Dall'“armadio della vergogna” nuove imbarazzanti verità.

Ecco chi oltraggiò i partigiani a Piazzale Loreto

Tra i fascicoli occultati per decenni anche quello relativo alla fucilazione a Milano, il 10 agosto del 1944, di 15 antifascisti decisa dai tedeschi e eseguita dai repubblichini che esposero i corpi delle vittime

Il cosiddetto "armadio della vergogna" continua a riservare sorprese. Dall'analisi di uno dei fascicoli occultati emergono infatti nuovi elementi circa le responsabilità della gigantesca operazione di insabbiamento riguardo gli autori degli eccidi commessi fra il 1943 ed il 1945 dai militari tedeschi, dalle SS e dai fascisti italiani. 15 mila le vittime, stimate per difetto, tra la popolazione civile, donne e bambini compresi. Come noto, nel 1994 furono casualmente rinvenuti a Palazzo Cesi, a Roma, sede della Procura Generale Militare, 695 faldoni abbandonati in un armadio con le ante chiuse rivolte contro il muro, con gli atti delle indagini svolte dagli organi di polizia italiani e dalle commissioni d'inchiesta anglo-americane, con i nomi ed i cognomi di moltissimi protagonisti di quegli efferati episodi, ricostruiti attraverso testimonianze spesso oculari.

La maggior parte dei fascicoli fu inviata alle Procure Militari competenti. Pochi i processi istituiti, dato il tempo trascorso e la morte di quasi tutti i possibili imputati. Uno di questi, relativo alla fucilazione a Milano, il 10 agosto del 1944 in Piazzale Loreto, di 15 antifascisti, deciso dalle autorità tedesche per rappresaglia a seguito di un attentato ad un autocarro che vide il ferimento di un militare della Wermacht e la morte di alcuni civili italiani, si concluse davanti il Tribunale Militare di Torino, il 9 giugno del 1999, con la condanna all'ergastolo dell'ex-capitano delle SS Theodor Saevecke, prima della sua morte, avvenuta in Germania nel dicembre del 2000. Un episodio rimasto vivo nella memoria della città.

Partigiani uccisi in Piazzale Loreto

L'esecuzione sommaria in luogo pubblico avvenne in spregio ad ogni diritto bellico, l'elenco dei nominativi fu predisposto sulla base dei detenuti politici rinchiusi nel carcere di San Vittore ed il plotone di esecuzione, formato da italiani della Guardia Nazionale Repubblicana e della Legione Muti, vigilò affinché i cadaveri, quale monito per la popolazione, rimanessero a lungo sul selciato. Da questo episodio l'origine dell'esposizione sulla stessa piazza, la mattina del 29 aprile del 1945, dei cadaveri di Benito Mussolini e degli altri gerarchi fucilati a Dongo.

Ora, dopo che nell'ottobre del 2003, è stata finalmente costituita, non senza qualche fatica, una commissione d'indagine parlamentare per far luce sulle cause di questo scandalo, l'approfondimento delle carte consente di giungere a nuove conoscenze. E' il caso proprio del fascicolo relativo all'eccidio di Piazzale Loreto, contrassegnato dal numero 2167.

In una relazione da poco depositata dal giudice milanese Guido Salvini, consulente della commissione parlamentare, ricaviamo infatti come sia stato scientemente deciso dalle autorità politiche italiane l'occultamento e la protezione dei responsabili di questa strage.

Il fascicolo fu aperto nei confronti di 13 tedeschi e 4 italiani, responsabili a vario titolo della catena di comando che aveva portato alla fucilazione in Piazzale Loreto, sulla base di un approfondito lavoro della Sezione Investigativa del Comando Alleato, che già nel 1946 aveva raccolto circa una quarantina di testimonianze in lingua inglese di italiani e tedeschi, oltre ad alcune fotografie. Una solida base probatoria che coinvolgeva non solo il capitano Saevecke, responsabile per la Lombardia della SIPO-SD, e cioè della "Polizia e Servizio di Sicurezza", ma buona parte dello stato maggiore della polizia germanica a Milano e cioè il colonnello Walter Rauff, capo delle SS per l'Italia Nord-Ovest, il generale Willy Von Tensfeld ed il capo del comando militare tedesco a Milano generale Von Goldbeck.

L'incartamento rimase "parcheggiato" presso la Procura Generale Militare per molti anni, fino al 1963, quando le autorità tedesche chiesero a quelle italiane notizie concernenti il passato di Saevecke che nel frattempo stava ricoprendo incarichi di rilievo nella Polizia della Repubblica Federale Tedesca. Nella sua qualità di funzionario del Ministero dell'Interno aveva nella notte del 27 ottobre del 1962 organizzato un'azione illegale, con tanto di irruzione, ai danni delle redazioni del settimanale democratico Der Spiegel ad Amburgo e a Bonn. Da qui una violenta campagna di stampa con articoli sulla sua partecipazione a crimini di guerra in Italia e Tunisia.

Il Procuratore Generale Militare Enrico Santacroce trasmise a questo punto il fascicolo al Gabinetto del Ministero della Difesa, affinché venisse a sua volta inoltrato al Ministero degli Affari Esteri per una risposta all'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania. Il Gabinetto del Ministero della Difesa lo restituì, tradotto in italiano, poco più di un mese dopo. Qualche giorno ancora ed il 20 maggio 1963 il fascicolo venne definitivamente archiviato senza che venisse adottato alcun provvedimento, nonostante dagli atti si potessero ricavare le prove della partecipazione di Theodor Saevecke, con altri ufficiali, all'organizzazione della rappresaglia nella quale l'ex-capitano delle SS fornì i nomi dei partigiani italiani da fucilare, facendoli prelevare da San Vittore attraverso un reparto della SD alle sue dirette dipendenze.

«Il fascicolo relativo all'eccidio di Piazzale Loreto - queste le conclusioni della relazione del giudice Guido Salvini - fu tenuto fermo per moltissimi anni nonostante fosse completo fin dall'inizio di tutti i dati forniti dallo Special Investigation Branch per l'incriminazione immediata dei responsabili, non solo il capitano Theodor Saeveche ma anche alti ufficiali superiori. Non può escludersi che proprio il coinvolgimento dello Stato Maggiore tedesco nel Nord/Italia abbia consigliato "prudenza" nella trattazione del fascicolo».

Risulta accertato, infine, che Thedor Saevecke, come molti altri ex-esponenti nazisti in Europa, venisse in seguito reclutato, alla fine degli anni Quaranta, nelle fila degli apparati di spionaggio americani, con il nome in codice di "Cabanio". Da questa relazione anche le prove che Giulio Andreotti, Ministro della Difesa dal febbraio del 1959 al febbraio del 1966, fosse al corrente dell'esistenza di fascicoli di rilievo giacenti presso la Procura Generale Militare. Dall'"armadio della vergogna" dunque nuove imbarazzanti verità.

Foto: Milano, 10 agosto 1944: in Piazzale Loreto sono esposti i corpi di 15 detenuti antifascisti del carcere di San Vittore, uccisi dai nazifascisti. Proprietà del museo storico di Bergamo.

Saverio Ferrari
Milano, 22 aprile 2005
da "Liberazione"