Formazione Professionale e riforma dei cicli

Una delle coordinate

   Si è spesso detto, anche su Liberazione, che una delle coordinate per leggere e capire a fondo la legge di riordino dei cicli era indispensabile individuare come una "razio" della legge quella di soddisfare la richiesta confindustriale di potenziare ed estendere la Formazione Professionale che costituzionalmente spetta alle Regioni e che le Regioni appaltano regolarmente, in misura vicino al 90%, ad enti associazioni, confessionali, sindacali, al variegato mondo del "no profit", che gestiscono i Corsi Professionali Regionali.

   Ma il diktat della Confindustria è ormai diventato patrimonio culturale e genetico del Ministro e del governo tanto che trova soddisfazione e collocazione al primo articolo della legge che al comma 4 sancisce definitivamente "l'obbligo di frequenza alle attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età". L'obbligo formativo (che a scanso di equivoci significa solo Formazione Professionale Regionale) era già in itinere con le leggi 196/'97 e 144/ '99. Ma la legge berlingueriana ci mette di suo la limitazione dell'obbligo scolastico a 15 anni e la sanzione definitiva del 18 anno per l'obbligo formativo.

   Già solo questo primo punto porterà al vertiginoso aumento degli allievi della formazione regionale. L'ISFOL calcola l'incremento degli utenti della Formazione Professione dal 2000 al 2002del 500% per gli apprendisti e del 300% per gli allievi dei Corsi professionali (a fronte di un aumento degli studenti nel sistema scolastico di 32.000 unità). ( vedi tab. 1)

   Ma questi sono i calcoli che l' ISFOL ha fatto nel 1999, l'intervento della legge di Riordino dei Cicli innescherà spirali di fuga dal sistema scolastico e di attrazione della Formazione Professionale che vanno ben oltre.

 Punti di spinta di questa spirali saranno

a) "l'esame di Stato che conclude l'obbligo scolastico dal quale deve emergere una indicazione orientativa non vincolante per la scelta dell'area e dell'indirizzo"(art.3, comma 4). Una idea tanto rozza di orientamento non avrà altro esito che rafforzare gli attuali "buoni consigli" tutti invariabilmente destinati a depistare, già da anni, verso la Formazione professionale regionale alunni con difficoltà culturali, sociali ed economiche.

b) "Nel corso del secondo anno (di scuola secondaria) se richiesto dai genitori……..sono organizzate attività complementari e iniziative formative per collegare gli apprendimenti curricolari con le diverse realtà sociali, culturali, produttive e professionali. Tali attività si attuano anche in convenzione con altri istituti, enti e centri di formazione professionale accreditati dalle regioni…."(art. 4, comma 3). Un ponte d'oro per i ragazzi, che in presenza di una qualsiasi difficoltà potranno rifugiarsi nel ghetto della Formazione professionale, un sistema di esclusione soft che permette alla scuola alla famiglia e agli stessi studenti di non farsi carico di nessun problema, un meccanismi subdolo di selezione ed emarginazione.

c) Il sistema dei "crediti formativi", della didattica modulare, la precoce canalizzazione (a 12 anni i ragazzi dovranno scegliere il loro futuro scolastico e di vita), la rottura del gruppo classe, la possibilità di realizzare l'obbligo formativo facendo gli apprendisti (fino a 24 anni!), tutto spinge gli studenti all'isolamento, alla privatizzazione dei processi educativi e di apprendimento, a riconoscersi sempre più clienti nel mercato dei saperi e non cittadini che stanno esercitando un diritto universale. Una filosofia forte che non farà che alimentare la fuga dal sistema scolastico e far dilagare la formazione professionale.

Anche per questo aspetto quindi una legge regressiva e oscurantista che evoca, come ha già detto Loredana Fraleone su queste pagine, l'avviamento professionale di deprecabile memoria.

   Il compimento di questo processo verrà realizzato in regime di piena concertazione tra sindacati confederali governo e confindustria come è già avvenuto per il "piano del lavoro"(dic.98) e "Masterplan" che avevano già programmato quello che poi si è realizzato sul piano legislativo compreso un impegno finanziario per 3 anni di 36.000 miliardi.

La Formazione Professionale Regionale

   Come si è già detto la Formazione Professionale è per dettato costituzionale (art.117) competenza delle Regioni, in che misura le regioni svolgano in prima persona questo compito non è dato sapere perché il rapporto ISFOL non da dati in materia ma la valutazione generale è che le Regioni gestiscano direttamente non più del 10%, mentre il restante 90% viene erogato agli enti gestori privati, della più varia natura, appositamente convenzionati. Questi enti recita la legge 845/'78 (recentemente aggiornata) devono essere "emanazione o delle organizzazioni democratiche e nazionale dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi , degli imprenditori o di associazioni con finalità formative e sociali, o di imprese e loro consorzi o del movimento cooperativo."  Si tratta di una bella fetta di denaro pubblico che nel 1999 ha superato i 5.300 miliardi e che dal 94 al 99 è quasi triplicata (vedi tab. 2). Come si vede Sindacati Confederali, Imprese, Confidustria, Enti confessionali e parasindacali la fanno da padroni e forse rimangono le briciole per il terzo settore "no profit". Secondo il Piano del Lavoro dovrà al più presto essere rimossa la condizione che questi enti siano "senza fini di lucro" perché siano le stesse imprese a gestire la formazione.

   L'impressione da insegnanti della scuola dell'obbligo che conoscono i corsi regionali attrverso i racconti dei loro ex alunni è che la FP sia un gran corpo parassita del disagio sociale e dell'insuccesso scolastico che lavora attivamente per sancire e cristallizzare le diversità e l'esclusione. Dalla cronaca giudiziaria risulta che vi siano un alto numero processi legarti a fenomeni di "malaformazione" in cui sono coinvolti sia le Regioni che gli enti gestori.

I dati disponibil

   Il rapporto pagamenti/previsioni di competenza (dei bilanci regionali) è il 51,9% media nazionale nell'anno 1997, con punte al disotto del 30% (Liguria, Umbria, Lazio, Campania….), i residui ammontavano nel 1998 ad oltre 3.000 miliardi a livello nazionale e 9 regioni avevano residui che superavano i 100 miliardi, non sono certo dati che depongano a favore di una gestione seria e corretta.

   Tra i dati pubblicati nel rapporto ISFOL non vi è il costo per allievo, da un calcolo sommario fatto sui dati disponibili il costo medio per allievo dell'istruzione professionale sarebbe di 13.755.000 lire (1996) a fronte di un costo medio per studente delle scuole superiori di 7.111.100 lire ( 5.493.000 lire per uno studente del Liceo Classico, 7.762.000 per uno studente di un istituto professionale). Ma si diceva di un calcolo sommario e sicuramente per difetto infatti è presumibile che ben più della metà degli allievi ha frequentato Corsi di formazione di durata assai inferiore all'anno. La stessa diversità del costo per allievo che in 9 regioni supera i 20 milioni non depone a favore della serietà della faccenda.

   Il numero degli allievi da un anno all'altro suscita gravi sospetti: nell'anno scolastico 96/97 gli allievi erano in tutto 422.084, l'anno successivo 669.600 con un aumento di oltre il 50%. Se poi si va a vedere a livello di singole Regioni si resta di stucco: in Lombardia si passa da 63.000 allievi del 96/97 ai 161.000 allievi nell'anno successivo, nel Lazio dai 28.000 ai 101.000, in Liguria dai 3.000 ai 35.000. La domanda immediata è: Ma in quali edifici, in quali strutture, con quali attrezzature, con quali istruttori o insegnanti si sono svolti i Corsi professionali nell'anno 97/98?

   Ci sembra legittimo il sospetto che sia un grande bailamme, una grande greppia a cui attingere in modo inesauribile, un grande verminaio con grandi prospettive di sviluppo a danno dei giovani e del sistema scolastico.

Alcune considerazioni

   Se così stanno le cose mi sembra quanto mai attuale la parola d'ordine storica del PRC e dei COBAS e di una grande parte dei cittadini democratici: obbligo scolastico fino a 18 anni.

Questo servirebbe non solo a far crescere culturalmente e democraticamente il paese ma avrebbe l'effetto non secondario di tagliare con il grande sconcio della Formazione Professionale Regionale, imponendole come avviene in molti paesi europei di tornare al suo alveo naturale, quello della formazione professionale solo e soltanto dopo la conclusione del percorso scolastico, in direzione della formazione degli adulti, dei lavoratori, dell'educazione permanente.

Compito attualissimo e nobile, non piccolo né facile, sicuramente più rispettoso dello spirito e del dettato costituzionale. In Francia con la recente istituzione dei Licei Professionali, all'interno del sistema scolastico, non è che si siano risolti tutti i gravi problemi che questa fascia di studenti porta con sé, ma sono assolutamente diversi il contesto e le finalizzazioni in cui i problemi emergono e la direzione in cui si cercano le soluzioni.

   All'interno del dibattito, peraltro molto interessante, che si sta sviluppando sul Manifesto per rispondere alle domande poste da Rossana Rossanda sul senso del fare scuola oggi e la funzione sociale della scuola ci sono stati interventi, prima di Anna Pizzo e poi di Enrico Pugliese, che in merito alla legge di parità, al finanziamento alle scuole private, al sistema integrato statale-privato, propongono di "passare dalla difesa della scuola dello stato in quanto scuola pubblica alla verifica della ipotesi secondo la quale sarebbe più pubblica una scuola modellata sul territorio e capace di produrre socialità". Mi sembra che questo della Formazione Professionale Regionale sia un campo assai pertinente per cercare di verificare la loro ipotesi prima di lasciare ulteriore spazio alle scorribande del mercato nel settore dell'istruzione. Gli elementi ci sono tutti, il territorio, gli enti locali, il privato sociale, il "no profit". Credo sia doveroso per chi voglia avanzare proposte ed ipotesi studiare e trarre lumi da ciò che è già in atto ed ha una storia nel nostro ed in altri paesi. Da parte mia penso che, come è già avvenuto nel nostro paese e nella scuola in particolare, si sia formulata l'ipotesi in modo da eludere il problema, difficile assai, di come rendere più democratica e quindi pubblica la scuola dello stato e della democrazia tout court nel nostro paese.

1 novembre 2000

Piero Castello

Insegnante COBAS

http://www.cobas-scuola.org