Skins Inter allo stadio e Azione Skinhead in piazza, sono in molti casi il doppio passaporto di tanti ...

Nazinter

Piccola storia sociale dei tifosi nazi dell'Inter

Di solito la partita inizia così: braccio destro alzato nel saluto romano, si cantano in serie «me ne frego» e uno slogan ritmato con battimani che dice «noi non siamo del Leoncavallo». Non sono tantissimi ma nemmeno pochi, si chiamano Irriducibili e sono la parte più nera della curva nord di Milano, quella di fede interista.
Gli Irriducibili dell’Inter non sono spuntati dal nulla. C’è una storia, politica e calcistica, che parte indietro nel tempo e porta ai giorni d’oggi, alle coltellate con cui quest’estate hanno lasciato per terra sei ragazzi nel quartiere Ticinese, a Milano, a due passi dal centro sociale Conchetta.

La tifoseria dell’Inter si è sempre considerata più aristocratica e «milanese» rispetto ai cugini milanisti: «bauscia» i nerazzuri, nella tipica espressione dialettale che indica il milanese bene, «casciavit» [cacciaviti] i rossoneri, per definirne le origini popolari. Anche per questo, quella tra i tifosi di Inter e Milan non è mai stata solo una contrapposizione tra fedi calcistiche: per tanti anni sono state condizioni sociali, culturali, economiche, abitative e politiche a contrapporsi per mezzo dei diversi colori delle maglie. Negli anni sessanta nascono i gruppi ultras. La politica era un fattore di fermento sociale fortissimo, e le aggregazioni da stadio ne erano influenzate enormemente: cori, nomi, iconografia e comportamenti avevano direttamente a che fare con ciò che attraversava le piazze, anche perché spesso e volentieri i giovani che si riunivano dietro gli striscioni dei cortei del sabato erano gli stessi che, dietro altri striscioni, cantavano i cori alle partite. Il nome del primo gruppo ultras in casa nerazzura [Boys San, 1969] mutua in quella sigla San [Squadre d’Azione Nerazzurra] la denominazione di quelle Squadre d’Azione Mussolini che nella Milano di quegli anni imperversavano, aggredendo studenti e lavoratori di sinistra.

Inter-Milan e destra-sinistra

Durante tutti gli anni settanta, e la primissima parte degli ottanta, gli scontri tra interisti e milanisti sono spesso anche scontri tra fascisti e compagni. La linea di demarcazione non è ovviamente netta, anche nella curva sud di fede rossonera ci sono sempre state presenze di ragazzi di destra, anche se assolutamente minoritarie; diciamo che il binomio interisti-destra e milanisti-sinistra è una semplificazione che denota una tendenza generale senza tener conto delle eccezioni.

Gli scontri di quegli anni sono molto duri, nelle piazze e nei cortei, ma non sono da meno negli stadi e nelle curve: la priorità per le forze dell’ordine sono i movimenti e l’attenzione riservata agli ultras è ben diversa da quella di oggi. È così che gli scontri tra interisti e milanisti sono numerosi e violentissimi, e ad ogni tipo di arma impropria non sono rari i casi in cui si aggiungono bottiglie molotov, e compaiono, anche se raramente usate, armi da fuoco.

È anche per questo che ad un certo punto avviene ciò che in piazza non sarebbe pensabile: dopo un derby estivo di nessuna importanza in cui ci sono ben ventuno feriti per armi da taglio i «capi» delle due curve si incontrano e siglano un patto di non aggressione. Da quel giorno, scontri non ce ne saranno più.
Ma mentre in casa rossonera pian piano si allarga quell’accordo a tutti i principali gruppi e si definisce la curva come un luogo in cui «non si fa politica», in casa interista le cose non vanno così: la curva mantiene una connotazione spiccatamente di destra un po’ in tutti i suoi gruppi [i principali, oltre ai Boys, sono gli Ultras e i Vikings], e soprattutto uno tra questi, che emerge nella seconda metà degli anni ottanta, simbolo un’ascia bipenne nel nome «Inter» al posto della «i», gli Skins, aggregano parte di quel movimento skin che, dalle origini apolitiche e antirazziste si approssima a idee nazionaliste e intolleranti e trova, a cavallo tra lo stadio e la politica, organizzazioni skin neonaziste [i «bonhead»] come punto di riferimento.

A Milano Skins Inter allo stadio e Azione Skinhead in piazza sono in molti casi il doppio passaporto di tanti, come Paolo Coliva, non casualmente chiamato «armiere», capo sia in curva che in piazza, poi morto di Aids, e Duilio Canu, attualmente assai meno presente in curva e con una capigliatura più folta, ma dirigente locale di Forza nuova. Intorno a loro, un sottobosco di personaggi che a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta spesso stazionano dalle parti delle Colonne di San Lorenzo o nella sede vicino a piazzale Cuoco, da dove partono per aggressioni a centri sociali e immigrati, davanti al Leoncavallo, alla Fiera di Sinigallia, al Parco Sempione.

I commerci di biglietti

Le cose non gli vanno però sempre bene: in piazza, dopo l’ennesima aggressione al centro anarchico di via De Amicis, una sera, da tutta la città partono spontaneamente gruppi di compagni che irrompono alla birreria Oktoberfest alle Colonne. Birreria chiusa [in seguito cambierà nome e gestione], nazisti all’ospedale. Allo stadio, invece, è il resto della curva nord a fare pulizia e a sciogliere il gruppo degli Skins Inter, anche se non per motivi politici. Semplicemente, gli Skins, riottosi alle gerarchie, disturbano l’andamento degli affari, assai cospicui, degli altri gruppi [e di alcuni noti personaggi ancora in attività], nel commercio dei biglietti, del materiale in vendita, delle sostanze proibite.
Ma a determinare il periodo di appannamento degli Skins neonazi, allo stadio e nelle piazze, ci sono anche altri due fattori: le «pere» di eroina, di cui tanti tra loro si fanno abbondantemente al di là dei volantini sul «no alla droga», e la magistratura, che con un’operazione a livello nazionale mette sotto inchiesta Azione skinhead.

Tutto finito quindi? Assolutamente no. In città gli skin neonazi si riorganizzano, in parte attraverso il coinvolgimento in Forza nuova, in parte attraverso la costruzione di un circuito meno visibile, ma che col tempo costruisce una vera e propria micro-comunità: aprono, in via Cannero 7, la Skinhouse, sede dell’Associazione Culturale Spazio libero [sic!], dove organizzano concerti del circuito «white-power» e Rac [Rock against communists], e sede della neonata organizzazione Hammerskin, affiliata alla omonima rete internazionale degli skinheads neonazi. Nelle vicinanze, in piazzale Maciachini, aprono un paio di negozi di abbigliamento e tatuaggi, Last Resort e Nutty, utili a mantenere la dimensione aggregativa prepolitica che è anche fonte di reclutamento. Allo stadio invece nascono per l’appunto gli Irriducibili Inter, in parte raccogliendo le ceneri degli skin, in parte con l’ingresso di membri di altri gruppi della curva e di ragazzi nuovi.

Oggi le cose stanno così. La sovrapposizione tra Irriducibili e Skinhouse è pressoché totale, al punto che i gestori di quest’ultima, Darietto e Todo, sono anche i riferimenti del gruppo allo stadio. I rapporti con il resto della curva nord sono precari: negli ultimi anni, di fronte al susseguirsi di provocazioni a sfondo politico nei derby, rivolte in particolare da parte degli Irriducibili verso la Fossa dei Leoni, considerato il gruppo più di sinistra, i responsabili dei gruppi nerazzurri hanno «informalmente» fatto sapere che se vi fosse stata una reazione da parte dei milanisti, loro non si sarebbero interposti [nel linguaggio spiccio dello stadio, «se li ammazzate a noi non ce ne frega un cazzo»].

Ciò che è successo quest’estate a Milano e Bergamo ha dei retroscena. Si stanno riaggregando gruppi skin neonazi di varie zone della Lombardia attorno agli Irriducibili-Skinhouse. Ex ultras del Varese calcio e del basket, gruppi bonheads di Castellanza, Legnano, Busto Arsizio, Pavia, Bergamo, di un po’ tutta la Brianza, si stanno organizzando, per «pesare» di più dentro la curva nord, per tornare ad essere, a Milano in particolare, una presenza temuta. Chi frequenta il Ticinese e i Navigli, a Milano, sa che erano settimane, se non mesi, che un gruppo di una trentina di nazi si aggirava durante le serate più affollate aggredendo chi fumava «canne», giocava a pallone o semplicemente stava seduto in cerchio con una birra in mano: chi, insomma, rendeva quella zona un luogo di aggregazione informale.
Aggressioni che si sono ripetute con una certa frequenza, e che, non avendo colpito direttamente compagni dei centri sociali, hanno tardato a diventare notizia, anche nel movimento.

Nel gruppo, vecchie facce del neonazismo milanese ma anche tanti giovani: sono quelli cresciuti in questi anni ai concerti della
Skinhouse e alle partite dell’Inter, ragazzi che hanno imparato una logica dello scontro di piazza che è fatta di coltelli in mano e attacchi mordi e fuggi.

I ragazzi di Piazzale Lotto

Sono i ragazzi di piazzale Lotto, compagnia di piazza che è, nel corso di questi anni, passata dagli schiaffi nelle scuole superiori alle «lame» in piazza, negli stadi e negli autogrill, oltre che alle taniche di benzina fuori dai centri sociali e delle associazioni di migranti. È una destra neonazista che fa poca politica, intesa come costruzione di iniziative e di comunicazione, ma che agisce con una pericolosità e spregiudicatezza preoccupanti. La soluzione però non si può pensare di delegarla ai gruppi ultras, avversi per colori di squadra e/o politici, piuttosto che colleghi di curva stanchi di quest’anomalia. La soluzione spetta ai movimenti tutti e alla loro capacità di usare cervello, creatività, forza, in dosi adeguate alla necessità.

Altremappe
Internet, 9 settembre 2004
da "www.altremappe.org"