La controriforma Moratti

Liberista e reazionaria

Questa "controriforma" sembra scritta a quattro mani dalla Confindustria e dal cardinal Ruini

Il quotidiano Libero, ieri, si è eccitato per la riforma, pardon per la controriforma Moratti: tanto che ne ha fatto il titolo di apertura («La scuola si difende dall'Islam») nonchè l'editoriale di prima pagina (dal significativo titolo Gramsci ha già dato). Ideologia a chili, certo, che esalta la specifica battaglia oscurantista della Lega e di An (focosamente combattuta in prima persona da un certo senatore Valditara). Ma anche messaggio "pesante" dal punto di vista culturale. Che cos'è che piace così tanto al giornale di Feltri? Diamine, il ritorno della Tradizione, con la T maiuscola: il Latino che sarà di nuovo materia importante, ancorché opzionale; lo studio della grammatica e della sintassi «come categorie che favoriscono lo sviluppo di un ordine mentale e l'affermazione di una cultura delle regole»; l'introduzione dei miti e delle leggende tra le materie di studio; la valorizzazione delll'800, a svantaggio del '900 e, non secondario, del Medio Evo. Insomma, il ritorno alle radici nazionali, padane, cristiane come deterrente alla penetrazione islamica. La riaffermazione di una scuola seria non perché è seria, ma perché boccia, seleziona, espelle gli immeritevoli. Una scuola-bunker, "armata" di Cicerone, Manzoni e Leopardi, a presidio della civiltà occidentale minacciata.

Sarà davvero questa la scuola di Letizia Moratti? La verità, tuttavia, è allo stesso tempo più semplice e più complessa. Questa "controriforma", con tutti i crismi, sembra davvero scritta a quattro mani dalla Confindustria e dal cardinal Ruini: è una specie di cocktail buono per molti usi, con un sostrato liberista "puro" (le famose tre I, Internet, Impresa, Inglese del programma di Berlusconi) e un orizzonte culturale oscurantista, premoderno, reazionario. Dimensioni contraddittorie, almeno all'apparenza: come fanno a stare insieme il culto della globalizzazione capitalistica, con la libertà assoluta del mercato e delle merci, e la riscoperta delle identità locali, tradizionali, tribali? Come si fa a celebrare il matrimonio della rete, che parla inglese, con il rilancio della grammatica latina? Ed ecco la ricetta Moratti, che risolve tutte queste aporie con una scelta strategica classista e antirepubblicana: da un lato, si disegna una scuola che ripristina, come e dove può, una logica selettiva che separa precocemente i ricchi dai poveri e confina questi ultimi nell'inferno della formazione professionale e dell'alternanza scuola-lavoro: così il padronato avrà quello che chiede, una manodopera "flessibile", a buon mercato, riciclabile e precarizzabile a vita. Dall'altro lato, il sistema viene spezzato, disunito, frantumato: le Regioni ne gestiranno una parte sostanziale, anche dal punto di vista dei programmi, l'autonomia scolastica farà il resto. Mai come in questa circostanza, le sinistre - con l'invenzione dell'autonomia e i successivi fasti federallisti - hanno lavorato per il re di Prussia, cioè per la destra. Si arriva così al cuore della riforma, pardon, della controriforma Moratti: la distruzione della scuola pubblica. Dopo mesi di chiacchiere (e bozze Bertagna), dopo aver imposto un metodo insensato e antidemocratico (una legge-delega che marginalizza ed esautora il Parlamento), dopo aver sorvolato su inezie quali la mancanza di copertura finanziaria, alla fine la signora ha prodotto una legge che ha un unico vero obiettivo: l'indebolimento della scuola pubblica, il suo ulteriore depauperamento e svilimento, la sua umiliazione. Sarà un caso che l'Italia sia l'unico Paese europeo dove si propone non di aumentare, ma di diminuire la scuola dell'obbligo? Dove si deprime la ricerca scientifica e si incentiva la "fuga" dei cervelli, cioè dei pochi giovani che riescono a qualificarsi? Dove gli insegnanti continuano ad esser pagati malissimo? Dove gli edifici crollano al primo terremoto?

Qui, come dicevamo, le contraddizioni, anche quelle interne al centrodestra - tra modernisti e nostalgici, tra liberisti e statalisti, tra edonisti globalizzanti e neolocalisti - tendono a chiudersi. Da questo punto di vista, la controriforma della scuola è lo specchio dell'unità - sempre un po' precaria, certo - del centrodestra e delle sue diverse anime. Del resto, già oltre trent'anni fa Mac Luhan diceva che il "villaggio globale" non può che produrre una serie di repliche regressive, neoidentitarie, appunto tribali: globalizzazione liberista e restaurazione culturale, alla fine, sono due facce della stessa medaglia. Quella, più generale, di una regressione di civiltà.

Rina Gagliardi
Roma, 14 novembre 2002
da "Liberazione"