Questa lettera è stata inviata circa due settimane orsono al settimanale “Il Cittadino” che però non ha ritenuto di pubblicarla.
Con l’ennesima inchiesta per la malapolitica si sta scoperchiando un verminaio di intrecci
incoffessabili fra certa politica e le mafie in Brianza.
Ma gentile Direttore le posso dire con certezza che questa indagine è solo la punta di un iceberg.
Sotto c’è una base di compiacenti relazioni politiche quotidiane che vedono comportamenti
sempre al limite della legalità e a volte della decenza.
Il Dott. Mapelli durante la sua audizione davanti alle commissioni in Provincia è stato fin
troppo chiaro nello spiegare che non siamo di fronte ad un fenomeno importato: oggi la seconda e
la terza generazione dei colletti bianchi delle ‘ndrine brianzole sono autoctoni.
Al di la del cognome, quale vincolo di parentela che vale sempre, oggi sono in azione soggetti,
addirittura al femminile, che governano i percorsi del riuso dei proventi illeciti in attività lecite.
Ed è proprio qui che la politica deve tornare a fare la sua parte; è qui che la parte
sana dell’economia brianzola deve alzare la testa. Solitamente gli uomini delle ‘ndrine,
cosche, clan e stidde che siano cercano di capire se vi è l’humus per esercitare
la pressione utile alla penetrazione a suon di banconote da 500 euro.
Dunque i fatti di malcostume politico sono il brodo primordiale nel quale sguazzano questi personaggi.
Ad esempio la danza delle poltrone negli enti pubblici partecipati con CdA zeppi di figli, nipoti,
mogli e cognati di sindaci, assessori e politici della Lega e del PdL brianzoli; oppure la presenza,
a vario titolo sempre in questi enti, sempre degli stessi personaggi; ecco tutto questo è il
buon viatico per dapprima la compiacenza e poi la collusione con gli ambienti della criminalità.
Anche perché proprio la ‘ndrangheta può insegnare come strutturarsi in una piramide
di comando a conduzione familiare.
Altro elemento inquietante, per altro denunciato dall’ex Procuratore di Monza Pizzi, è che
il raket e l’usura sono diffusi in Brianza ma non c’è l’abitudine alla denuncia.
E chi la può fare la denuncia se non il commerciante o l’imprenditore in balia degli
strozzini e degli estorsori?
Non parliamo poi della questione della gestione del territorio dal proliferare delle discariche abusive
(operazione Star Wars), dei centri commerciali (prossimo Pam Antares) e la gestione allegra dei pgt
con le varianti delle varianti per aiutare gli amici degli amici (proprio da una variante al Pgt
di Desio pare siano arrivate le grane di mister “la passione continua” oltre al fallimento
della Pellicano srl per un buco di 600.000,00€).
Già nel 2008 la Commissione Parlamentare Antimafia in un’approfondita relazione sulla ’ndrangheta
segnala la pervasività delle ‘ndrine in Brianza.
Secondo l’Antimafia, la Brianza è stata individuata dalle ‘ndrine territorio
per riciclare i proventi del traffico di cocaina. Traffico che vede fra Milano e dintorni circa 120.000
consumatori abituali di cocaina i quali portano nelle casse delle ‘ndrine centinaia di milioni
di euro giorno (operazione Sunrise).
Secondo la DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) il 35% di questi proventi illeciti viene
utilizzato per il mantenimento della struttura malavitosa, il resto viene immesso nel mercato legale
attraverso tantissime attività: oltre agli appalti pubblici anche le sale gioco scommesse
e bingo di varia natura. Ma l’allarme ultimo arrivato sempre dalla DDA è inequivocabile;
per questa innovativa capacità imprenditoriale le ‘ndrine prima prestano denaro e poi
si pappano l’impresa che diviene l’oggetto legale dell’attività illegali.
Cosa si può fare davanti a questa superpotenza piena di soldi e di consenso politico? Molto.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in maniera instancabile hanno sempre detto che la sola opera
di contrasto militare, pur importante e decisiva, non è sufficiente a sradicare la malapianta.
Serve un percorso di legalità che attraversa l’intera società dalla scuola, alla
politica e all’impresa che educhi il singolo cittadino a farsi fare la fattura anche per 50
euro, piuttosto che ripensare ad una politica di servizio ai cittadini e un’imprenditoria che
pensi anche al bene comune e non al solo egoistico tornaconto.
Da questo punto di vista la Brianza è ancora in gran parte incontaminata dal cancro delle
mafie, e se prende coscienza di questa sua propensione, può diventare un esempio per l’intero
Paese.
Servono segnali forti ad esempio come in terra siciliana: la Confindustria della Regione Sicilia
ha deciso che gli imprenditori collusi con “cosa nostra” vengono espulsi d’associazione;
serve la Commissione Antimafia Provinciale per aiutare la buona politica a creare e gestire correttamente
un Fondo Antiusura, oppure il riuso dei patrimoni confiscati ai capimafie, o per sostenere quei Comuni
che intendono gestire gli appalti non più con le gare d’appalto al minor costo, ma aggiudicare
le offerte di qualità sostenibile per l’ente e i suoi cittadini; attivare il monitoraggio
sugli appalti in generale ed in particolare su quelli della Villa Reale, della Pedemontana e delle
opere infrastrutturali che appaiono essere più utili agli affari dei soliti noti che ai cittadini
brianzoli.
Educare, denunciare e monitorare queste e tante buone pratiche possono essere il vero argine al dilagare
della malapolitica, del malaffare che sono tumore col quale cresce e si diffonde il cancro della
criminalità in Brianza.