La campagna ideologica contro i lavavetri non sfonda. Grazie ai cattolici

La tentazione americana dei nostri sindaci-sceriffi

In un'epoca in cui le mafie stanno dilagando nel mondo e mettono a repentaglio la vita quotidiana di tutti, da Locri a Duisburg, si scopre che l'emergenza numero uno, nella civile città di Firenze, sono i semafori.

Annotava Pigi Battista, l'altro giorno sul Corriere della sera, la nuova spaccatura (orizzontale?) nel popolo (più o meno) di sinistra: di qua, i sindaci, specie i sindaci di antico lignaggio diessino; di là, gli “intellettuali di sinistra”, appunto. I primi rincorrono gli sceriffi texani e i più domestici amministratori leghisti, pronunciano ogni cinque minuti le parole “legalità”, “sicurezza”, “regole” e se la pigliano con lavavetri, bancarellari abusivi, mendicanti, rom e altre consimili categorie privilegiate; i secondi non nascondono il loro disagio o, almeno, il loro crescente mal di pancia, e comunque non solidarizzano né con il Cioni “pecchiolian-dalemiano” né con il Veltroni sarkozista. Curiosa e datata annotazione, quella dell'ottimo vicedirettore del Corriere , legata cioè ad un'epoca ormai lontana, quando esisteva un ampio mondo organizzato della sinistra, con i suoi gruppi dirigenti, i suoi amministratori, i suoi militanti, e i suoi intellettuali “organici”.

E difatti ha facile gioco, un intellettuale di sinistra vero come Alberto Asor Rosa, a rispondergli che no, non è questo il problema, data anche la scomparsa della specie “intellettuali di sinistra”, e che in fondo non occorrono patenti particolari per accorgersi che l'ordinanza fiorentina sui lavavetri è soltanto “una cialtronata”. Ma forse c'è dell'altro. C'è il fatto che la campagna ideologica che sta dentro e dietro l'ordinanza fiorentina avrà sì ottenuto un consenso di massa schiacciante, ma non ha completamente sfondato. Non ha realizzato quell'en plein politico e ideologico che era nelle attese e negli auspici. Non ha del tutto persuaso, chissà, neppure quei cittadini al volante che, il primo giorno, esprimevano il loro plauso fragoroso tra un Tg e l'altro. Insomma, si è insinuato un dubbio. Non più che un dubbio, che però ha il suo valore, - e a suo modo anche il Corriere lo registra.

Ma gli intellettuali di sinistra c'entrano relativamente. C'entrano molto di più i cattolici, dalla Comunità di Sant'Egidio al laico Prodi, da Rosy Bindi a Clemente Mastella, che hanno stigmatizzato, spesso con parole lucide e severe, la pratica della caccia agli ultimi. E c'entra la sensazione - noi speriamo crescente - di una politica sproporzionata, improvvisamente rigidissima, e perciò punitiva e crudele. Forte con i deboli, e debole con i forti, e perciò sempre più debole, rinunciataria, ed anche un po' vigliacca. E' facile - lì per lì - “ripulire” gli incroci dai romeni maleducati che ti vogliono per forza detergere il vetro polveroso. Non è difficile - lì per lì - sgombrare i vicoli di Trastevere dai poveri mercanti di Prade finte (nient'affatto “contraffatte”, sono dichiaratamente e palesemente finte) - e domani bandire punk, straccioni, homeless, musicanti, girovaghi, giovani puzzolenti e vecchie paralitiche. E poi? Poi si scopre che nulla, salvo il proprio personale fastidio, è stato minimamente risolto. E che il disordine, la sporcizia, l'insicurezza sono gli stessi di sempre - ci sono addosso.

Ma i sindaci “di sinistra”, vedrete, non demorderanno facilmente dalla strada che stanno imboccando. Chi deve essere rieletto, a tutti i costi. Chi, come qualche illustre cittadino del centronord, deve lasciare comunque un segno “forte”, visto che non l'ha lasciato né in un sindacato né in un partito. Chi segue le mode, qualunque esse siano. Perché in realtà sono quasi tutti neofiti, e quindi estremisti - e a frenare le loro tentazioni “americane” non c'è neanche il Dna cattolico. Perciò adesso ripropongono, quasi come una litania, due-tre stereotipi che meritano un attimo di attenzione. Primo, “La sicurezza non è né destra né di sinistra”. Secondo, “La legalità non è né di destra né di sinistra”. Terzo, “Garantire il rispetto delle regole non è né di destra né di sinistra”.

Nel loro insieme, questi refrain sono anzitutto piuttosto stupidotti: presuppongono una posizione opposta, un avversario (?), secondo cui il meglio dalla vita che si possa avere è l'insicurezza, la violazione delle leggi quasi come stella polare, la trasgressione delle regole come felicità. Che cosa voglio dire? Che quando alcune ovvietà - come quelle citate - assurgono al rango di solenni bandiere ideologiche, e servono a giustificare scelte che dovrebbero far parte della normale prassi di governo (di una città, di una provincia o di uno Stato), c'è qualcosa che non va. C'è una ridondanza, c'è una retorica, che sono palesemente funzionali ad altro. A che cosa? In questo caso, a sostenere, una nuova “neutralità” della politica, l'abbattimento concreto di ogni differenza riconoscibile tra sinistra e destra nelle scelte relative, appunto, alla sicurezza dei cittadini. Come se la “sicurezza” non avesse nulla, ma proprio nulla a che fare, con l'idea di città, di territorio, di modello di sviluppo, di cultura che si persegue. Come se i modi, le modalità pratiche con cui si affrontano i problemi, e le soluzioni che si sperimentano, non fossero connotate da valori, convinzioni, obiettivi.

Esempio - cruciale ed epocale - è quello dell'immigrazione, che, da sempre, non solo in Italia, ha visto una contrapposizione profonda tra destra e sinistra, sia in termini culturali che politici. Ma se e quando si declina il problema dei migranti soltanto, e quasi prevalentemente, e sempre più fortemente, dal punto di vista della sicurezza, allora è proprio un discrimine di civiltà che si va abbattendo. Se e quando gli stranieri (a meno che non siano prosperi turisti americani) fanno rima con “criminali” e “illegalità”, se e quando i lavavetri di Firenze vengono dipinti come un “grave pericolo” per la collettività, come sta scritto nell'ordinanza fiorentina, allora è chiaro che cosa significa una politica della sicurezza “postideologica”: la piena assunzione del terreno da sempre proposto dalla destra. Il migrante come nemico, piccolo, grande o medio che sia. Un invasore di cui liberarsi. Un intruso che ti toglie il lavoro, o ti sporca le strade, o ti disturba semplicemente perché è diverso da te. Questa è, al fondo, la nuova Weltanschuung dei nostri sindaci-sceriffi. Questo è lo scivolamento culturale che si sta compiendo, quando, in un'epoca in cui le mafie stanno dilagando nel mondo e mettono a repentaglio la vita quotidiana di tutti, da Locri a Duisburg, si scopre che l'emergenza numero uno, nella civile città di Firenze, sono i semafori.

Tutto il resto, dicevamo, discende da qui. E' ovvio che le leggi, o le regole, vanno in genere rispettate - se le trasgrediamo perché le consideriamo ingiuste, siamo pronti a subirne le conseguenze, secondo le regole della lotta politica nonviolenta. E' ovvio che chi compie atti criminali va perseguito, eventualmente arrestato e portato a processo - ma qualcuno mi deve ancora spiegare perché e in che cosa il lavaggio dei vetri sia stato assimilato ad una attività criminale. Dovrebbe essere ancora più ovvio che le nostre città traboccano di comportamenti “illegali”, disturbanti, paracriminosi che ci rendono notoriamente sempre più difficile la vita quotidiana, e che le giunte in genere lasciano correre, come fossero fenomeni naturali. Mi piacerebbe sapere dagli amministratori fiorentini, che hanno trasformato una delle più belle città italiane in un “inferno” turistico, se a Firenze nell'industria alberghiera, nei ristoranti e paninoteche a gogo, nei rapporti di lavoro, nel traffico quotidiano, nel controllo dei vigili urbani, eccetera eccetera, tutto funziona davvero secondo le “regole” - e la buona educazione. Mi sia consentito uno scetticismo assoluto.

Rina Gagliardi
Roma, 2 settembre 2007
da “Liberazione”