Lazio - Livorno, 10 aprile 2005. Sventolio di croci celtiche e di svastiche del Terzo Reich rimaste sugli spalti laziali per l’intera durata dell’incontro senza che nessuno si sia degnato di fare qualcosa per rimuoverle.

Fascisti laziali in curva, ma la polizia picchia i tifosi livornesi

Per qualche ora si è temuto il peggio ed il pensiero è andato subito a Genova. Il fantasma della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto, la caserma delle sevizie e delle torture denunciate da migliaia di ragazzi, è ancora vivo e giunge drammaticamente alla mente ogni qual volta si sente parlare di fermi ed arresti di massa da parte delle forze di pubblica sicurezza.

Sono 254 i ragazzi del Livorno fermati ed identificati per danneggiamenti e 6 arrestati con l’accusa di violenza e resistenza a pubblico ufficiale.Giunti a Roma per assistere a Lazio-Livorno,partita numero 30 del Campionato italiano di calcio, fino alle 19 di ieri sera buona parte di loro erano ancora dislocati in almeno due caserme romane.
Voci di maltrattamenti da parte delle forze di Polizia (sembra che i ragazzi siano stati tenuti a digiuno per l’intera giornata e minacciati da alcuni agenti) e poche e ed evasive informazioni e dichiarazioni da parte della questura, lasciavano presagire uno scenario affatto tranquililzzante.
Una situazione che si è parzialmente sbloccata solo nel corso della serata ma che ha creato momenti di vivissima preoccupazione e di tensione tra le numerose famiglie livornesi coinvolte, tra le madri ed i padri che si sono recati davanti al prefettura di Livorno a chiedere conto di cosa stesse succedendo. Per qualche ora si è temuto il peggio ed il pensiero è andato subito a Genova. Il fantasma della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto, la caserma delle sevizie e delle torture denunciate da migliaia di ragazzi, è ancora vivo e giunge drammaticamente alla mente ogni qual volta si sente parlare di fermi ed arresti di massa da parte delle forze di pubblica sicurezza.

Roma fascista - foto AP

Si torna nel clima cileno dei giorni genovesi ed è difficile non preoccuparsi o evitare di vigiliare con molta attenzione sulla correttezza dei comportamenti delle forze dell’ordine. E’questa forse la conseguenza più grave delle sevizie genovesi: avere creato un fondo di sfiducia ed uno strappo cittadini-forze dell’ordine che stenta a ricucirsi.
A conferma della preoccupazione e della delicatezza della situazione nel tardo pomeriggio il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, chiedeva alla prefettura di Roma di tutelare i tifosi toscani bloccati a Roma. «La mia prima e più importante preoccupazione» - ha spiegato il sindaco - è quella di riportare a casa i ragazzi rimasti a Roma dopo gli scontri con la polizia».
Portare in caserma 256 ragazzi, del resto, non è cosa da poco. Difficile pensare ad un reato di natura collettiva e la preoccupazione di genitori e istituzioni del comune toscano si è fatta sentire fin dalle prime ore della giornata. Telefonate e voci concitate dalla caserma alla prefettura di Livorno e dalla giunta comunale al ministero degli interni. Tutti con un unico interrogativo: che fine hanno fatto i 256 ragazzi di Livorno giunti a Roma per assistere alla partita Lazio-Livorno?
Una situazione che si è parzialmente risolta solo in tarda serata quando dalla questura di Roma è arrivata la conferma che tutti i ragazzi erano stati rilasciati. Attesi a Livorno in nottata, bisognerà verificare in quali condizioni sono stati rilasciati.

Livorno rossa - foto ANSA

Una sfida calda quella dell’Olimpico. Una sfida che metteva di fronte gli ultras laziali tradizionalmente di destra con gli ultras livornesi di sinistra. La mano tesa di Di Canio contro il pugno chiuso di Lucarelli. E proprio nei giorni in cui il pontificato di Papa Giovanni Paolo II veniva elogiato da tutto il mondo per il riavvicinamento, voluto e ottenuto, con i "fratelli maggiori ebrei", la curva nord dell’Olimpico distante poche centinaia di metri dalla casa del Papa - pensava bene di intonare il coro: “Livornese ebreo”, accompagnandolo con uno sventolio di croci celtiche e di svastiche del Terzo Reich rimaste sugli spalti laziali per l’intera durata dell’incontro senza che nessuno si sia degnato di fare qualcosa per rimuoverle. Come se ciò non bastasse la curva biancoceleste ha intonato anche un bel “me ne frego”,un “boia chi molla” ed alla fine dell’incontro di calcio - perché è di questo che si sta parlando - ha esposto uno striscione gigante con la scritta “Roma è fascista”. Uno spettacolo indegno del quale il patron della Lazio Claudio Lotito si è sentitamente rammaricato declinando però ogni responsabilità e confermando l’impossibilità di poter intervenire.

Croci celtiche - foto AP

«Lo sport» ha dichiarato il presidente della Lazio «deve prescindere dalle posizioni politiche». Come se sventolare una bandiera nazista e scrivere “Roma è fascista” fosse una posizione politica e non, piuttosto,un crimine perseguibile dalla legge oltre che un offesa gravissima alle centinaia di migliaia di vittime del fascismo e del nazismo.
Una scusa, quella della presenza della politica negli stadi che serve a celare colpe e responsabilità quasi la politica fosse, per sua stessa natura, inevitabile catalizzatore di scontri e l’ispiratrice diretta di cori di inaudita violenza ed ignoranza.
E non è politica, è bene sottolinearlo, neanche quella dei tifosi del Livorno molti dei quali non meritano di intonare “bella ciao” o “bandiera rossa”, come hanno fatto ieri allo stadio.
Nel frattempo il ministro degli Interni Pisanu dichiara di voler «chiudere gli stadi più a rischio» e Galliani ribadisce l’impotenza delle società che, sostiene il presidente della Lega Calcio, «non possono certo fare miracoli» e propone «barriere mobili negli stadi da alzare e abbassare all’occorrenza». Una trovata, questa delle barriere, che la dice lunga sulla volontà di affrontare il problema della violenza negli stadi.

Davide Varì
Roma, 12 aprile 2005
da "Liberazione"