Assemblea nazionale ATTAC Italia, Torino 26-27 febbraio 2005

ATTAC 2005

Documento politico e programmatico, campagne nazionali
Tfr e fondi pensione, ripubblicizzazione dell’acqua, Bolkenstein e Gats, Osservatorio nazionale servizi pubblici, Università popolare e Tobin Tax

Documento politico e di programma 2005

Tragedia dello Tsunami : uno specchio del mondo neoliberista

"Un terremoto del settimo grado della scala Richter fa 30000 morti in Iran, ma non ne fa alcuno in Giappone. La povertà uccide quanto, e forse più, dei maremoti. se è vero che tutte le coste del Golfo del Bengala sono prive di allarmi anti-tsunami, mentre le coste del Pacifico ne hanno in abbondanza". Così, con la consueta lucidità, argomenta Ignacio Ramonet in un recente editoriale su "Le Monde Diplomatique".

Lo tsunami che ha colpito e devastato il sud-est asiatico è la drammatica cartina di tornasole di cosa significhi un pianeta organizzato intorno a diseguaglianze profondissime che nessun "nuovo ordine mondiale" è riuscito o ha provato a ridurre. E contiene dentro di sé lo specchio dello scarto incolmabile che esiste fra i bisogni delle popolazioni e le politiche neoliberiste di dominio mondiale : che altro significa il contrasto fra quegli uomini, donne e bambini che si aggirano sopravvissuti tra le macerie di un universo quotidiano stravolto e i 32 miliardi di dollari l'anno che quelle stesse persone devono pagare ai Paesi Occidentali per gli interessi sul "debito"?

Che altro significa un bilancio annuale di spese militari che negli Usa ammonta a 400 miliardi di dollari, ovvero a cento volte l'ammontare complessivo degli aiuti offerti al sud-est asiatico? E non dimostrano le drammatiche necessità emergenziali delle popolazioni colpite l'impossibilità costitutiva dell'economia e della società capitalista ad affrontare il problema? Immaginiamo di lasciare -anzichè ad un intervento pubblico coordinato e programmato- il soccorso e la ricostruzione di quei territori alla "mano invisibile del mercato", al "libero fluire della concorrenza" di imprese, ciascuna orientata al perseguimento del profitto nel proprio intervento. E, infine, quale miseria delle nostre politiche anti-migranti affiora dalle macerie dello tsunami, dove una marea che ha stravolto il pianeta e suscitato una straordinaria solidarietà umana deve confrontarsi con la meschinità e la ferocia di "muri" che continuano a dividere i "nord" e i "sud" del mondo.

Senza dimenticare come, al fondo, lo tsunami sia stato un drammatico avvertimento di quello che esponenzialmente, per frequenza ed estensione, potrebbe capitare se il rapporto tra attività umana e natura continuasse a basarsi sulla rapina capitalistica delle risorse e lo stravolgimento volto al profitto di tutti gli equilibri ambientali. Lo tsunami ci proietta dentro una "crisi di civiltà"; ci consente di guardarla da vicino, di riconoscerla nei suoi aspetti concreti e nelle sue determinazioni storiche e politiche. E rende ancor più necessaria e urgente la costruzione di una altro mondo possibile.

Profondità della crisi del neoliberismo

L'intero sistema economico-politico planetario è sottoposto ad identici movimenti tellurici di profondità, di cui la guerra militare, economica e sociale rappresenta il conseguente e devastante maremoto. Il modello neoliberista è costretto a confrontarsi con una contraddizione di fondo : per la prima volta nella storia, ad ogni sua fase di dispiegamento non corrisponde più una qualche forma di redistribuzione della ricchezza prodotta. Al contrario, la stagnazione delle economie occidentali - Stati Uniti ed Unione Europea in primis - è determinata da una decennale crisi dell'accumulazione di crescita e dalla difficoltà di allocazione ed espansione su nuovi mercati.

Contemporaneamente, la contraddizione capitale-natura e l'avvio al tramonto per progressivo esaurimento della produzione mondiale di beni fondata sulle materie prime fossili rendono.drammatica una organizzazione economica e sociale basata sulla competitività internazionale e sull'esportazione dei prodotti. Si modifica in profondità l'assetto geo-politico ed economico mondiale e, pur con le medesime contraddizioni, nuovi centri di produzione capitalistica - la Cina innanzitutto- assumono ruoli di futura potenza mondiale. Emerge il quadro di un pianeta strutturalmente fondato sulla diseguaglianza sociale e di accesso alle risorse, con un "nord" ricco e in crisi di sovrapproduzione e un "sud" condannato alla rapina delle risorse e ad una permanente esclusione sociale. E una pervasività del mercato e dei rapporti capitalistici di organizzazione della società che giunge al saccheggio dei corpi, dei saperi, delle conoscenze e dei territori per trasformarli in merci su cui ricavare profitti. Dove "nord" e "sud" non vanno interpretati in senso strettamente geografico, come dimostra la disparità sociale del continente cinese, tra una fascia costiera nuova frontiera neoliberista e l'abbandono e la disperazione delle sterminate campagne dell'interno.

Guerra globale e Nuovo Ordine Mondiale sono le risposte a questa crisi che hanno voluto dare le grandi corporations transnazionali e le elites militari, Governo degli Stati uniti in primo luogo. Una presa "manu militari" attraverso invasione di tutti i territori ricchi di giacimenti delle rimanenti materie prime fossili, mentre le grandi istituzioni finanziarie internazionali (FMI, BM, WTO) preparano a suon di Piani di Aggiustamento Strutturale, di investimenti per lo "sviluppo" e di accordi commerciali, l'accaparramento delle materie prime del futuro (dall'acqua all'energia, dalle biomasse ai semi, al genoma).

La riconferma a Presidente degli Usa di George Bush, avvenuta attraverso una mobilitazione neo-cons dell'America profonda e di strati socialmente differenti della società statunitense, accomunati da "valori" basati sull'esclusione e sulla contrapposizione all'altro da sè, dimostra come l'idea regressiva ed involutiva della non negoziabilità del proprio "way of life" e del proprio modello di consumi sia radicata al punto da scegliere la guerra permanente come garanzia dello status quo. Ma dimostra anche come la profondità della crisi neoliberista non consenta alcun tipo di "aggiustamento" : le elezioni americane hanno mostrato la definitiva sconfitta di qualsivoglia ipotesi di “terza via”, ovvero dell’illusione di una temperabilità del neoliberismo, di una “governance” che, nel lasciare immutate le cause, cerca di mitigarne gli effetti. A chi dice “Guerra!” non si può rispondere – pena la resa - “..un po’ meno guerra”. A chi vuole trasformare i conflitti in uno scontro epocale di civiltà occorre contrapporre un ‘altra visione del mondo e delle relazioni sociali. Di fronte a chi continua ad identificare la democrazia con la libertà dei commerci, occorre rispondere con progressive e costanti sottrazioni di vita e di società al dominio del mercato.

Europa : quo vadis?

Dentro queste dinamiche, è il continente europeo ad essere chiamato a definire un proprio percorso ed una propria proiezione politica. Ma i passi che sta muovendo indicano come l’orizzonte strategico scelto sia ancora collocato sul doppio asse della subalternità allo strapotere Usa e/o della diretta competizione con la potenza statunitense sullo stesso terreno. La firma del Trattato Costituzionale disegna un’Europa a-democratica, mercantile e monetaria. La costituzionalizzazione di specifiche politiche monetarie, previste dai vigenti Trattati di Cardiff, Amsterdam e Maastricht, delinea la natura del progetto europeo come fondato sul principio di una “economia di mercato aperto e in libera concorrenza”, strategicamente orientato sul dominio del Nord sul Sud del mondo, sulla costruzione di un forte esercito europeo, sulla precarizzazione del lavoro e dei diritti, sulla messa sul mercato dei servizi pubblici e dei beni comuni, sulla fortezza escludente le popolazioni migranti.

La Direttiva Bolkestein, in discussione all’Unione Europea, al pari di quella sull’orario di lavoro, dicono più di mille discorsi quanto profondo sia l’attacco alle fondamenta di quello che sinora era chiamato “il modello sociale europeo”. E’ d’altronde questa UE ad essere in prima fila nelle spinte alla liberalizzazione e privatizzazione dei servizi all’interno dei negoziati Gats dentro l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Una coazione a ripetere all’inseguimento di un modello interamente basato sulla competitività delle esportazioni, sull’abbattimento del costo del lavoro, sulla precarizzazione della vita e delle relazioni sociali. Un modello indifferente alla contraddizione capitale/natura, interamente rivolto alla consegna dei beni comuni ai mercati finanziari. “Un’ altra Europa è possibile e necessaria” hanno ripetuto ancora 30000 persone, in gran parte giovani, convenute al terzo Forum Sociale Europeo a Londra.

E’ questa la dimensione e il terreno su cui i movimenti sono chiamati a misurarsi e quattro sono gli assi e i paradigmi sui quali occorre incidere : l’Europa della pace contro l’Europa della guerra; l’Europa dei beni comuni e dei servizi pubblici contro l’Europa della dittatura monetaria della BCE, delle grandi corporations e delle lobbies finanziarie; l’Europa del lavoro, del reddito e dei tempi di vita contro l’Europa della precarizzazione; l’Europa aperta e democratica contro l’Europa-fortezza dei poteri forti.

Le ragioni e le responsabilità dei movimenti

A fronte di quanto sopra descritto, è sin troppo facile e illusorio limitarsi a confermare le ragioni di tutti coloro che in questi anni si sono battuti sulle piazze di tutto il mondo per affermare la necessità di un altro mondo possibile, contro la guerra e le politiche neoliberiste. Tutto ciò corrisponde al vero, ma è ancora largamente insufficiente : molto più ampie della denuncia e del contrasto sono le responsabilità che il movimento dei movimenti è chiamato ad assumere.

Proprio perché luogo di rifondazione dello spazio pubblico, della partecipazione collettiva e della politica, il movimento dei movimenti è oggi chiamato a misurarsi in due ordini di direzione : da una parte, verso l’allargamento, geografico e di consenso, al fine di assumere una vera dimensione planetaria; dall’altra, a costruire una propria efficacia, attraverso la capacità di approfondimento del conflitto sociale e la costruzione di campagne e strategie internazionali. La riflessione apertasi durante e dopo la terza edizione del FSE di Londra e la sperimentazione tematica con cui è organizzato il prossimo FSM di Porto Alegre sembrano aprire nuovi percorsi possibili. Occorre estendere i Forum Sociali per connettere reti e movimenti sociali in ogni angolo del pianeta; ma occorre saper coniugare il loro insostituibile ruolo di “università popolari di massa” con l’esigenza di produrre obiettivi e strategie comuni di cambiamento reale e verificabile.

Il declino italiano e il movimento dei movimenti

Quanto sopra affermato è tanto più vero se analizziamo la situazione italiana, i cui connotati di drammaticità sono oltremodo evidenti. Siamo in un Paese attraversato da una profonda crisi economica e da un declino industriale senza precedenti; con un impoverimento di massa e la precarizzazione di fasce sempre più estese di popolazione, accompagnati dalla continua aggressione dei capitali finanziari ai diritti del lavoro, al welfare, ai beni comuni. Tutto questo in un quadro istituzionale di degrado della democrazia e dei rapporti sociali, tale da evocare scenari neo-autoritari.

E se innegabili sono le difficoltà di un movimento che per tre anni ha straordinariamente saputo portare in piazza e nei territori culture, saperi, esperienze e lotte, quello a cui quotidianamente assistiamo è una crisi profonda della politica in quanto tale, istituzionalmente intesa. Mai come ora si assiste ad una separatezza del paese legale dal paese reale di tale profondità. Che altro significa la dicotomia tra un sentire delle persone investito da una tragedia apocalittica come quella provocata dallo tsunami nel sud-est asiatico, o, su diversa scala, dalla strage da privatizzazione di un treno passeggeri a casa nostra, e le interminabili discussioni su contenitori politicisti e astratte alleanze.che dominano le pagine della "politica"? Il movimento dei movimenti, che pur ha cambiato in profondità la cultura e il sentire del Paese, fatica ad incidere sull’agenda politica istituzionale; e mentre è a tutti chiara la pericolosità politica e culturale dell’attuale governo delle destre, balza con altrettanta evidenza la difficoltà delle forze di opposizione a situarsi su un terreno “altro” nella battaglia, quello della trasformazione sociale invece dell’alternanza politica, quello dell’alternativa di società e di partecipazione invece della competizione di governo sullo stesso terreno.

E’ di fronte a questa difficoltà che il movimento è chiamato a produrre un salto di qualità e ne sperimenta tutte le incertezze. Occorre saper praticare l’autonomia; non come separatezza del sociale o riproduzione dei classici ruoli ( i movimenti che camminano domandando in attesa che “la politica” risponda); bensì come capacità di costruire percorsi, a partire dalle conflittualità sociali espresse dai territori, che sappiano attraversare la politica istituzionale e determinarne l’agenda di lavoro, sperimentando in direzione della partecipazione pratiche di superamento della politica della delega e della democrazia come rappresentanza. Su questo terreno si gioca la capacità e l’efficacia del movimento dei movimenti, avendo la consapevolezza che una nuova fase si è aperta. Dopo la fase "genovese" di nascita e di occupazione di uno spazio pubblico che restituisse un ruolo alla politica come partecipazione collettiva; dopo la fase della mobilitazione "senza se e senza ma" contro la guerra, che ha permeato e modificato la cultura del paese, oggi il movimento dei movimenti si trova di fronte ad una fase diversa. Non c'è più un unico luogo di ricomposizione delle lotte, bensì una pluralità di conflitti agiti da diversi soggetti sociali, ciascuno dei quali esprime forme di resistenza alle nuove mercificazioni ed alle vecchie e nuove nocività, una propria esigenza di cambiamento radicale e di protagonismo sociale. E’ dentro questo scenario che Attac Italia vuole e cerca di dare il suo contributo, promuovendo non un’unità astratta delle forze di movimento, bensì fondata su temi chiave, su conflitti aperti sui quali costruire campagne in grado di far avanzare le capacità di mobilitazione e di consenso in direzione di una radicale fuoriuscita dalle politiche neoliberiste e dalla guerra. Resta aperta la ricerca di quali luoghi ed occasioni costruire collettivamente affinché le diverse mobilitazioni in campo trovino un terreno comune di confronto permanente e di sintesi in avanti delle pratiche e delle proposte elaborate in direzione della trasformazione della società.

Lo spazio internazionale di Attac

Dentro questi scenari e sulla base di queste consapevolezze, occorre indagare collettivamente le ragioni e il ruolo di Attac e delinearne il percorso futuro. Come rete internazionale – non più che abbozzata, ad oggi - Attac può esercitare una capacità di spinta dentro gli spazi europei e mondiali dei movimenti affinché il percorso avviato di riflessione sul futuro dei Social Forum prenda la direzione sopra descritta. Ma perché ciò diventi possibile, occorre che alla semplice constatazione dell’esistenza di Attac in oltre 40 Paesi, corrisponda la costruzione sostanziale di una rete di collegamento internazionale, capace di superare l’attuale giustapposizione di associazioni nazionali, con delega di fatto alla compagine francese – per storia e peso politico – a rappresentarne i percorsi.

Alcuni passi in questa direzione sono stati effettuati, soprattutto in occasione del FSE di Londra; su temi come la Tobin Tax, i servizi pubblici o la Direttiva Bolkestein si cominciano a sperimentare percorsi di rete di dimensione europea; in forme ancora largamente insufficienti ma evocative di possibili evoluzioni future. Analoghe esperienze si stanno producendo fra gli Attac dell’America Latina, dotatisi di un coordinamento continentale dopo il primo Forum Sociale delle Americhe tenutosi nel luglio scorso in Ecuador. Il prossimo FSM di Porto Alegre dovrà diventare la prima tappa di avanzamento di questi processi. Lo richiedono le ragioni di Attac, lo domanda la nuova fase del movimento dei movimenti.

Attac Italia qui ed ora

Siamo una giovane associazione inserita nel movimento e nei territori. Siamo un tentativo collettivo, in continuo divenire, di sperimentazione quotidiana, con tutti gli elementi di forza e di fragilità che questo comporta. Tentiamo di essere, a livello nazionale e locale, un luogo di aggregazione e di partecipazione, un percorso di autoeducazione orientata all’azione. In questi anni, abbiamo costruito la nostra presenza, intrecciando i nostri percorsi con quelli dell’insieme del movimento, acquisendo un ruolo di interlocuzione con forze associative, sindacali, politiche e con reti di istituzioni locali. Il nostro contributo specifico, intrecciato con la lotta più generale contro la guerra e il neoliberismo, si è delineato nel tempo e ha costruito la nostra identità collettiva, la nostra ragione sociale, nell’analisi e nella critica del modo di produzione capitalista e della società neoliberista, e nella mobilitazione, in particolare, intorno a tre filoni di intervento :

  1. il rapporto tra finanza e democrazia;
  2. il paradigma pubblico/privato;
  3. la democrazia partecipativa.

Sono tre assi ovviamente fra loro collegati e mai sicuramente disgiungibili. Su ciascuno di essi, si tratta di elaborare analisi e proposte di alternative concrete, insieme a vere e proprie campagne di mobilitazione attraverso messaggi e strumenti unificanti. Su ciascuno di essi, si tratta inoltre di individuare elementi più specifici su cui costruire vertenzialità e reti nei territori, in grado di produrre allargamento del consenso e capacità di iniziativa. Su ciascuno di essi, infine, occorre attivare progetti nazionali e locali, capaci di esprimere autoeducazione popolare e di orientare l’azione collettiva per il cambiamento.

Senza voler ridurre la complessità e l’articolazione della nostra esperienza associativa, riteniamo di indicare, per l’anno 2005, alcune campagne e progetti specifici che possano vedere Attac a livello nazionale e territoriale protagonista di vertenze precise e partecipe di percorsi concreti di iniziativa politica.

Campagne e progetti Attac 2005

Campagna per il NO al trasferimento del TFR ai Fondi Pensione.

Una campagna capace di coniugare la lotta alla finanziarizzazione dell’economia con la difesa della previdenza pubblica come bene comune. Una campagna nazionale, dentro alla quale Attac è promotrice di un ampio tavolo di forze politiche, sindacali, associative e di movimento, replicabile in ogni territorio. Un percorso in grado di connettere i temi più propri della nostra associazione con il mondo del lavoro, inceppando gli ingranaggi di un sistema pensionistico a capitalizzazione che di fatto consegna alle lobbies finanziarie la previdenza pubblica.

Campagna per la Tobin Tax

Mentre si va approfondendo la costruzione della rete europea, il progetto di legge d’iniziativa popolare è all’esame delle Commissioni Parlamentari congiunte Finanze ed Esteri. Il rilancio della campagna a livello nazionale e territoriale si prefigge l’obiettivo di far approdare la legge nel corso dell’anno al voto nell’Aula del Parlamento Italiano.

Campagna per la ripubblicizzazione dell’acqua

Mentre proseguono le politiche di liberalizzazione e di privatizzazione dei servizi pubblici, con la costituzione di multiutilities e la fusione delle stesse in holding collocate in Borsa, continuano e si moltiplicano le resistenze nei territori in difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici. In particolare,.la difesa dell’acqua come bene comune sembra aver raggiunto un punto elevato di “massa critica” in grado di invertire la tendenza. La campagna è pensata a geometria variabile, ovvero con strumenti differenti articolati e modulati su ciascun territorio, ricercando obiettivi unificanti laddove se ne ravvisino le condizioni. In questo senso, l’esperienza toscana, con l’avvìo della campagna di raccolta firme per una legge regionale d’iniziativa popolare, va assunta come prioritaria e come possibile paradigma per l’estensione in altri territori.

Campagna contro la Direttiva Bolkestein e contro il Gats

L’intero anno vedrà l’Unione Europea alla testa dei processi di liberalizzazione e di smantellamento dello stato sociale. Raccogliendo le esperienze già sedimentate negli anni passati, la campagna prevede un percorso senza soluzione di continuità che,partendo dalla richiesta di ritiro della famigerata Direttiva Bolkestein, prosegua la mobilitazione contro l’accordo Gats e contro il WTO nelle due scadenze di giugno 2005 ( l’UE formulerà le richieste/offerte di liberalizzazione dei servizi) e di dicembre 2005 ( nuovo round del WTO a Hong Kong).

Università.

Dopo le ottime esperienze delle due sessioni 2004 (Rocca di Papa e Ferrara), l’Università di Attac diventa un progetto stabile di autoeducazione e formazione. Contemporaneamente, sull’esempio di Attac Roma che ha avviato una università popolare locale permanente, si propone l’obiettivo di moltiplicare l’esperienza su diversi territori.

Osservatorio Nazionale Servizi Pubblici.

Nel 2005 partirà la ricerca nazionale “Servizi Pubblici e partecipazione democratica” promossa da Attac in collaborazione con Rete del Nuovo Municipio, Arci e Cgil Fp. Il progetto interesserà le regioni Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Sicilia. Si propone l’obiettivo di una costruzione collettiva con i Comitati Locali delle regioni indicate e l’interessamento dell’intera associazione per le possibili estensioni future del progetto su tutto il territorio nazionale.

Consiglio Nazionale di ATTAC Italia
Roma, 22 febbraio 2005
www.attac.it