Il ruolo della popolazione e dei soldati nella resistenza alle truppe tedesche in ritirata

Quel sud in rivolta contro i nazisti

Intervista a Francesco Barbagallo, docente di Storia contemporanea a Napoli

La Resistenza nel sud dopo l'8 settembre, il ruolo delle forze armate nel meridione nella battaglia per la liberazione del Paese. Queste due tematiche sono state a lungo dimenticate dalla storiografia che solo in questi ultimi anni ha reso giustizia a chi, con modalità diverse da quelle attuate nel resto dell'Italia, contribuì alla lotta contro il nazifascismo. Di questi interessanti aspetti storici abbiamo parlato con Francesco Barbagallo, professore di Storia contemporanea all'Università Federico II di Napoli. «Negli ultimi anni - dice lo storico - la ricerca ha affrontato alcune questioni nuove: da un lato il comportamento dei militari italiani, i quali combatterono contro i tedeschi sia al sud che al nord che su altri fronti di guerra accanto alle bande partigiane del nord dirette soprattutto da comandanti comunisti e del partito d'Azione; dall'altro - e su questo tema Gabriella Gribaldi ha lavorato molto - il racconto dei massacri nazisti, delle rappresaglie tedesche dopo l'8 settembre e delle conseguenti rivolte, vicende meridionali messe in luce soprattutto attraverso la memoria dei sopravvissuti, che erano state prima d'ora completamente dimenticate.»

In che contesto si inseriscono questi fatti drammatici?

Dopo lo sbarco alleato del 9 settembre a Salerno i tedeschi, che avevano previsto lo sbarco, hanno resistito agli Alleati e sono arretrati lentamente dalla costa salernitana presso il Volturno e poi verso il Garigliano, per poi attestarsi sulla linea Minturno-Cassino, dove hanno resistito fino alla primavera. Su questi mesi, dal settembre del '43 all'aprile del '44, la memoria storica si era persa. Come ha scritto la Gribaldi i tedeschi avevano coniato la parola d'ordine della "terra bruciata", nel senso che arretrando hanno distrutto paesi, edifici, hanno deportato gli uomini, provocando in questo modo delle insurrezioni popolari, per esempio nel casertano. E dunque la strage di Caiazzo, di Bellona, di Sparanise che sono state ricostruite negli ultimi anni. Il primo a studiare queste cose fu Peppino Capobianco, segretario della federazione comunista di Caserta. Il primo punto di novità è dunque aver ricostruito questa resistenza della popolazione civile anche nel Mezzogiorno, nelle zone ancora occupate dai tedeschi.

Perché solo adesso si è parlato di questo aspetto delle Resistenza?

La ragione generale riguarda appunto la storiografia, che nel passato seguiva un po' la politica e i problemi erano i problemi politici dei partiti. E' prevalsa dunque l'idea della Resistenza guidata dai comunisti, dagli azionisti, dagli stessi cattolici. Per quanto riguarda il sud c'è stato anche, come viene riconosciuto oggi dagli studiosi che si occupano di questi problemi, un po' l'appiattimento a quello che fu poi l'atteggiamento per il referendum. Sia Napoli, Caserta e le province diedero, come è noto, un grande suffragio alla monarchia, facendo passare l'idea che le élites politiche fossero su posizioni conservatrici, qualunquistiche o monarchiche. Tutto questo ha confermato l'idea che il sud fosse sostanzialmente estraneo alla Resistenza. Il punto è che è stato estraneo alla Resistenza come si è svolta al nord, con le brigate partigiane. Ma in realtà prima ancora che scoppiasse tutto questo, la Campania, proprio in quanto luogo dove si è svolta la lenta ritirata dei tedeschi e la feroce rappresaglia sulle popolazioni civili, è stata protagonista di una reazione popolare di tipo spontaneo, non organizzata e non diretta da elementi politici. Perché queste rivolte erano motivate dalle razzie che facevano i tedeschi. Tutto questo ha determinato insurrezioni e quindi stragi. La più famosa è quella di Caiazzo, per cui c'è stato anche un processo in Germania.

Quale fu invece il comportamento dei militari?

Non tutti i capi si defilarono. C'è a Salerno una via dedicata al generale Gonzaga che venne fucilato dai tedeschi perché non passò dalla loro parte. Il problema dei militari è legato al tradimento di Badoglio e degli alti comandi. Cioè l'armistizio, l'abbandono della capitale, non tanto da parte del re, perché in quanto espressione dello Stato italiano si doveva mettere in salvo, ma da parte del capo del governo, dei comandi militari che avrebbero dovuto affrontare la difesa di Roma prima dell'8 settembre. Invece, come sappiamo, Badoglio non fu in grado nemmeno di opporsi ai tedeschi per consentire l'aviosbarco della divisione comandata dal generale Maxwell Taylor. Se fosse riuscita l'operazione i tedeschi si sarebbero trovati chiusi tra Roma e Salerno e invece Badoglio fece la scelta di scappare per primo. E lì ci fu l'ulteriore dramma nella dissoluzione dello Stato e della nazione italiana. In questo contesto drammatico molti militari scelsero la strada di opporsi ai tedeschi. A seconda dei luoghi dove si trovavano fecero le scelte che potevano fare. Nel nord organizzarono delle bande partigiane, a sud spesso si trovarono schierati con le popolazioni. Ma tutto questo fino a poco tempo fa non è stato nemmeno oggetto di ricerca storica. Come, per esempio, il problema dei militari internati dai tedeschi, su cui Alessandro Natta scrisse quel bel libro alcuni anni fa, essendo stato lui stesso internato. La stessa strage di Cefalonia, sulla quale Ciampi è intervenuto più volte, è stata ignorata fino a poco tempo fa. La realtà è dunque molto più ampia, complessa e drammatica. Oggi per un verso non va ridotta a questa specie di mito della lotta partigiana che è una realtà politica consistente che però non costituisce l'unico aspetto di una vicenda drammatica che coinvolge in vario modo anche la popolazione civile. Per un altro verso è stato tolto di mezzo quel tentativo revisionista di parlare di "morte della patria", che fu fatto da Renzo de Felice e da Galli della Loggia una decina di anni fa e che è stato rintuzzato personalmente dal Presidente della Repubblica. Perché di "morte della patria" non si può parlare per il periodo della Resistenza perché se la patria era morta, era morta per colpa del fascismo durante il fascismo, che aveva escluso i non fascisti dalla patria. L'8 settembre del '43 si dissolse il regno d'Italia costruito nel Risorgimento e iniziò una nuova storia che ricostruisce un'idea di patria e di nazione fondata sui nuovi valori che emergeranno in quegli anni.

Vittorio Bonanni
Roma, 7 settembre 2003
da "Liberazione"