Il disastro Moratti non solo nella scuola dell'obbligo

La controriforma delle scuole superiori

Una controriforma che ha come unico scopo quello di destrutturate e svilire la scuola pubblica, colpendo con particolare brutalità i settori meglio funzionanti (scuola elementare ed istituti tecnici)

LA CONTRORIFORMA DELLE SUPERIORI: I TEMPI

Entro marzo 2005 i decreti attuativi della legge 53/2003 dovranno essere tutti operativi altrimenti la Moratti perderà la delega fornita dalla legge suddetta. Il decreto attuativo relativo alla scuola Secondaria è quello più impegnativo e che quindi richiederà molti passaggi prima di essere pubblicato sulla gazzetta ufficiale, per cui se la ministra vuol avere delle probabilità di fare in tempo dovrà entro settembre 2004 sfornare la prima stesura del decreto.

LA CONTRORIFORMA DELLE SUPERIORI: I MODI

Per ora le uniche cose certe, oltre a quanto previsto espressamente dalla legge che riproduciamo sotto, sono gli elementi comuni a tutto il ciclo dell’istruzione e precisamente: la riduzione dell’orario obbligatorio delle lezioni a 27 ore settimanali, il tutor, il portfolio ed i percorsi “personalizzati” . Infatti anche nella nuova Secondaria è previsto un tutor, cui sarà affidata la “responsabilità del processo educativo” e che dovrà, in accordo con famiglie e studenti, tracciare i percorsi personalizzati. Così com’è previsto il Portfolio nel quale oltre ai docenti anche studenti e genitori annoteranno osservazioni. Anche qui, dunque, un docente concentrerà su di sé una responsabilità che dovrebbe appartenere a tutti gli insegnanti. Per quanto riguarda la scuola primaria la Moratti ha già inviato un atto d’indirizzo all’ARAN dove si chiarisce che il tutor non sarà una nuova figura professionale, ma semplicemente uno che scippa le mansioni agli altri docenti e per questo “servizio” verrà incentivato col fondo d’istituto (salario accessorio). Il tutor dovrà assicurare, nei primi tre anni, un’attività di insegnamento non inferiore alle 18 ore settimanali, le restanti vanno riservate all’esercizio delle funzioni scippate agli altri docenti. Possiamo facilmente presumere che riguardo al tutor analoga scelta sarà fatta dal MIUR per la scuola superiore.
Questo è quanto è già stato elaborato dalla commissione predisposta dalla Moratti e presieduta da Giuseppe Bertagna.

ECCO COSA PREVEDE La Legge 28 Marzo 2003, n. 53 all’art. 2

I NODI DA SCIOGLIERE

Risulta evidente dal testo della legge che la controriforma elimina gli attuali istituti tecnici ed apparenta gli attuali istituti professionali di stato alla formazione professionale delle regioni.
Questa impostazione estremamente classista comporterà per l’allievo una scelta prematura a 13 anni tra il percorso liceale-universitario ed il mondo del lavoro. Questa però non è tutta farina del sacco della Moratti, infatti la divisione dell’Istruzione superiore in due canali (uno dell’Istruzione e l’altro dell’Istruzione e formazione professionale) era stata anticipata da una modifica costituzionale che il Governo di Centro-sinistra aveva votato poco prima della scadenza del mandato parlamentare.
Il 7 Ottobre 2001 si è svolto un referendum confermativo, per cui la legge costituzionale 17 Ottobre 2001 n. 3, di cui sotto riportiamo l’articolo che interessa l’istruzione e la formazione professionale, è diventata efficace a tutti gli effetti..
1. L’articolo 117 della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Art. 117. - La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; …
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Quindi la Legge Costituzionale 3/2001 affida l’istruzione alla legislazione concorrente e l’Istruzione e Formazione professionale alla legislazione esclusiva delle Regioni. Bisogna riconoscere tuttavia che, anche se questa modifica costituzionale ha facilitato l’operazione morattiana di eliminazione degli istituti tecnici, questa eliminazione non è certamente del tutto consequenziale a tale legge ma dipende anche da altri fattori che possiamo così riassumere:

  1. la volontà di togliere di mezzo diplomi spendibili immediatamente nel mondo del lavoro e che contemporaneamente davano immediato accesso alle facoltà universitarie, nell’ottica dell’eliminazione del valore legale dei titoli di studio, uno dei punti programmatici della loggia P 2;
  2. L’obiettivo di rastrellare una notevole mole di fondi, derivanti dalla chiusura dei laboratori e dalla sparizione di circa 100.000 posti di lavoro, da mettere a disposizione di padron Berlusconi che userà per autoridursi le tasse e per tamponare la voragine del deficit del bilancio dello stato, che sta aumentando a causa di una politica fallimentare;
  3. la volontà di ampliare il canale dell’istruzione e formazione professionale a scapito degli istituti tecnici poiché buona parte della formazione professionale, soprattutto nel nord, è in mano ai salesiani e ad altre congregazioni religiose (è noto il legame della Moratti con Comunione e Liberazione e la Compagnia delle opere).

LA SORTE DEI TECNICI

La Moratti nella sua opera distruttrice degli istituti tecnici per ora ha trovato due ostacoli: i sindacati di base e la Confindustria. Mentre l’opposizione dei sindacati di base a tale disegno è ovvia, altrettanto non è scontata quella di Confindustria, per cui ci soffermiamo a chiarire questo punto.
La Confindustria è perfettamente consapevole che gli attuali istituti tecnici sono l’asse portante della scuola superiore in Italia (36,7% di allievi iscritti) e che un arretramento culturale dei tecnici, o peggio la loro sparizione, comporterebbe grossi problemi, soprattutto per la reperibilità dei quadri intermedi necessari alla produzione. La posizione della Confindustria è emersa chiaramente ed ufficialmente al Convegno “Capitale umano, qualità, competitività”, organizzato il 20 aprile a Vicenza dalla stessa Confindustria e dall’Associazione industriali, con al centro la questione degli istituti tecnici. A tale Convegno doveva partecipare anche la Moratti e quindi chiarire le intenzioni del MIUR sullo scottante argomento, ma all’ultimo momento la ministra ha preferito defilarsi, ufficialmente prima per “motivi di sicurezza”(erano previste contestazioni in suo onore), poi, vista la risibilità del pretesto, “per importantissimi impegni istituzionali” ma in realtà perché non aveva delle risposte convincenti da dare. Al suo posto ha parlato il sottosegretario Maria Grazia Siliquini che non ha sciolto alcun nodo sull’argomento. La Moratti ha comunque fatto sapere che “esaminerà con attenzione il rapporto che verrà presentato nel corso del convegno e in particolare le proposte sugli istituti tecnici”.
“Voglio sottolineare comunque- continua la nota pervenuta dal MIUR – che, né per quanto riguarda i licei, né per quanto riguarda l’istruzione e la formazione professionale, finora è stata presa alcuna decisione. Assicuro che sarà ampiamente valorizzato il patrimonio degli istituti tecnici, alla luce anche dei risultati raggiunti con il tavolo tecnico MIUR-Confindustria.”

LA POSIZIONE DI CONFINDUSTRIA

La Confindustria denuncia il fatto che gli istituti tecnici non stanno nella logica “duale” della Moratti, che demarca nettamente il confine tra i percorsi liceali e quelli di istruzione e formazione professionale e rimarca anche che proprio gli istituti tecnici che hanno le migliori performance occupazionali, sono gli stessi che ottengono i risultati migliori per i loro allievi che si iscrivono all’università.
La proposta di Confindustria va quindi nella direzione di mantenere l’attuale vasta articolazione di indirizzi dei tecnici nei futuri licei tecnologici ed economici, in contrapposizione alla logica duale su esposta, il cui ispiratore è notoriamente Bertagna. Inoltre questi licei tecnologici dovrebbero situarsi in veri e propri “poli” (tecnologici o economici), dove funzionerebbero, oltre ai licei, anche percorsi di istruzione e formazione professionale (triennali e quadriennali), corsi serali, formazione continua e corsi post diploma in collaborazione con le Università locali e le imprese.. Ciò, secondo Confindustria, favorirebbe il passaggio da un canale all’altro (con passerelle interne), ottimizzerebbe l’uso dei laboratori e sarebbe occasione di arricchimento professionale per i docenti che diverrebbero in parte interscambiabili.
Il primo biennio dei licei tecnologici ed economici sarà unitario e l’orario settimanale di 30/32 ore, comprensive di quota nazionale e locale.
Per dimostrare che la cosa è possibile ed anzi auspicabile, durante il Convegno di Vicenza, il presidente dei giovani imprenditori veneti Giuseppe Zigliotto ha illustrato un progetto relativo ai “poli”.
L’iniziativa è stata promossa dall’Associazione industriali veneti che ha coinvolto, nello studio e nella progettazione di questa proposta da sottoporre al MIUR, i dirigenti dei più rappresentativi istituti tecnici del Veneto. Ad un tavolo di lavoro cui hanno partecipato funzionari dell’Associazione, dirigenti scolastici e docenti, si sono confrontate idee e ragionamenti per poi giungere ad una proposta comune e condivisa. Questa proposta, pur nascendo da una realtà veneta, ha l’ambizione di proporsi come modello nazionale.
I licei scientifici continuerebbero a rimanere tali, cioè licei “generalisti”, con vocazione solamente universitaria, mentre i Poli tecnologici sarebbero di indirizzo e prevedrebbero varie possibilità di sbocco come prima esposto.
Ovviamente non avrebbe senso, per Confindustria, pensare a tanti poli quante sono le scuole, si renderebbe necessaria una riprogettazione dell’offerta formativa nel territorio, cioè in pratica un nuovo dimensionamento con accorpamenti e fusioni. Inoltre è prevista all’interno del Consiglio d’Istituto la presenza di rappresentanti della regione e del mondo produttivo per valorizzare il raccordo con il territorio.
Di fronte all’obiezione che in uno stesso Polo difficilmente potrà convivere personale dipendente dallo stato (liceo tecnologico) e personale dipendente dalla regione (istruzione e formazione professionale) Confindustria risponde che non è un problema, visto che la decentralizzazione in atto investirà tutto il sistema dell’istruzione, come prevede il titolo V della Costituzione. Viene comunque prevista nel progetto la possibilità da parte del Dirigente scolastico di nominare direttamente esperti esterni.
All’interno dei poli tecnologici troverebbero spazio le seguenti 8 aree d’indirizzo: elettronica-meccanica e automazione, energia ed impianti, informatica e comunicazione, chimica e biologia, risorse agroalimentari ed ambientali, tessile-moda–calzature e accessori, edilizia e territorio, trasporti e logistica.
All’interno dei poli economici, che costituiranno il riferimento per il terziario amministrativo, aziendale, commerciale e turistico, è previsto il liceo economico con struttura ad Y uguale a quella del liceo tecnologico e suddiviso nei seguenti indirizzi: Amministrazione e controllo; comunicazione e marketing, gestione e servizi per il turismo.
In sintesi questi dovrebbero essere gli elementi caratteristici dei poli: “Sedi comuni o anche fisicamente staccate, purché integrate; sistema garantito ed automatico di passaggio tra i diversi sistemi e percorsi (“passerelle”); orari coordinati e compatibili al raccordo; laboratori in comune per una loro ottimale valorizzazione e utilizzazione; docenti in parte interscambiabili; aggiornamento dei docenti con esperti esterni in comune; attività di cultura d’impresa e rapporto scuola-lavoro (orientamento, visite aziendali, stage, impresa virtuale, alternanza scuola-lavoro, ecc.) in comune o almeno parzialmente comprese nell’orario curricolare; collaborazione continuativa e organica con le Università e le aziende del territorio; coordinamento didattico ed organizzativo tramite un CTS, Comitato Tecnico Scientifico (con rappresentanza delle diverse istituzioni formative, delle imprese, enti locali e forze sociali del territorio) e/o presenza all’interno del Consiglio di Istituto di un rappresentante della Regione e di un rappresentante del settore produttivo di riferimento per valorizzare il raccordo con il territorio; sistema di trasporti rispondente alle esigenze”.
Oltre alla Confindustria sul problema dei tecnici si sono mosse anche alcune forze politiche e si è formato un partito trasversale che va da alleanza nazionale ai democratici di sinistra che tende a ridurre il danno rimanendo però all’interno della legge 53. La posizione di Valditara riassume bene questa tendenza.

LA PROPOSTA DI VALDITARA

La proposta di Valditara (responsabile scuola di A.N.) in parte si interseca con quella di Confindustria, in parte si diversifica. Infatti mentre da una parte si pone l’accento sulla differenza tra licei “generalisti” che preparano ai futuri studi universitari e licei “vocazionali”, come il tecnologico e l’economico, che preparano sia per il proseguimento degli studi che per l’ingresso in azienda, dall’altra si chiarisce che tale diversificazione serve semplicemente a rendere i futuri licei tecnologici eredi degli attuali istituti tecnici , perché “sarebbe un errore se una parte prevalente dell’attuale istruzione tecnica o economica dovesse passare alle regioni nell’ambito della istruzione professionale”.

LA SORTE DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI

La sorte degli istituti professionali e cioè il loro passaggio alle regioni sembrava segnata sin dai tempi di Berlinguer, tant’è vero che fino ad ora nessuna voce istituzionale si è levata in loro soccorso. Dopo l’incontro che si è tenuto l’8 giugno tra MIUR, rappresentato da Aprea e Siliquini, ed i rappresentanti del mondo del lavoro e delle professioni (Associazioni, Confederazioni, Ordini e Collegi professionali) è rinata qualche speranza anche per i professionali.
Riportiamo di seguito il commento dell’autorevole rivista Tuttoscuola sull’incontro:
“Non è ancora chiaro se sara’ totalmente o parzialmente accolta la proposta avanzata negli ultimi mesi da AN, e con qualche variante anche dalla Confindustria, di canalizzare il grosso degli istituti tecnici verso gli almeno 11 indirizzi nei quali si articolerebbero il liceo tecnologico (8 indirizzi) e il liceo economico (3 indirizzi).
Pero’ si fanno consistenti gli elementi che inducono a ritenere che questa sara’ la strada lungo la quale si avviera’ il Miur. Le pur scarne indicazioni che si ricavano dal comunicato del Ministero dell’8 giugno portano infatti in questa direzione. Il comunicato, nel riassumere i risultati dell’incontro dei sottosegretari Aprea a Siliquini con i rappresentanti del mondo delle professioni (ordini e collegi professionali), sottolinea che “il dibattito ha evidenziato (.) la necessita’ di valorizzare l’istruzione tecnica nel nuovo sistema dei licei e la formazione professionale nel nuovo sistema dell’istruzione e formazione professionale”.
Da notare che il comunicato parla di “formazione professionale”, non di “istruzione professionale”.
Questo lascia pensare che tra gli indirizzi dei costituendi licei tecnologico ed economico potrebbero trovare spazio il grosso degli istituti tecnici nonche’ degli attuali istituti professionali di Stato, che con il “Progetto ’92", e ancor piu’ con il “Progetto 2002”, hanno accentuato gli elementi di analogia con i corrispondenti istituti tecnici.
Il ministro Moratti non si sarebbe ancora espresso nel merito, ma l’analisi del contenuto del comunicato rafforza il convincimento che si vada verso un modello di secondo ciclo nel quale i due sistemi - “istruzione” e “istruzione e formazione professionale” - si porrebbero in qualche modo in continuita’ con le esperienze passate: quelle scolastiche a sviluppo quinquennale da una parte, e quelle della formazione professionale regionale dall’altra, con i correttivi portati dalla sperimentazione in corso sui corsi triennali di qualifica.”
Comunque l’eventuale trasformazione degli Istituti tecnici e professionali in Licei Tecnologici non può avvenire né solo con la delibera dei Collegi dei docenti, né solo con l’avallo del Ministero. E’ la Regione che, grazie al Dlg 112, decide la distribuzione dell’Offerta formativa sul territorio. Quindi la decisione definitiva su quanti licei potranno esprimere i vari territori regionali è dei Governi regionali.

I DUE “SISTEMI”

Come interagiranno il sistema dei Licei ed il sistema dell’Istruzione e formazione è chiarito dalle “Indicazioni nazionali per i Piani di Studio Personalizzati del sistema dell’istruzione liceale” (Documento di lavoro per la commissione ministeriale) di cui sotto riproduciamo il passaggio più importante:
“Il secondo ciclo di istruzione e di formazione si compone del sistema dei Licei e del sistema regionale degli Istituti dell’istruzione e formazione professionale.
Ambedue mettono al centro delle proprie preoccupazioni l’armonica ed integrale maturazione degli studenti e delle studentesse.
I due sistemi sono diversi per natura, scopi e durata, ma, allo stesso tempo, sono complementari e di pari dignità qualitativa. Per questo «è assicurata e assistita la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dei licei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell’istruzione e della formazione professionale, e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate all’acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta»; e inoltre, «la frequenza positiva di qualsiasi segmento del secondo ciclo comporta l’acquisizione di crediti certificati che possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi» di istruzione e di formazione (art. 2, co. 1, punto i della legge delega n. 53/03).
Per l’intera durata del secondo ciclo di istruzione e di formazione, quindi, sono assicurate e garantite le possibilità di riorientamento degli studenti, sia all’interno del sistema dei Licei, sia tra il sistema dei Licei e quello degli Istituti dell’istruzione e formazione professionale, grazie, in particolare, al supporto dei Laboratori per l’Approfondimento, il Recupero e lo Sviluppo degli Apprendimenti (Larsa), istituiti a livello di rete territoriale.
Sulla carta quindi una possibilità di passerelle in entrambi i sensi che in realtà si trasformerà in un senso unico, visto l’enorme dislivello tra i due sistemi e quindi la notevole difficoltà di un allievo dell’istruzione e formazione professionale a “riorientarsi” verso il liceo.

IL FUTURO DEI LICEI

Gli 8 licei saranno articolati in due bienni e in un ultimo anno che si conclude con l’esame di stato. Questo il loro ruolo:

IL RUOLO DELLE REGIONI

Le regioni, confortate dalla modifica del titolo V della costituzione, dall’art. 138 del Dlgs 112/98 e dalla sentenza n°13 che la Corte Costituzionale ha emesso il 13/1/04, a seconda del loro colore politico si sono lanciate in operazioni “legislative” chi di totale anticipo dell’applicazione della legge (Lombardia) chi di parziale boicottaggio (Emilia Romagna).
Certamente l’entrata in campo delle regioni nella stesura del decreto attuativo sul superiore sarà uno degli ostacoli più grossi da superare per la Moratti.
Al fine di rendere più chiaro il loro ruolo riportiamo di seguito la normativa sopra citata:
Il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n° 112, che all’art. 138 recita: “Ai sensi dell’art. 118, comma secondo, della Costituzione, sono delegate alle regioni le seguenti funzioni amministrative: a) la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità delle risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione di cui alla lettera a); la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa; la determinazione del calendario scolastico; i contributi alle scuole non statali; le iniziative e le attività di promozione relative all’ambito delle funzioni conferite…”.
La sentenza della Corte Costituzionale n° 13 del 13 gennaio 2004, emessa a seguito di un ricorso dell’Emilia Romagna afferma che spetta al governo delle Regioni (e quindi all’Assessore specifico) e non alla Direzione regionale (rappresentante dell’amministrazione scolastica statale) la distribuzione del personale sul territorio. Ecco la parte saliente della sentenza:
“Tutto ciò non è più possibile nel quadro costituzionale definito dalla riforma del Titolo V, giacché la materia istruzione (“salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”) forma oggetto di potestà concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), mentre allo Stato è riservata soltanto la potestà legislativa esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione” [art. 117, secondo comma, lettera n)]. […]
Una volta attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principî. E la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, che certamente non è materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato; sicché, anche in relazione ad essa, la competenza statale non può esercitarsi altro che con la determinazione dei principî organizzativi che spetta alle Regioni svolgere con una propria disciplina.”
Come si evince dalla citata normativa la programmazione dell’offerta formativa sul territorio e gli organici saranno di pertinenza più del Governo delle Regioni che dello Stato. Come e in quali tempi questo avverrà non è dato sapere.
Comunque in Lombardia, già si prevede una gestione addirittura provinciale e comunale del personale docente. In Emilia Romagna invece non si vorrebbe tanto gestire il personale, quanto decidere l’effettivo numero di docenti necessario nelle scuole della regione. Il fatto di doversi assumere l’onere del pagamento degli stipendi del personale della scuola per ora ha bloccato di fatto le recriminazioni della maggior parte delle regioni.

LA REGIONE LOMBARDIA FA DA APRIPISTA

La Regione Lombardia ha predisposto una proposta di legge regionale che, pur rimanendo nel solco della riforma Moratti tende, almeno in teoria, a nobilitare il sistema dell’istruzione e formazione professionale. Infatti, oltre agli otto licei, il nuovo sistema educativo regionale prevede quattro percorsi formativi,tutti parificati agli standard europei:

Dopo 4 anni di studi sarà possibile sostenere l’esame di maturità, utile anche per entrare all’università (o all’alta formazione) purché si frequenti un corso annuale integrativo. I titoli su esposti potranno essere conseguiti anche attraverso percorsi di apprendistato.
I LARSA permetteranno in ogni momento di passare da un sistema all’altro. Gli istituti tecnici diventeranno dei “laboratori di eccellenza che continueranno a rilasciare diplomi validi per l’università e per la scuola universitaria professionale” asserisce l’assessore regionale Alberto Guglielmo. In realtà il progetto di legge regionale non scioglie l’enigma del destino dei tecnici, infatti l’assessore sembrerebbe includerli nel canale dell’istruzione e formazione professionale, dimenticandosi però che la legge 53 non prevede per questo canale la possibilità di rilasciare diplomi validi per l’università. Comunque da settembre partirà una sperimentazione.

UN ASSAGGIO DELLA CONTRORIFORMA :
ALTERNANZA SCUOLA LAVORO E DIRITTO –DOVERE

In realtà la Moratti ha già iniziato la controriforma del superiore attraverso i decreti attuativi su alternanza scuola lavoro e diritto- dovere allo studio.

L’AZIENDA DIVENTA SCUOLA

Con questo titolo il sole 24 ore, organo ufficiale della Confindustria, preannunciava l’approvazione in sede di Consiglio dei ministri il 21 maggio del decreto sull’alternanza scuola-lavoro, uno dei tanti previsti dalla legge 53. Questo decreto, scritto direttamente dalla Confindustria, è complementare all’aziendalizzazione della scuola pubblica introdotta dal precedente governo di centrosinistra con la legge sull’autonomia scolastica e conclude il percorso.
Infatti se si entra nell’ottica che una scuola può funzionare come un’azienda, col dirigente-manager ed il suo “staff”, il consiglio d’amministrazione, i caporeparto (le funzioni strumentali) ed i docentioperai allora, ribaltando il ragionamento in modo speculare, anche un’azienda può funzionare da scuola e così sarà se non li fermiamo in tempo.
Gli allievi di tutte scuole superiori a 15 anni potranno scegliere tra le lezioni in classe e la possibilità di imparare lavorando in azienda e le ore trascorse sul posto di lavoro saranno considerate interne al “tempo scuola”. Non viene posto alcun limite a questa permanenza se non quello che risulterà dagli accordi stipulati direttamente tra le scuole e le aziende o enti presso i quali gli studenti si recheranno al lavoro, ovviamente gratis (non solo, ma le aziende per questo verranno anche incentivate dallo stato). A dimostrazione della perfetta pariteticità tra scuola e azienda ci sarà per lo studente un doppio tutoraggio: un tutor designato dalla scuola ed uno designato dall’azienda.

L’OBBLIGO DIVENTA "DIRITTO-DOVERE"

L’altro decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 21 maggio riguarda il cosiddetto “dirittodovere” all’istruzione che prende il posto dell’obbligo scolastico. Al comma 3 dell’art.1 è scritto che “La Repubblica assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età.”
A prima vista sembrerebbe un’estensione dell’attuale obbligo scolastico ma in realtà è una regressione per le seguenti motivazioni:

  1. l’obbligo scolastico è previsto dall’art. 34 della Costituzione, la Moratti pretende di annullarlo con un semplice decreto attuativo (art.1 comma 2);
  2. Il dovere di cui si parla nel decreto è “un dovere sociale ai sensi dell’articolo 4, secondo comma della Costituzione” che prevede che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società ”. Per la violazione di questo tipo di “dovere sociale” non è prevista alcuna sanzione nel nostro ordinamento giuridico a differenza dell’obbligo che è giuridicamente definito e sanzionato, per cui l’affermazione contenuta nel comma 3 dell’art.7 “in caso di mancato adempimento del dovere di istruzione e formazione si applicano a carico dei responsabili le sanzioni previste dalle norme vigenti” cade completamente nel vuoto, una delle tante bugie berlusconiane.
  3. L’apprendistato viene equiparato a tutti gli effetti ai fini dell’assolvimento del dirittodovere agli altri percorsi di istruzione e formazione, per cui frequentare corsi con un numero considerevole di ore di formazione e lavorare soltanto evocando la formazione avranno lo stesso valore formativo secondo la Moratti.

In fase di approvazione in Consiglio dei Ministri come ultima novità è stata introdotta la possibilità di assolvere il diritto-dovere arruolandosi nelle forze armate che diventano agenzia formativa a tutti gli effetti.

LA POSIZIONE DELL’UNICOBAS

L’Unicobas giudica l’imposizione a 13 anni della scelta duale tra licei e formazione professionale come l’aspetto più classista della controriforma della Moratti: tale scelta, praticamente irreversibile, verrà fatta dalle famiglie in base alle loro possibilità economiche. Si vuol togliere la possibilità di quella opzione intermedia che oggi è rappresentata dagli istituti tecnici e che risulta tra l’altro la più apprezzata (36,7% di iscritti a fronte di un 22,3% dei professionali e un 20% dei licei scientifici).
Estremamente negativi sono poi gli aspetti che riguardano la riduzione dell’orario delle lezioni a 27 ore in tutti i tipi di liceo, compreso il tecnologico e l’economico, il tutor che gerarchizza la categoria ed il portfolio che, agganciato al libretto di lavoro, come richiede Confindustria, risulterà essere una vera e propria schedatura preventiva da presentare al datore di lavoro.
Pertanto l’Unicobas, di fronte ad una controriforma che ha come unico scopo quello di destrutturate e svilire la scuola pubblica, colpendo con particolare brutalità i settori meglio funzionanti (scuola elementare ed istituti tecnici), continuerà a lottare per salvaguardare l’attuale assetto della scuola italiana, convinto che tutto può essere migliorabile, ma proprio per questo per qualsiasi riforma deve valere la regola “primum non nocere”.
Quando comparirà all’orizzonte una riforma che rispetti questo elementare e “sano” principio l’Unicobas la prenderà in considerazione e intanto continuerà a lottare per l’elevamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, condizione indispensabile per una libera scelta. Le posizioni di Confindustria e di A.N. possono essere in parte condivisibili per chi si pone nella posizione di salvare il salvabile tramite emendamento dando per scontata la validità generale della legge 53 ma proprio per questo risultano contraddittorie.
I Poli tecnologici rappresenterebbero una realtà talmente variegata e divergente da rischiare l’esplosione, mentre la pura e semplice licealizzazione dei tecnici produrrà uno loro snaturamento difficilmente reversibile.
Meglio adoperarsi per l’abrogazione della legge 53.

Unicobas
Roma, 29 settembre 2004
da "Unicobas" n° 56