I “mass media” sono strabici di fronte alla situazione della scuola italiana

Lettera appello degli insegnanti ai “mass media”

Chiediamo perciò spazio informativo e dibattito collettivo sulla scuola, affinché tutti possano far conoscere la propria opinione pubblicamente, come è giusto che avvenga in un Paese democratico.

Noi, che operiamo nella scuola, siamo contenti quando questa occupa la ribalta dei mass media.

Crediamo, e non per patriottismo di categoria, che la qualità della scuola di un Paese costituisca la cartina di tornasole del suo grado di civiltà e della sua capacità di progresso.

Alla stampa e alla televisione arrivano però spesso solo echi confusi e frammentari di quanto accade.

Da quando sono stati approvati la legge delega n. 53/03 e i primi decreti attuativi, la protesta è dilagata ovunque: frequenti manifestazioni locali colorate e creative , promosse dalle famiglie e dagli insegnanti, organizzati nei coordinamenti, mozioni di protesta nelle scuole da parte degli Organi Collegiali, dibattiti pubblici, mozioni di interi Consigli comunali , provinciali e regionali, manifestazioni e scioperi a carattere nazionale con l’apporto o la promozione dei sindacati, protesta con altri cortei, altri scioperi e occupazioni da parte delle Università, che ha coinvolto (cosa senza precedenti) gli stessi rettori. Sono stati scritti Appelli, firmati da una lunga lista di eminenti intellettuali, primo del lungo elenco Edoardo Sanguineti, e Manifesti,  firmati da scienziati e da storici.

Giudizi così radicalmente negativi da parte degli operatori dell’intero settore dell’ Istruzione avrebbero suscitato in qualsiasi paese democratico un grande dibattito pubblico sugli organi di informazione, nelle istituzioni e nella società civile. Ci duole davvero molto, ma ciò non è stato.

Si sono avute solo brevi notizie, barlumi sporadici che hanno illuminato solo per qualche istante il disagio drammatico che vivono coloro che operano per educare e per formare i protagonisti del futuro.

Quanti hanno pensato a dare una voce pubblica ai protagonisti della protesta, almeno in nome della par condicio, visto che l’unico messaggio che raggiungeva il grosso pubblico era di fonte governativa?

Quando, per qualche episodio di cronaca, si parla di scuola, questa viene descritta in genere come palestra di violenza e luogo di diffusione della droga, mentre spesso gli insegnanti sono caratterizzati come ignavi, fannulloni, interessati solo allo stipendio, a volte ostaggi passivi dei propri alunni affetti da bullismo.

Non neghiamo l’esistenza dei problemi, ma non sono quelli descritti. Noi, che nella scuola viviamo e cerchiamo di farla progredire, sappiamo che i nostri allievi, anche quando sono violenti e cercano di imitare modelli negativi in famiglia, e nella società, sono pur sempre ragazzi in formazione, ai quali si possono chiedere rispetto di regole e doveri, ma avendo già assicurato loro tutto ciò a cui hanno diritto.

Anche se poco gratificati sul piano economico e nella considerazione sociale, la maggior parte di noi insegnanti affronta situazioni difficili e senza tutele adeguate. Eppure ci sforziamo di ricavare il meglio dalle capacità di ciascun alunno. E’ questo l’insegnamento “individualizzato”, che abbiamo imparato da anni a praticare, ben diverso da quello “personalizzato” della Moratti.

La furia devastatrice di questa legge retriva ha travolto esperienze didattiche valide, come l’insegnamento della nostra scuola elementare, additata ovunque come modello riuscito, da imitare. E’ stata annullata così, in un istante e senza consultare nessuno, la felice pratica del team degli insegnanti per tornare al maestro unico. Il bambino, che finora era stato curato nella sua educazione e formazione dai suoi maestri, ora per la legge resta solo con il suo tutor e, per di più, dalla prima classe viene schedato con il portfolio che, oltre ad accompagnarlo in tutto il corso di studi, sarà più o meno grosso secondo le risorse economiche e culturali della sua famiglia.  Impara subito l’ingiustizia sociale.

Nella scuola media vengono praticamente annullate intere materie, che risultano indispensabili alla cultura della nostra era, come l’inglese e l’educazione tecnica, mentre la storia, considerata da sempre maestra di vita, viene tanto ridimensionata da diventare incomprensibile. Né l’inglese viene aggiunto veramente all’elementare, in quanto mancano i soldi per pagare gli specialisti e perciò dovrebbero, per decreto, diventare esperti in questa materia gli stessi maestri, a cui deve bastare un semplice corso di formazione. Delle famose tre “I” resta solo l’impresa e la troveremo in azione al professionale per ottenere un po’ di lavoro fornito gratis dai nostri alunni alle aziende. Contemporaneamente, il tempo scuola diminuisce dappertutto.

Sorvoliamo sulle scuole con edifici in cui spesso piove, con suppellettili carenti e rotte, con vetusto e raro materiale didattico, che spesso è sostituito con altro più adeguato dal buon cuore degli insegnati che  attingono dal proprio magro stipendio, per il bene dei propri alunni.

Ma veniamo alle notizie di questi giorni. Per elencarne qualcuna: 1) il tentativo di soppressione di fatto del tempo pieno, sparito nella C.M. sulle iscrizioni, 2) la riproposta del tempo spezzatino, 3) il caos delle pagelle impazzite, 4) la diffusione del contenuto dei decreti della scuola secondaria superiore. Tutto, senza confronto con gli interessati (neanche con i sindacati), ma dal chiuso dell’edificio di viale Trastevere.

Sugli ultimi decreti, non è possibile svolgere un commento in tale sede. Si può solo evidenziare che: 1) viene imposta la scelta precoce tra licei e professionali (trasformati in istituti a metà tra quelle che erano le vecchie scuole di avviamento e l’apprendistato) ad adolescenti, poco più che bambini, che non sono ancora in grado di effettuare scelte di tal tipo, anche secondo il parere di psicologi dell’età evolutiva; 2) sono confusi e imprecisi, soprattutto per quanto attiene ai tecnici e ai professionali, che ne escono comunque nettamente dequalificati e vengono trasferiti alla formazione professionale regionale; 3) tagliano il tempo scuola un po’ dappertutto: riduzioni per il latino, per le materie di indirizzo, per l’educazione fisica, il diritto ecc.; 4) aprono la strada all’abolizione del valore legale dei titoli di studio.  

Una riflessione però possiamo farla, chiedendoci: che senso ha asserire che la nostra scuola non va e non è in grado di affrontare le problematiche di una società complessa come la nostra  e poi decidere di indebolirla in tutti i sensi: meno soldi, meno tempo scuola, insegnamento come intrattenimento, cancellazione dell’obbligo scolastico e sua sostituzione con un astratto “diritto-dovere” che si traduce in un generico dovere privato, da parte delle famiglie, di istruire i figli fino a 12 anni?

La scuola che si delinea, nella pratica dell’attuazione della riforma Moratti è caotica  (costringendo spesso i docenti a sottrarre energie dedite all’insegnamento per assolvere mille pratiche burocratiche, prive di senso reale), di basso livello formativo, ingiusta e discriminatoria.

Non insegna agli alunni come “imparare ad imparare”, ma conferisce nozioni frammentarie.

Non sottrae alla strada gli alunni esposti a pericolo, ma glieli restituisce. Non integra gli alunni, ma li “rende tutti diversi e separati”. Abbiamo l’impressione che si voglia colpire la scuola pubblica, piuttosto che migliorarla, disintegrandola con veri e propri colpi di mano e cancellando tutto il positivo esistente!

Qualcuno ha detto a chi si opponeva alla riforma Moratti: “Dite no al nuovo, perché non volete cambiare”. Rispondiamo: “Il nuovo è un ritorno al vecchio, perciò lo rifiutiamo”.

Riteniamo che solo eliminando la legge che si va attuando, possiamo creare le condizioni per costruire una nuova scuola, adeguata ai tempi, magari  mediante una vera riforma.

Vogliamo una scuola che ci faccia progredire, patrimonio della nostra esperienza e della nostra cultura e che rispecchi l’opinione di tutti. Perché la scuola pubblica è un bene della collettività!

Chiediamo perciò spazio informativo e dibattito collettivo sulla scuola, affinché tutti possano far conoscere la propria opinione pubblicamente, come è giusto che avvenga in un Paese democratico.

Marta Gatti (Maestra di scuola elementare)
Aicurzio (MI), 5 febbraio 2005