Il testo del governo è un colpo mortale alla scuola pubblica

Riforma di classe

Moratti divide gli studenti in serie A e B

Scontata, ma non per questo meno perversa appare la bozza di riforma dei cicli, presentata al consiglio dei ministri dalla Moratti, che questa volta ne ha incassato l'approvazione. Ciò non vuol dire che non permangano, anche a livello governativo contraddizioni non secondarie, che avranno modo di manifestarsi, durante il lungo percorso previsto sia per l'approvazione che per l'attuazione della riforma.

Tutto sommato le piccole irrilevanti modifiche, apportate al testo precedente, costituiscono solo delle concessioni all'area centrista del governo od a quella più tiepida verso un federalismo, che metta del tutto fuori gioco il ruolo dello Stato anche nel sistema dell'istruzione, oltre che nella formazione professionale.

“Gli aggiustamenti” infatti, che hanno permesso a Berlusconi di dire che la ministra Moratti presentava una riforma condivisa, hanno il doppio scopo di chiamare delle cose con un altro nome, per essere più tranquillizzanti verso l'opinione pubblica, e di sedare alcuni mal di pancia tra i propri alleati di governo.

Piccoli segnali, come il rinvio ai regolamenti attuativi dell'entità della quota dei piani di studio destinata alle regioni o come la riduzione dell'anticipazione dell'età per l'accesso alla scuola elementare, mostrano dove si è incentrata la trattativa con gli alleati del Polo, ma anche la sua complessità e vulnerabilità.

Lo smantellamento degli istituti professionali di Stato

Allo stesso modo si percepisce come sia più compatto il fronte sullo smantellamento degli Istituti professionali di Stato, sui quali si fa cadere, una vera e propria mannaia, che può persino far pensare ad una realizzazione anticipata, per questo segmento, rispetto al resto della riforma, stante l'articolazione dei tempi di attuazione previsti dalla bozza Moratti.

Del resto, su questo terreno, lo stesso centrosinistra, che ora si sbraccia tanto contro un'operazione, che aveva anticipato nella sostanza, con solo una maggiore moderazione, si troverebbe in difficoltà ad opporsi alla regionalizzazione degli istituti professionali, che ha già favorito in tutti i modi, a partire dall'abominevole riforma federale.

E' proprio questo uno dei punti che maggiormente svela il profondo segno di “classe” di questa riforma, che riduce, ora, di un anno solo gli istituti professionali, e restituisce a licei ed istituti tecnici l'anno anche a loro precedentemente sottratto.

Basta guardare il grafico predisposto dal Ministero, per riscontrare, anche visivamente, la netta separazione tra il percorso dei destinati all'istruzione e di quelli alla formazione professionale, con tanto di apprendistato incorporato.

L'impressione è grande, pur non apparendovi i due elementi più gravi, che riguardano la possibilità di scegliere “percorsi disciplinari diversi” a soli undici anni, e l'abrogazione dell'obbligo scolastico, sostituito da un generico “diritto all'istruzione e formazione” per almeno 12 anni.

Un colpo mortale alla scuola pubblica

Qui si coglie anche il definitivo colpo mortale inferto alla scuola pubblica, intesa come Istituzione, che solo come tale può “obbligare” i cittadini ad andare a scuola, non limitandosi alla tutela dei singoli, ma che con l'innalzamento del livello d'istruzione vuole tutelare tutta la collettività. Dunque niente obbligo più niente istituzione uguale nessuna differenza tra scuole pubbliche e private, e si porta così a compimento la funzione devastante della legge di parità.

Molti ci hanno chiesto e ci chiedono con ansia che fare di fronte a questa specie di ritorno a ben quaranta anni fa. La stessa Cgil scuola, in un comunicato, parla di orologio rimesso all'indietro, a “quando pochi avevano la certezza di continuare gli studi e tanti di andare a lavorare precocemente”. Mi permetto di dissentire solo sui tanti che avrebbero la certezza di andare a lavorare, stanti i livelli di disoccupazione.

Tuttavia l'impianto palesemente classista di questa riforma non basterebbe da solo, forse, a suscitare un'adeguata opposizione, se come sempre un attacco così pesante alla scuola pubblica non impattasse subito col personale che vi lavora e sugli studenti che la frequentano.

Tagli del personale ed emarginazione della partecipazione

I provvedimenti approvati dalla finanziaria mostrano da subito l'intento di tagliare a più non posso sul personale ed il disegno di legge, sugli Organi Collegiali, rivela in quale conto si voglia tenere la partecipazione alla gestione delle scuole da parte dei docenti, del personale Ata, letteralmente ignorato, degli studenti e dei genitori. Ce n'è per tutti, ma proprio questo rende, oggi più che mai, la scuola il punto più solido di resistenza e persino di contrattacco possibile al liberismo.

In parte lo ha già sperimentato il governo di centrosinistra, Berlusconi se ne accorgerà presto.

Abbiamo una scadenza immediata di lotta il 15 febbraio, durante lo sciopero indetto questa volta sia dai confederali che dai Cobas. Molte scuole rimarranno chiuse, per mancanza di personale e di studenti e se anche le manifestazioni di piazza trovassero una qualche convergenza, la forza d'urto sarebbe probabilmente insostenibile per la Moratti, ma anche Berlusconi potrebbe subire un bel colpo.

Riunificare chi si oppone allo smantellamento della scuola pubblica

Come la gran parte dei lavoratori sentiamo molto questa necessità e bisognerà tentare di tutto per una modalità di riunificazione tra coloro che si oppongono allo smantellamento della scuola pubblica ed alla sua aziendalizzazione. Saremmo felici di rimanere “senza Letizia”, ma ancor più di contribuire alla battaglia per l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e a quella inversione di tendenza, che in questi giorni si chiede con forza a Porto Alegre. La scuola non è più sola, il movimento degli insegnanti, che in un certo senso ha anticipato quello contro la globalizzazione liberista, e quello recente degli studenti sono parte attiva del “movimento dei movimenti”.

Loredana Fraleone
Roma, 3 febbraio 2002
da "Liberazione"