Intervista a Angelo Del Boca

«Colonie italiane, un mito che fa ridere»

Lo storico piemontese commenta le dichiarazioni dell’ex vice premier Fini che rivalutano l’occupazione fascista in Libia e Corno d’Africa

«E’sorprendente che un personaggio della statura di Fini, che è stato oltretutto anche ministro degli Esteri, possa fare delle dichiarazioni simili sulle nostre ex colonie.» E’ Angelo Del Boca, giornalista, storico, uno dei maggiori conoscitori del colonialismo italiano, a commentare le parole del leader di Alleanza Nazionale, secondo il quale i paesi africani colonizzati dall’Italia si troverebbero ora in una condizione peggiore di quella degli anni Trenta.

Perché è sorpreso?

Perché per il ruolo che ha ricoperto deve avere una conoscenza storica e politica degli avvenimenti. Simili commenti li posso giustificare se è un poveraccio a farli, che non ha cultura, non ha istruzione e soprattutto che non ha incarichi politici. Ma quest’uomo è segretario del terzo partito italiano! E’ veramente incredibile.

Le dichiarazioni di Fini sono ancora più gravi se consideriamo lo scenario attuale...

Mi immagino infatti quale sarà, ahimé, la reazione di Gheddafi in un momento in cui mi sembra non valga proprio la pena di usare un ferro caldo nelle ferite coloniali. E anche Meles Zenawi, il primo ministro etiopico, non credo sarà tanto felice. Dire queste cose in momenti così difficili anche per il nostro paese è veramente inopportuno. Soprattutto se consideriamo che, per un verso o per l’altro, i rapporti con le nostre ex colonie non sono molto semplici. Siamo in imbarazzo nei confronti dell’Etiopia e dell’Eritrea perché si tratta di due paesi, appunto nostre ex colonie, che si sono fronteggiati militarmente e che ancora oggi non hanno normalizzato del tutto le loro relazioni. Con la Libia addirittura abbiamo ancora aperto il problema dei risarcimenti coloniali, risolto con re Idris ma in maniera rabberciata. Gheddafi ora ci chiede uno sforzo enorme, che è quello di realizzare un’autostrada litoranea. Ora, se noi andiamo a dire le cose che abbiamo detto non credo che possiamo trovare una soluzione a questi problemi. A meno che queste affermazioni non vengano fatte per mettere in imbarazzo la maggioranza.

In ogni caso si tratta di dichiarazioni sciagurate che non fanno che confermare come nel dna di Alleanza Nazionale ci siano ancora elementi di fascismo. Che cosa ne pensa, professore?

Ho sempre avuto dei grandi dubbi sulla svolta di Fiuggi e sui viaggi di Fini a Gerusalemme per battersi il petto. Perché poi in realtà da altri episodi, da certe manifestazioni, da altri simboli sempre ostentati, si ha l’impressione che nonostante alcuni cambiamenti superficiali, come giustamente lei dice, il dna sia quello di prima. E sicuramente queste dichiarazioni lo fanno pensare ancora di più.

Entrando nel merito, non solo il paragone che Fini fa tra la situazione attuale delle ex colonie italiane e quella di allora non ha alcuna scientificità storica, ma il leader di An dimentica, o vuole dimenticare, le modalità con le quali quella colonizzazione è avvenuta. Lei professore lo ha ricordato più volte...

Queste nostre conquiste sono costate all’Africa cinquecentomila morti. E di recente avevo anche suggerito di celebrare una “giornata della memoria”, un’idea che non è ancora stata raccolta, ma io spero in bene anche perché è un dovere che noi abbiamo verso queste persone.
Tra i tanti episodi terribili voglio ricordarne due: la reazione indiscriminata all’attentato a Graziani del 1937, che provocò dai tremila ai trentamila morti. E poi l’altra grande strage di diaconi e preti della città conventuale di Debrà Libanòs. Anche in questo caso non c’era nessuna certezza che l’attentato fosse stato preparato in questo luogo situato a centocinquanta chilometri da Addis Abeba. Eppure Graziani volle la sua vendetta tanto è vero che la sera stessa di questa strage, telegrafando a Mussolini, disse: «Abbiamo ucciso quattrocentoquarantanove preti e monaci, e questo sicuramente porrà la chiesa cristiano ortodossa in una situazione tale che non avra più il coraggio di farci l’opposizione».
Graziani in realtà riferiva una cifra molto sbagliata, perché due miei ricercatori dell’università di Nairobi e Addis Abeba, che hanno fatto campagne di scavo e raccolto testimonianze, hanno scoperto che i morti furono da un minimo di milleseicento a un massimo di duemiladuecento. E poi non dimentichiamo che, oltre alla libertà, noi non abbiamo dato la scuola perché il massimo che un indigeno poteva frequentare era la quinta elementare, il minimo che serviva per ricevere ordini, non per darne; e gli ospedali erano soprattutto per i bianchi.
Senza dimenticare l’enfasi sulla rete stradale dell’Etiopia. Si straparla di quest’opera senza dire che venne realizzata per motivi militari, per spostare rapidamente una divisione da un confine all’altro. Era stata fatta per questo scopo, non certamente per il passaggio delle mandrie etiopiche. Queste storie sono ormai diventate dei miti, che fanno ridere, e fanno ridere soprattutto in bocca ad un ex ministro degli Esteri.

Vittorio Bonanni
Roma, 27 settembre 2006
da "Liberazione"