Processo Imi-Sir/Lodo Mondadori, dopo otto ore di camera di consiglio i giudici di Milano hanno accolto le richieste dell'accusa. Cesare Previti condannato a 11 anni

Sconfitto chi voleva prevaricare la giustizia

E' troppo presto per dire che questa sentenza restuisce ai cittadini piena fiducia nella giustizia, perché i mali della giustizia, sfortunatamente, vanno oltre gli artifici politici e procedurali, con cui si è tentato di bloccare il processo Imi-Sir-Mondadori, ma una certezza i cittadini oggi ce l'hanno: questa sentenza significa che si è fatta luce su gravissimi episodi di corruzione avvenuti in un santuario della giustizia, sono state riconosciute le colpe di politici, imprenditori, magistrati e avvocati, sono state pronunciate delle condanne come è normale che accada in un Paese, dove la giustizia non è sottomessa né ai poteri del governo, né ai poteri del denaro. Non siamo una repubblica delle banane. Grazie magistrati di Milano!

Il rischio c'era: l'Economist, il New York Times, l'associazione dei giuristi europei e gli esperti di diritto dell'Onu erano preoccupati dall'anomalia italiana. Siamo arrivati alla conclusione di questo processo - poi ci sarà l'appello e speriamo che abbia un corso normale - perché i giudici non sono stati lasciati soli, migliaia di cittadini si sono mobilitati per difendere l'indipendenza della magistratura, che non è un principio astratto, ma garantisce la libertà e i diritti di tutti.

Sono passati quasi otto anni da quando Stefania Ariosto, che passava belle vacanze in yacht col suo fidanzato Vittorio Dotti, Cesare Previti e Silvio Berlusconi (tutti in obbligatoria tenuta rosso-nera) fece pace con la coscienza e si mise al servizio della giustizia. Per due giorni, il 28 e il 29 luglio 1995, raccontò al pm di Mani pulite Francesco Greco episodi di corruzione di cui era stata testimone. Per coprirla le fu dato il nome di «teste Omega». Dichiarò che più o meno all'inizio degli anni Ottanta aveva assistito a passaggi di denaro dalle mani dell'avvocato Previti a quelle di un giudice romano e indicò una dozzina di avvocati e magistrati coinvolti in un giro di mazzette. Erano fatti sconvolgenti, ma per dare credito alla teste Omega bisognava provarli. Chi manovra soldi, di provenienza illecita, di solito li tiene ben nascosti all'estero sotto conti con nomi fittizi. Bisognava ricostruire la mappa di quei tesori.

Non era un'impresa facile. Le indagini furono affidate dalla procura di Milano a un pool composto dai pm Ilda Boccassini, Colombo, Davigo e Jelo. Dalle loro investigazioni sono nati i processi Sme-Ariosto, Lodo Modadori, Imi-Sir, che avevano in comune, secondo le accuse dei Pm, un'intricata trama di vertenze civili aggiustate con mazzette. La Sme era l'industria alimentare dell'Iri: Prodi aveva fatto un accordo con Carlo De Benedetti per cedergliela. Una cordata, alla quale partecipava anche Berlusconi, aveva fatto opposizione contro quell'accordo e aveva ottenuto una sentenza che l'aveva bloccato. La Mondadori, dopo una complessa vicenda finanziaria riguardante la proprietà, era passata sotto il controllo azionario di De Benedetti: Berlusconi glielo aveva strappato grazie a una sentenza che secondo l'accusa era il frutto di una combine fra Previti, avvocato di Berlusconi, e una lobby di magistrati e avvocati romani. L'Imi, un istituto finanziario pubblico, era stato condannato a pagare un risarcimento di 670 miliardi di lire (1000 con gli interessi) agli eredi di Rovelli, fondatore della Sir: secondo l'accusa gli eredi Rovelli per ottenere quella sentenza avevano pagato una tangente di 67 miliardi di lire a Previti e a un gruppo di avvocati e magistrati.

I procedimenti Imi-Sir e Mondadori nel corso della lunghissima vicenda processuale sono stati unificati. La tesi dell'accusa, nel processo che si è concluso ieri, si è via via irrobustita con i risultati delle rogatorie, gli accertamenti di magistrati di vari Paesi, dalla Svizzera alle Bahamas, sui conti esteri di Cesare Previti, che si è difeso sostenendo di aver incassato normali parcelle e di essere in difetto solo per avere eluso il fisco («Ma poi ho condonato tutto»). Durante un'udienza, mentre Cesare Previti spiegava alla corte i mirabolanti movimenti di denaro su suoi conti sparsi per il mondo, una signora, tra il pubblico, aveva in mano un pinocchietto. Non possiamo escludere che in una maliziosa associazione di idee il lungo naso del pupazzetto avesse a che fare con l'imputato. Gli avvocati di Previti hanno segnalato alla Cassazione anche quel pinocchietto come indizio da annoverare a sostegno della richiesta di togliere il processo ai giudici di Milano perché condizionati da un clima poco sereno. Un segnale piccolo piccolo, al limite dello zero, ma che dà un'idea dell'ordine di grandezza degli impacci che ha dovuto superare il processo: da quelli messi in gioco con la lente d'ingrandimento, a quelli rappresentati su scenari importanti come il parlamento, i palazzi del governo, i partiti.

Paradossalmente, la difesa ha mostrato poco interesse per la gran mole dei dati sui conti esteri segreti, esibiti dall'accusa come prova non solo di un ricorrente ricorso degli imputati (avvocati e magistrati) all'evasione fiscale, ma anche e soprattutto del pagamento di mazzette miliardarie per comprare le sentenze. La strategia difensiva si è accanita in una martellante campagna di delegittimazione dei giudici naturali con l'obiettivo di far trasferire il processo ad altre sedi. In corso d'opera è stata fatta una legge per rendere inutilizzabili le quattrocento rogatorie che documentavano il transito di un enorme quantità di denaro proveniente dalla Fininvest e dagli eredi Rovelli su conti esteri dai quali attingevano gli avvocati e i magistrati imputati di corruzione. Un'altra legge ha depenalizzato il reato di falso in bilancio. Una terza legge, confezionata e approvata in fretta e furia, ha reintrodotto nel codice il legittimo sospetto sull'imparzialità dei giudici come causa per chiedere il trasferimento del processo.

Queste leggi frettolose non hanno funzionato, così come sono andate a vuoto sette richieste di ricusazione contro il collegio giudicante e il tentativo di coinvolgere la pm Ilda Boccassini, con false accuse, in un complotto giudiziario internazionale contro Berlusconi. Il processo al processo, nonostante i formidabili mezzi impiegati utilizzando il potere politico e il dominio sull'informazione televisiva, ha incontrato un'argine insuperabile nella forza con cui si esprime nella nostra società, nei movimenti, nelle fabbriche, la consapevolezza che difendere la giustizia significa difendere i diritti.

Una sentenza non può essere dichiarata infallibile. Può essere confermata o no nei successivi gradi del processo. Il motivo per essere soddisfatti, dopo questa sentenza, non è la condanna di un potente uomo politico, ma la sconfitta del tentativo di prevalicare la giustizia impedendo lo svolgimento del processo. Silvio Berlusconi voleva essere giudicato dai suoi «pari» e se l'è cavata con la prescrizione del reato, ma Previti è stato condannato con l'accusa di aver corrotto un giudice che doveva decidere la partita sulla proprietà della Mondadori. Il frutto alla fine è stato incassato dal Cavaliere. Ma qui entriamo nel campo della morale.

Annibale Paloscia
Milano, 30 aprile 2003
da "Liberazione"