In un'inchiesta della Gioc (Gioventù operaia cristiana) il ritratto di una generazione in difficoltà
Il giovane lavoratore italiano precario e senza formazione

Una generazione pericolosamente in bilico tra il baratro della precarietà e le nuove opportunità offerte dai mutamenti del mercato del lavoro. Che percepisce l'importanza di organizzarsi con gli altri per migliorare la propria condizione lavorativa ma, nel contempo, non ritiene praticabile la strada delle classiche organizzazioni di rappresentanza e tutela degli interessi: vale a dire il sindacato e i partiti politici.

Questo, in sintesi, il ritratto dei giovani in Italia che emerge da un'indagine condotta nei mesi scorsi dalla Gioc (Gioventù operaia cristiana) e presentata ieri presso la sede di Radio Vaticana.

L'inchiesta “Ci sto dentro” è stata realizzata su un campione di 1500 ragazzi, di età compresa tra i 15 e i 29 anni.

Il questionario è stato somministrato esclusivamente ai giovani lavoratori o a disoccupati con almeno un'esperienza di lavoro. Una scelta che differenzia questa ricerca da altre realizzate su tematiche analoghe ma con campioni comprensivi anche degli studenti.

Il primo elemento significativo, posto in evidenza dalla Gioc nel documento che illustra e fornisce una prima interpretazione dei risultati dell'inchiesta, è che «nonostante tutto quello che si sente dire, il lavoro operaio, quello “fatto con le mani”, esiste ancora e non è per nulla residuale». Lo si dimostra il fatto che il 42% dei giovani incontrati si qualifica come operaio comune o specializzato e il 32% come impiegato tecnico o esecutivo.

Ad emergere con chiarezza è la condizione di precarietà che ha investito le ultime generazioni, a seguito dell'aumento della flessibilità: il 13.8% è disoccupato, mentre un terzo degli occupati ha un contratto “atipico” o vive un rapporto di lavoro autonomo.

Va sottolineato inoltre che avere un lavoro non offre oggi la possibilità di accedere automaticamente a una retribuzione dignitosa, dal momento che solo il 13.6% degli intervistati dichiara di guadagnare più di 2 milioni al mese.

Nonostante questo i giovani non smettono di guardare con fiducia al futuro: c'è addirittura un 79% che si dice convinto che fra 5 anni la propria situazione lavorativa sarà migliore.

Un atteggiamento positivo nei confronti della vita, che non riesce però a fare i conti con la dura realtà del mercato del lavoro. Che spesso non offre ai giovani gli strumenti necessari per progredire. Un dato su tutti: il 67.9% degli intervistati non sta frequentando nessun corso di formazione. «In una stagione in cui si parla di formazione permanente e di rapidi cambiamenti cui saremo soggetti non solo rispetto al posto di lavoro, ma anche rispetto alle competenze - avverte la Gioc - si corre il rischio che questi giovani siano i primi esclusi dal mercato del lavoro in evoluzione». Ciò è tanto più vero se si pensa che il 38.3% dei ragazzi italiani, pur iscritto alla scuola superiore, non arriva regolarmente al diploma, il 39.7% non ha mai navigato in Internet, il 61.3% non è mai andato all'estero.

Una generazione, insomma, per buona parte priva di quelle nozioni e di quella cultura indispensabili per essere competitivi nel nuovo contesto determinato dalla globalizzazione dell'economia e dalla progressiva riduzione delle tutele e dei diritti sotto i colpi del liberismo.

Se da un lato c'è la consapevolezza che la via più efficace per migliorare la propria condizione è quella di organizzarsi con gli altri (lo afferma il 55.3% del campione), dall'altro si ha uno scarsissimo interesse verso le attuali e classiche modalità partecipative. «Questi giovani - osserva la Gioc - non si mostrano tanto “contro” la politica, il sindacato, l'associazionismo, quanto estranei.

A questo proposito - sottolinea ancora il documento - il 52.5% afferma che senza il sindacato le cose in questo paese andrebbero peggio, riconoscendo quindi una grossa stima all'istituzione-sindacato, ma uno scarso fascino all'associazione-sindacato (l'85.5% non è iscritto)».

Quanto alle modalità di lotta, prevale l'opzione moderata: il 32.6% indica nella concertazione tra le parti sociali il modo più efficace per risolvere i problemi, contro un 9.3% che preferisce la protesta organizzata.

Roberto Farneti
Roma, 6 giugno 2001
da "Liberazione"