione ad essa, la competenza statale non
può esercitarsi altro che con la determinazione dei principî organizzativi
che spetta alle Regioni svolgere con una propria disciplina.”
Come si evince dalla citata normativa la programmazione dell’offerta
formativa sul territorio e gli organici saranno di pertinenza più del Governo
delle Regioni che dello Stato. Come e in quali tempi questo avverrà non è
dato sapere.
Comunque in Lombardia, già si prevede una gestione addirittura provinciale
e comunale del personale docente. In Emilia Romagna invece non si vorrebbe
tanto gestire il personale, quanto decidere l’effettivo numero di docenti
necessario nelle scuole della regione. Il fatto di doversi assumere l’onere
del pagamento degli stipendi del personale della scuola per ora ha bloccato
di fatto le recriminazioni della maggior parte delle regioni.
La Regione Lombardia ha predisposto una proposta di legge regionale che, pur rimanendo nel solco della riforma Moratti tende, almeno in teoria, a nobilitare il sistema dell’istruzione e formazione professionale. Infatti, oltre agli otto licei, il nuovo sistema educativo regionale prevede quattro percorsi formativi,tutti parificati agli standard europei:
Dopo 4 anni di studi sarà possibile sostenere l’esame di maturità,
utile anche per entrare all’università (o all’alta formazione)
purché si frequenti un corso annuale integrativo. I titoli su esposti potranno
essere conseguiti anche attraverso percorsi di apprendistato.
I LARSA permetteranno in ogni momento di passare da un sistema all’altro.
Gli istituti tecnici diventeranno dei “laboratori di eccellenza che
continueranno a rilasciare diplomi validi per l’università e per la
scuola universitaria professionale” asserisce l’assessore regionale
Alberto Guglielmo. In realtà il progetto di legge regionale non scioglie l’enigma
del destino dei tecnici, infatti l’assessore sembrerebbe includerli
nel canale dell’istruzione e formazione professionale, dimenticandosi
però che la legge 53 non prevede per questo canale la possibilità di rilasciare
diplomi validi per l’università. Comunque da settembre partirà una sperimentazione.
In realtà la Moratti ha già iniziato la controriforma del superiore attraverso i decreti attuativi su alternanza scuola lavoro e diritto- dovere allo studio.
Con questo titolo il sole 24 ore, organo ufficiale della Confindustria, preannunciava
l’approvazione in sede di Consiglio dei ministri il 21 maggio del decreto
sull’alternanza scuola-lavoro, uno dei tanti previsti dalla legge 53.
Questo decreto, scritto direttamente dalla Confindustria, è complementare
all’aziendalizzazione della scuola pubblica introdotta dal precedente
governo di centrosinistra con la legge sull’autonomia scolastica e conclude
il percorso.
Infatti se si entra nell’ottica che una scuola può funzionare come un’azienda,
col dirigente-manager ed il suo “staff”, il consiglio d’amministrazione,
i caporeparto (le funzioni strumentali) ed i docentioperai allora, ribaltando
il ragionamento in modo speculare, anche un’azienda può funzionare da
scuola e così sarà se non li fermiamo in tempo.
Gli allievi di tutte scuole superiori a 15 anni potranno scegliere tra le
lezioni in classe e la possibilità di imparare lavorando in azienda e le ore
trascorse sul posto di lavoro saranno considerate interne al “tempo
scuola”. Non viene posto alcun limite a questa permanenza se non quello
che risulterà dagli accordi stipulati direttamente tra le scuole e le aziende
o enti presso i quali gli studenti si recheranno al lavoro, ovviamente gratis
(non solo, ma le aziende per questo verranno anche incentivate dallo stato).
A dimostrazione della perfetta pariteticità tra scuola e azienda ci sarà per
lo studente un doppio tutoraggio: un tutor designato dalla scuola ed uno designato
dall’azienda.
L’altro decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 21 maggio
riguarda il cosiddetto “dirittodovere” all’istruzione che
prende il posto dell’obbligo scolastico. Al comma 3 dell’art.1
è scritto che “La Repubblica assicura a tutti il diritto all’istruzione
e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento
di una qualifica entro il diciottesimo anno di età.”
A prima vista sembrerebbe un’estensione dell’attuale obbligo scolastico
ma in realtà è una regressione per le seguenti motivazioni:
In fase di approvazione in Consiglio dei Ministri come ultima novità è stata introdotta la possibilità di assolvere il diritto-dovere arruolandosi nelle forze armate che diventano agenzia formativa a tutti gli effetti.
L’Unicobas giudica l’imposizione a 13 anni della scelta duale
tra licei e formazione professionale come l’aspetto più classista della
controriforma della Moratti: tale scelta, praticamente irreversibile, verrà
fatta dalle famiglie in base alle loro possibilità economiche. Si vuol togliere
la possibilità di quella opzione intermedia che oggi è rappresentata dagli
istituti tecnici e che risulta tra l’altro la più apprezzata (36,7%
di iscritti a fronte di un 22,3% dei professionali e un 20% dei licei scientifici).
Estremamente negativi sono poi gli aspetti che riguardano la riduzione dell’orario
delle lezioni a 27 ore in tutti i tipi di liceo, compreso il tecnologico e
l’economico, il tutor che gerarchizza la categoria ed il portfolio che,
agganciato al libretto di lavoro, come richiede Confindustria, risulterà essere
una vera e propria schedatura preventiva da presentare al datore di lavoro.
Pertanto l’Unicobas, di fronte ad una controriforma che ha come unico
scopo quello di destrutturate e svilire la scuola pubblica, colpendo con particolare
brutalità i settori meglio funzionanti (scuola elementare ed istituti tecnici),
continuerà a lottare per salvaguardare l’attuale assetto della scuola
italiana, convinto che tutto può essere migliorabile, ma proprio per questo
per qualsiasi riforma deve valere la regola “primum non nocere”.
Quando comparirà all’orizzonte una riforma che rispetti questo elementare
e “sano” principio l’Unicobas la prenderà in considerazione
e intanto continuerà a lottare per l’elevamento dell’obbligo scolastico
a 18 anni, condizione indispensabile per una libera scelta. Le posizioni di
Confindustria e di A.N. possono essere in parte condivisibili per chi si pone
nella posizione di salvare il salvabile tramite emendamento dando per scontata
la validità generale della legge 53 ma proprio per questo risultano contraddittorie.
I Poli tecnologici rappresenterebbero una realtà talmente variegata e divergente
da rischiare l’esplosione, mentre la pura e semplice licealizzazione
dei tecnici produrrà uno loro snaturamento difficilmente reversibile.
Meglio adoperarsi per l’abrogazione della legge 53.