Giovani e lavoro
Una frattura generazionale

I dati sulle nuove assunzioni (riferiti al 2000 ndr) dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, quello che ormai diciamo da tempo. La stragrande maggioranza delle nuove assunzioni, e quindi dell'inserimento di giovani nel mondo del lavoro, consiste in lavori precari, con contratti a termine e “atipici” e con un altissimo livello di flessibilità e incertezza.

La precarietà definisce non solo, quindi, una condizione materiale e sociale ma disegna una nuova questione generazionale, assume i contorni di una possibile frattura tra “vecchi” e “nuovi” lavoratori.

Giornali e uomini politici, sono concentrati in questi giorni sulla monotona litania della “questione giovanile” attorno alla tragedia di Novi Ligure - abbandonata in tutta fretta l'altrettanto monotona ma più pericolosa campagna sul pericolo immigrazione - ma fingono di non accorgersi dei reali processi che investono, non solo singoli, ma la stragrande maggioranza delle nuove generazioni.

Non ci si interroga su come la precarietà investa la stessa percezione di sé e del rapporto con l'insieme della società, di come le nuove condizioni di lavoro imposte ai neo assunti modifichino i comportamenti sociali, i punti di riferimento (sempre più rari) e le possibilità di progettare e pensare se stessi oltre il “qui ed ora”.

Come Giovani Comunisti da tempo abbiamo colto la centralità della questione del lavoro precario, e della precarietà in genere, come il nodo attorno a cui sviluppare un'analisi delle condizioni di vita delle nuove generazioni, per poter cogliere le parole d'ordine e i bisogni attorno ai quali animare un nuovo protagonismo giovanile che proponga, di nuovo ma in modo del tutto originale, la volontà dei giovani di essere liberi di “vivere la propria vita”.

In una fase in cui lo spettro della disoccupazione riguarda fasce sempre più ampie della popolazione, investendo larga parte dei giovani laureati che invece si aspettavano un miglioramento delle proprie possibilità rispetto ai genitori, le nuove generazioni possono essere attratte dalla filosofia del “precariato come libertà”, del “flessibile perché decido io come e quando lavorare”.

Ma di nuovo la realtà aiuta a svelare l'inganno, a smascherare la campagna che ormai da tempo padronato e, purtroppo, sindacati confederali portano avanti contro l'idea stessa che avere un lavoro significhi anche avere dei diritti.

La vertenza dei 147 della Fiat, gli scioperi alla Mc Donald's, a Firenze come a Parigi, la bocciatura dell'accordo sul lavoro domenicale e sui part time imposti all'Ikea, gli scioperi nei call-center della Tim, svelano il “lato oscuro” della precarietà, i licenziamenti, in primo luogo, ma anche il super sfruttamento, le pressioni e le violenze vere e proprie da parte delle aziende contro lavoratori che non possono permettersi di protestare troppo. Noi abbiamo solidarizzato con quelle lotte, dove siamo stati in grado le abbiamo sostenute, e continueremo a farlo.

Ma la solidarietà non basta.

Adesso si tratta di contribuire a fondo allo sviluppo di lotte e vertenze contro il precariato, di favorirne la visibilità e la ricomposizione sul territorio nazionale, di impegnarsi a fondo perché si sviluppi una vera e propria vertenza nazionale contro il precariato che, a partire dalle singole lotte nei posti di lavoro, sappia individuare controparti comuni, la Confindustria ma anche il governo, perché il precariato non è né una necessità, né tantomeno un'opportunità. La precarietà è un'ingiustizia e così va combattuta.

Esecutivo Giovani Comunisti
Roma, 28 febbraio 2001
da "Liberazione"